Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33742 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33742 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19732-2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, presso lo Studio RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2510/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/06/2022 R.G.N. 96/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
R.G.N. 19732/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 20/11/2024
CC
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza in atti, ha rigettato il reclamo proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza del tribunale di Latina che aveva confermato l’ordinanza con cui era stata respinta l’impugnazione del licenziamento per giusta causa intimatogli da Poste italiane a seguito della lettera di contestazione disciplinare del 20/12/2018 con riferimento agli articoli 2014 e 2015 c.c., nonché all’articolo 7 legge 300/70 e agli articoli 52, 53, 54 e 55 del CCNL 30/11/2017.
A fondamento della sentenza la Corte d’appello ha ritenuto che fossero pacifici e non contestati i fatti di cui alla lettera di contestazione essendo stato il licenziamento intimato per aver il COGNOME effettuato numerose interrogazioni col sistema emulatore 3270 (utilizzando il suo user ID) su clienti non rientranti nel suo portafoglio, al fine di ottenere informazioni su emissioni di vaglia circolari e/o assegni vidimati risultati poi ‘clonati’ ed incassati in danno dei clienti in varie città d’Italia. Era emersa la convergenza temporale tra le interrogazioni anagrafiche posti in essere dal lavoratore con le negoziazioni dei titoli postali clonati, i cui beneficiari coincidevano con i soggetti da lui attenzionati.
Il ricorrente si era invece solo limitato a sostenere che le plurime interrogazioni anagrafiche erano state effettuate come da prassi ed erano da ascriversi ad una mera iniziativa personale volta a contattare clientela intestataria per fini commerciali.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore NOME COGNOME con due motivi di ricorso al quale ha resistito Poste Italiane S.p.RAGIONE_SOCIALE. con controricorso, illustrato da successiva memoria. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sen si dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso si deduce l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento
all’erronea valutazione del contegno assunto dal dipendente ex articolo 360 n. 5 c.p.c. per avere la Corte sostenuto che il ricorrente pur non contestando le condotte e la violazione della normativa che regolava la sua attività, si fosse solo limitato ad osservare che avesse operato come da prassi dell’ufficio per raggiungere i target professionali. Non era vero invece che la prassi operativa richiamata non fosse stata provata essendo stata sempre ribadita nelle varie fasi del giudizio e mai una contestazione era stata mossa in proposito. Si aggiunge che il tribunale aveva travisato palesemente le circostanze di fatto in merito all’affermazione secondo cui le posizioni che venivano indebitamente controllate erano relative tutte agli ex residenti di Formia.
2.Con un secondo motivo si deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex articolo 360 numero 5 c.p.c., in riferimento al contegno fraudolento attribuito al signor NOME COGNOME avendo il collegio radicalmente travisato i fatti poiché l’elemento intenzionale fraudolento ascrivibile al COGNOME era insussistente.
3.- Il ricorso è inammissibile perché formula entrambi i motivi di censura come omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella valutazione della condotta messa in atto dal dipendente; e deduce la violazione del vecchio vizio di motivazione ex articolo 360 n. 5 c.p.c. fatto oggetto di riforma e non più proponibile dopo la modifica della norma operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83.
4.Sul punto vale l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui ‘In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla
sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia’ (Cass. 24 luglio 2020, n.15933; conf. Cass. 3 novembre 2020, n. 24395; Cass. 2 luglio 2020, n. 13600).
5.Quest’ultima ipotesi, relativa all’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., è pure preclusa nel caso di specie dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022).
Il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile.
7.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio del 20.11.2024