Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27254 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27254 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19570-2024 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 332/2024 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 22/07/2024 R.G.N. 124/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/09/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
Oggetto
Licenziamento
ex lege n. 92 del 2012
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 11/09/2025
CC
Il Tribunale di Taranto, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava l’impugnativa di licenziamento per giusta causa, intimato dall’RAGIONE_SOCIALE al dipendente NOME COGNOME l’8.4.2024, per essere stato il lavoratore arrestato in flagranza il 6.3.2021 per detenzione illegale di armi clandestine, munizioni, materiale esplodente e sostanza stupefacente presso un box nella sua disponibilità esclusiva.
La Corte di appello di Lecce -Sezione Distaccata di Tarantoconfermava la pronuncia di prime cure rilevando che il provvedimento di recesso non era tardivo e che i fatti contestati erano risultati provati, con conseguente valutazione di gravità degli stessi anche se non connessi alla attività lavorativa, in quanto erano tali da compromettere la fiducia del datore di lavoro ovvero di ledere l’immagine di questo a causa del disvalore sociale e morale della condotta.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di tre motivi. RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso successivamente illustrato con memoria.
La Consigliera delegata ha, con atto del 2 marzo 2025, formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c.
Il ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc..
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 cpc, in riferimento alla errata valutazione dell’art. 2106
cod. civ., 2697 cod. civ. e art. 5 legge n. 604/1966 nonché del co. 5 dell’art. 18 legge n. 300 del 1970 (legge n. 92 del 2012) e 111 Cost. . Si obietta che la sentenza impugnata era fondata su ipotesi, costituite da dati generici, incompleti ed inesatti, e non invece sulle prove acquisite in giudizio, in un contesto in cui il datore di lavoro non aveva assolto all’onere probatorio su di esso g ravante circa la sussistenza del fatto contestato, la gravità dello stesso, la sua idoneità ad incidere negativamente sugli elementi essenziali del rapporto, con lesione del vincolo fiduciario tra le parti; il tutto con motivazione apparente.
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 444 e 445 cpp, nonché la violazione del tempus regit actum di cui all’art. 11 delle Preleggi, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale che la sentenza di patteggiamento, adottata in sede penale, potesse essere posta a fondamento, insieme al materiale probatorio acquisito, della decisione.
Con il terzo motivo si eccepisce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, l’omesso esame di un fatto decisivo nella definizione della controversia, oggetto di discussione tra le parti, consistente nella omessa valutazione della espletata prova per testi (art. 2697 cod. civ.).
Il ricorso, come condivisibilmente affermato dalla Consigliera delegata nella proposta di definizione accelerata, è inammissibile.
Il primo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, sono inammissibili in quanto le censure ivi articolate non si sostanziano in violazioni o falsa applicazione delle disposizioni denunciate, ma tendono alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda
(Cass. n. 27197/2011; Cass. n. 6288/2011, Cass. n. 16038/2013), non consentita in sede di legittimità.
Ciò di cui si duole il ricorrente è, in pratica, l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate, che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed involgono un giudizio non censurabile in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).
E’ un principio ormai consolidato, quindi, quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. Sez. Un. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014).
Deve, poi, ribadirsi che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esit o della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cpc (Cass. n. 19064/2006; Cass. n. 2935/2006), con i relativi limiti di operatività ratione temporis applicabili.
Nella fattispecie in esame, invece, vi è stata solo una valutazione delle prove orali e documentali, senza alcuna violazione del principio dell’onere della prova come sopra delineato.
L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, infine, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della cont roversia). L’omesso esame di elementi istruttori,
pertanto, non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo se i fatti storici sono stati comunque presi in considerazione (Cass. n. 19881/2014; Cass. n. 27415/2018).
La Corte territoriale, nella decisione impugnata, in una situazione processuale di cd. ‘doppia conforme’ con la pronuncia di primo grado, ha argomentato, esaustivamente e congruamente -con una motivazione esente da vizi perché rispettosa del cd. ‘minimo costituzionale’ (art.111 co. 6 Cost) in quanto è stata esplicitata la disamina logico-giuridica dalla quale desumere il percorso argomentativo seguito (cfr. in termini Cass. 21.12.2010 n. 25866) – sulla ritenuta dimostrazione dei fatti contestati evidenziando che gli stessi erano fondati sulle risultanze del verbale di arresto e dal comportamento del COGNOME che si era dimostrato lacunoso e contraddittorio in ordine alle giustificazioni rese a sua discolpa.
La sentenza di patteggiamento, quindi, non è stata ritenuta dirimente ai fini del libero convincimento del giudice né è stata utilizzata a fini probatori in quanto, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, il licenziamento è intervenuto prima della sentenza stessa ed è stato comprovato da altri elementi processuali.
Da ultimo va precisato che il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non quando si verta in una ipotesi, come nell’analisi effettuata dalla Corte territoriale nel caso di specie, di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio (Cass. Sez. Un. n. 5792/24).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta la condanna del Cappelli a norma dell’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c.
Vale, infatti, rammentare quanto segue: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ─ che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. ─ codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass. Sez. Un. 13 ottobre 2023, n. 28540).
In tal senso, il ricorrente va condannato, in favore della controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 2.500,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ult eriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. C ondanna il ricorrente al pagamento della somma di €. 2.500,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di €. 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, l’11.9.2025
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME