Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35109 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35109 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29035-2022 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4503/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 28/11/2022 R.G.N. 2130/2021;
Oggetto
R.G.N. 29035/2022
COGNOME
Rep.
Ud.13/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli, quale giudice del reclamo ex lege n. 92/2012, dato ingresso all’istruttoria orale non ammessa in prime cure, ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di M assimo COGNOME intesa all’accertamento della illegittimità/ nullità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 6.11.2019 dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base di contestazione che ascriveva al dipendente, impiegato presso l’Area di servizio ‘INDIRIZZO‘ , con mansioni di operaio multiservizi, comprendenti anche la gestione della cassa e l’incasso dei corrispettivi delle vendite, sia l’omessa battitura degli scontrini a fronte dell’incasso, in contanti, del prezzo di vendita dei generi alimentari di volta in volta acquistati dagli investigatori- clienti, sia la battitura di scontrini per un importo inferiore a quello effettivamente pagato, uniche condotte ascritte al dipendente al quale la società non aveva contestato anche l’ammanc o di cassa.
la Corte di merito, premesso che solo in funzione rafforzativa della fondatezza dell’illecito ascritto la società aveva evidenziato che in cassa non erano stati riscontrati esuberi in denaro rispetto alle somme risultanti dalla relativa chiusura, ha ritenuto che la società avesse offerto la prova sia della omessa battitura sia della battitura per un importo inferiore a quello corrisposto dal cliente; ha ritenuto il licenziamento giustificato dalle delicatezza delle mansioni connesse all’attività di maneggio del denaro e dalla essenzialità dell’attività svolta per il proficuo andamento dell’azienda; ha
escluso rilievo alla circostanza che al dipendente non fosse stata riconosciuta la indennità di cassa;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo per giudizio, oggetto di discussione fra le parti, censurando la sentenza impugnata per avere omesso di considerare che gli investigatori privati escussi come testi, i quali avevano redatto i rapportini ispettivi ed i report emessi dalla agenzia investigativa alla quale si era rivolta la societàRAGIONE_SOCIALE – ed indirizzati alla committente RAGIONE_SOCIALE non erano né dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, né da questa delegati ma, come dagli stessi dichiarato in sede testimoniale, dipendenti di altra società, genericamente indicata come associata della RAGIONE_SOCIALE censura, inoltre, la decisione di secondo grado per avere omesso di valutare il contenuto delle difese delle parti in causa in riferimento all’attività degli investigatori che avevano redatto e sottoscritto i rapportini investigativi e i report allegati ai rapportini,
con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c. e agli artt. 244 e 253 c.p.c.; censura la sentenza impugnata per avere il giudice di merito ritenuto di porre ai testi domande incompatibili con il tenore
letterale del capitolo di prova articolato che si riferiva ad attività ispettive eseguite dal personale di RAGIONE_SOCIALE laddove i testi in questione avevano dichiarato di non essere dipendenti della suddetta società; in questa prospettiva si duole del mancato esercizio della facoltà ex artt. 244 e 253 c.p.c. in punto di richiesta di chiarimento ai testi;
con il terzo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. applicabile in relazione agli artt. 204, 253 e 278 nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla circostanza dell’espletamento da parte del Pasculi di attività di cassa pur in difetto di percezione della relativa indennità; sostiene, in sintesi, che solo in quest’ ultimo caso poteva configurarsi in capo al lavoratore un dovere di particolare diligenza la cui violazione giustificava la irrogazione della sanzione espulsiva secondo il criterio di necessaria proporzionalità della sanzione; denunzia inoltre che la specifica condotta contestata non trovava corrispondenza nelle ipotesi per le quali il contratto collettivo contemplava la sanzione espulsiva;
4. il primo motivo di ricorso è infondato;
4.1. premessa la ammissibilità del motivo, non precluso da ‘doppia conforme di merito ‘ ai sensi dell’art. 348 ter ultimo comma c.p.c. ( ratione temporis applicabile) in quanto attinente a circostanza emersa solo in sede di escussione testimoniale disposta in seconde cure, il motivo risulta infondato per difetto di decisività del fatto asseritamente omesso; il rapporto intercorrente tra coloro che hanno redatto i rapporti investigativi e la società alla quale la RAGIONE_SOCIALE
aveva commissionato le investigazioni risulta, infatti, un dato del tutto ininfluente, intrinsecamente inidoneo a determinare una diversa ricostruzione fattuale dell’accaduto; l’accertamento della condotta generatrice di responsabilità disciplinare a carico del lavoratore scaturisce dalla complessiva valutazione da parte del giudice di merito, secondo il criterio del prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c., del compendio probatorio in atti, nell’ambito del quale si colloca la deposizione testimoniale di chi ha effettuato concretamente le investigazioni e redatto i relativi rapporti e rispetto alla quale risulta indifferente la natura del rapporto con la società di investigazioni incaricata dalla datrice di lavoro; infine, con riferimento alla censura che ascrive al giudice di seconde cure la omessa considerazione della difese delle parti, se ne rileva la inammissibilità in continuità con l’orientamento di questa Corte secondo il quale non costituiscono fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio in parola: le argomentazioni o deduzioni difensive; (in tal senso, riassuntivamente, Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022);
il secondo motivo di ricorso è inammissibile, risultando assorbente la considerazione che il vaglio nel merito delle censure articolate è impedito dalla mancata trascrizione in ricorso delle circostanze capitolate quale oggetto di prova orale e del contenuto dei verbali relativi alle deposizioni testimoniali, in violazione del principio di specificità come declinato nell’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c.;
il terzo motivo di ricorso presenta un profilo di inammissibilità/improcedibilità non avendo parte ricorrente prodotto il testo integrale del contratto collettivo su cui il motivo
si fonda, né riportato in ricorso il contenuto di esso (Cass. n. 18422/2023, Cass. n. 29521/2021) ed inoltre omesso l’indicazione della collocazione topo grafica del documento impedendo a questo Collegio ogni verifica e valutazione su di esso (Cass., n. 1842272023, Cass. n. 29521/2021, Cass., n. 34976/2021); in ogni caso, la circostanza della mancata percezione da parte del dipendente della indennità di cassa è stata tenuta ben presente dalla Corte di merito (sentenza, pag. 10) la quale la ha considerata non decisiva al fine dell’attenuazione della responsab ilità disciplinare del dipendente; tale valutazione si sottrae alle censure articolate in punto di valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva; invero, che ciò che radica il particolare affidamento richiesto al dipendente e giustifica la valutazione in termini di giusta causa di licenziamento della condotta ascritta, non è costituito dalla percezione o meno di un’ indennità connessa con la gestione della cassa bensì con la particolare natura dell’attività espletata e con il correlato interesse della società ad una gestione corretta e regolare della cassa, priva di ricadute negative per la datrice; infine, si rivela già in astratto priva di rilievo la circostanza dedotta dall’odierno ricorrente in ordine al difetto di specifica previsione nel codice disciplinare della condotta sanzionata con la misura espulsiva, soccorrendo in ogni caso la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c.;
6.1. le ulteriori deduzioni intese a contestare la valutazione di proporzionalità devono essere respinte alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un
apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia ( Cass. n. 107/2024, Cass. n. 14811/2020) ipotesi nello specifico non configurabili in ragione di quanto sopra rappresentato;
al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese processuali ed pagamento, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, com ma quater d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 13 novembre