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Licenziamento per giusta causa: il tentato furto

Un lavoratore è stato licenziato per aver tentato di sottrarre merce aziendale del valore di circa 200 euro. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, respingendo il ricorso del dipendente. Secondo la Corte, il tentato furto è di per sé sufficiente a rompere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, rendendo irrilevanti sia il modesto valore della merce sia il fatto che il furto non sia stato consumato.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento per Giusta Causa: Basta il Tentato Furto?

Il licenziamento per giusta causa rappresenta la sanzione più grave nel rapporto di lavoro, scaturendo da un comportamento del dipendente talmente serio da ledere in modo irreparabile il vincolo di fiducia con il datore di lavoro. Ma un semplice tentativo di furto, per un valore modesto, è sufficiente a giustificarlo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara, confermando che la rottura del legame fiduciario è l’elemento decisivo, anche di fronte a un illecito non consumato.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un dipendente di una società di ferramenta, sorpreso all’interno del magazzino aziendale in possesso di merce che aveva sottratto. Il valore complessivo dei beni era di circa 200,00 euro. A seguito di contestazione disciplinare, la società procedeva al licenziamento per giusta causa.

Il lavoratore impugnava il licenziamento. Mentre il Tribunale di primo grado accoglieva le sue ragioni, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, ritenendo legittimo il recesso datoriale. Secondo i giudici d’appello, il comportamento del dipendente, qualificabile come “tentato furto”, era sufficientemente grave da minare la fiducia dell’azienda, giustificando la massima sanzione espulsiva. Il lavoratore, non rassegnato, proponeva quindi ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte e il Licenziamento per Giusta Causa

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del lavoratore, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello. L’analisi dei Supremi Giudici si è concentrata sui motivi di ricorso, ritenendoli infondati e volti a una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità.

La Qualificazione del Fatto come “Tentato Furto”

Il lavoratore sosteneva che non si potesse parlare di furto, poiché la merce non era mai uscita dalla sfera di vigilanza della società. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, sottolineando come la Corte d’Appello avesse correttamente qualificato il fatto come tentato furto. Ai fini della valutazione disciplinare, ciò che conta è l’intenzione fraudolenta e la condotta idonea a ledere il patrimonio aziendale. L’aver commesso un atto che la legge qualifica come tentato furto è di per sé un comportamento di gravità tale da rompere il vincolo fiduciario, a prescindere dal completamento dell’azione criminosa.

La Valutazione della Proporzionalità

Il ricorrente lamentava anche una violazione del principio di proporzionalità, ma la Corte ha ribadito che la valutazione sulla gravità del comportamento e sulla sua idoneità a giustificare il licenziamento spetta al giudice di merito. In questo caso, la Corte d’Appello aveva compiutamente motivato la sua decisione, considerando la consapevolezza dell’antigiuridicità della condotta da parte del lavoratore e la natura stessa del gesto, idoneo a far venir meno la fiducia necessaria per la prosecuzione del rapporto.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nel concetto di vincolo fiduciario. La Corte ha osservato che la condotta del dipendente, consistente in un tentativo di sottrazione di merce, costituisce una violazione grave e diretta degli obblighi di correttezza e buona fede che devono caratterizzare il rapporto di lavoro.

Secondo i giudici, di fronte a un fatto di tale gravità, elementi come la notevole anzianità di servizio e l’assenza di precedenti disciplinari diventano “recessivi”. In altre parole, la fiducia è talmente compromessa che questi fattori non sono sufficienti a giustificare una sanzione più lieve. La decisione della Corte d’Appello di ritenere proporzionato il licenziamento è stata quindi considerata corretta e adeguatamente motivata.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio consolidato nel diritto del lavoro: nel valutare la legittimità di un licenziamento per giusta causa legato a fatti di rilevanza penale, come il furto, l’elemento centrale non è tanto il danno economico cagionato, quanto l’impatto della condotta sul rapporto fiduciario. Anche un semplice tentativo, per un valore esiguo, può essere ritenuto sufficiente a giustificare la massima sanzione espulsiva se dimostra una fondamentale inaffidabilità del lavoratore. Per le aziende, ciò conferma la possibilità di agire con fermezza di fronte a comportamenti disonesti; per i lavoratori, rappresenta un monito sulla gravità di qualsiasi azione che possa minare l’integrità del legame lavorativo.

Un tentativo di furto sul lavoro giustifica sempre il licenziamento per giusta causa?
Sì, secondo questa ordinanza, un tentativo di furto può giustificare il licenziamento per giusta causa se la condotta è considerata idonea a rompere in modo irreparabile il vincolo di fiducia tra datore di lavoro e dipendente, indipendentemente dal modesto valore economico della merce o dal fatto che il reato non sia stato consumato.

Cosa significa che un ricorso in Cassazione è dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione perché il ricorso non possiede i requisiti tecnici richiesti dalla legge. Ad esempio, ciò accade quando il ricorrente, invece di denunciare una violazione di legge, tenta di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività riservata ai giudici di primo e secondo grado.

L’anzianità di servizio e l’assenza di precedenti possono evitare il licenziamento in caso di tentato furto?
No, in base a questa decisione, di fronte a un fatto grave come il tentato furto, l’anzianità di servizio e una carriera priva di precedenti sanzioni sono considerati elementi ‘recessivi’, cioè di importanza secondaria, e non sono sufficienti a rendere sproporzionato il licenziamento per giusta causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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