Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14759 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10012-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3920/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/11/2022 R.G.N. 3910/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Licenziamento per giusta causa
R.G.N. 10012/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 22/01/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 9090/2021 e in parziale riforma di quest’ultima, rigettava l’originaria impugnativa del licenziamento da parte di COGNOME COGNOME
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, il COGNOME aveva, tra l’altro, chiesto la tutela obbligatoria di cui all’art. 2 l. n. 108/1990 in relazione al licenziamento che gli era stato intimato dalla RAGIONE_SOCIALE con lettera del 16.1.2020, seguita a contestazione disciplinare relativa, in sintesi, all’essere stato colto il lavoratore, in data 9.11.2019, nel magazzino della società, in possesso di merci aziendali sottratte alla stessa; licenziamento del quale il COGNOME sosteneva l’illegittimità, in quanto egli aveva solo prelevato del materiale che avrebbe pagato, tanto che ne aveva anche ordinato di ulteriore.
La Corte, dopo aver respinto i primi tre motivi d’appello della società datrice di lavoro, giudicava fondato il quarto motivo d’appello, relativo al comminato licenziamento.
2.1. In particolare, la Corte di merito, andando in contrario avviso rispetto al primo giudice, concludeva che corrispondeva al comune sentire che un tentativo di sottrazione di merce aziendale (conclamato, nonostante gli infruttuosi tentativi di riqualificarlo ex post ) per un controvalore di circa € 200,00 fosse idoneo a minare la fiducia dell’azienda stessa nella correttezza
futura del lavoratore e pertanto che il licenziamento fosse sanzione che non violava il principio di proporzionalità.
Avverso tale decisione COGNOME Bruno ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi e successiva memoria.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ”Violazione e falsa applicazione di norme ravvisabile ex art. 360 punto 3 cpc, per il primo grave errore in cui incappa la Corte d’Appello di Roma con motivo di censura emarginato nella parte motiva in cui indica come sussistente, erroneamente e in violazione di legge, la giusta causa di licenziamento, laddove, al contrario, conformemente a quanto disposto dal nostro ordinamento, e dal Tribunale di Roma in sentenza di primo grado, avrebbe dovuto ritenere che nel caso che ci occupa non sussisteva la giusta causa per il licenziamento comminato’.
Con il secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione di norme ravvisabile ex art. 360 punto 3 cpc, per il secondo grave errore in cui incappa la Corte d’Appello di Roma con motivo di censura emarginato nella parte in cui indica come sussistente, erroneamente e in violazione di legge, la giusta causa di licenziamento per ‘avvenuto furto’ quando al contrario avrebbe dovuto ravvedere che al massimo si sarebbe in presenza di un mero tentativo poi interrotto per volontà della stessa parte agente (e quindi non furto ma tentativo interrotto per volontà dell’agente stesso)’.
Con un terzo motivo denuncia ‘Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo
per il decidere, nonché stravolgimento delle risultanze istruttorie ex art. 360 punto 5 cpc e cioè per aver omesso un fattivo decisivo del decidere laddove omette di valutare correttamente le prove orali discordanti tra i testi COGNOME ed COGNOME esperite nel punto e in cui, tra l’altro, non si accorge nemmeno che il ricorrente COGNOME COGNOME, da quanto emerge dalle testimonianze rese, aveva già restituito le cose nel suo zaino prima del confronto con il teste’.
Premesso che i motivi di ricorso sono stati sopra riportati secondo la sintesi che lo stesso ricorrente ne propone a pag. 11 del proprio atto d’impugnazione, essi sono inammissibili.
Quanto ai primi due motivi, che il ricorrente riconduce all’ipotesi di violazione di norme di diritto di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., senza indugiare sulla tecnica redazionale del ricorso, è sufficiente considerare che entrambi difettano di pertinenza rispetto a quanto effettivamente considerato dalla Corte territoriale nella sua sentenza.
5.1. Assume, infatti, il ricorrente ‘che la Corte d’Appello continua a ‘qualificare’ il fatto come ‘furto’ violando i principi cardine del nostro ordinamento i quali prevedono che la merce, per accreditare il furto, sia uscita dalla disponibilità del propr ietario’.
5.2. A prescindere dal rilievo che neppure sono precisamente individuate le affermazioni in diritto oggetto di censura, il ricorrente non considera che la Corte territoriale ha ritenuto, invece, che ‘la fattispecie del tentato furto (nei suoi elementi oggettivo e soggettivo) deve dirsi interamente realizzata’.
5.3. Le restanti considerazioni che svolge il ricorrente a sostegno dei primi due motivi -che peraltro comprendono richiami a sentenze della Corte di Cassazione in sede penale in tema di furto consumato o tentato (cfr. pagg. 13-14 del ricorso) -s’incentr ano su una rivisitazione delle risultanze processuali, non consentita in questa sede di legittimità.
5.4. Non considera, peraltro, il ricorrente che la Corte di merito si è diffusamente espressa su ognuno degli aspetti sui quali egli torna.
5.5. Più in particolare, quanto all’assunto che ‘la merce non è mai uscita dalla sfera di vigilanza della società’, la Corte d’appello proprio alla luce di tale aspetto aveva ribadito la qualificazione del fatto addebitato in termini di ‘tentato furto’ (cfr. primo cpv. a pag. 8 della sua sentenza).
Circa, poi, la dedotta ‘immediata confessione del COGNOME al COGNOME‘, la Corte ha ampiamente spiegato perché essa doveva essere ‘ridimensionata nella sua valenza sintomatica di pentimento e resipiscenza immediata, prima ancora della consumazione dell’illecito’ (cfr. in extenso pag. 7 dell’impugnata sentenza).
Infine, la Corte aveva osservato che: ‘Rispetto alla gravità del fatto contestato, alla consapevolezza in capo al lavoratore della sua antigiuridicità (come emerge dalla confessione e dalle condotte successive miranti a impetrare clemenza dai vertici aziendali), alla non irrilevanza del danno economico che esso avrebbe arrecato all’azienda, deve ritenersi recessiva l’assenza di precedenti così come la notevole anzianità lavorativa’ (così a pag. 8 della stessa sentenza).
In definitiva, il ricorrente non si confronta con l’intera motivazione resa sul tema del licenziamento dai giudici di secondo grado.
7. Parimenti inammissibile è il terzo motivo.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche Sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamen to un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), specificandosi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Sez. un. n. 8053/2014; Sez. un. n. 19881/2014); che in tale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive o di censure proposte (Sez. un. n. 20399/2019). E’ stato, inoltre, precisato che non costituiscono fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio in parola: a) le argomentazioni o deduzioni difensive; b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti; c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa; d) le
domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame (in tal senso, riassuntivamente, Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022).
Ebbene, nel terzo motivo il ricorrente non denuncia l’omesso esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, nel senso sopra chiarito; piuttosto, come già emerge dal riassunto della censura e resta confermato dal suo svolgimento (cfr. pag. 15 del ricorso), addebita alla Corte di aver omesso ‘di valutare correttamente le prove orali discordanti rese dai testi COGNOME ed COGNOME COGNOME‘; in realtà critica così un apprezzamento probatorio riservato ai giudici di merito.
Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 22.1.2025.