Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32158 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32158 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10401-2022 proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 134/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/02/2022 R.G.N. 853/2021;
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 10401/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 26/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna, in riforma del provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 6.8.2020 per avere tenuto un comportamento in concorrenza con il suo datore di lavoro, organizzando un servizio autonomamente fuori dall’impresa.
La Corte territoriale, ha, con ampia ed approfondita argomentazione, rilevato che il quadro probatorio acquisito consentiva di ritenere accertato il comportamento concorrenziale del dipendente, visto che: l’impresa si avvaleva, sin dal 2019, della ditta individuale della moglie del dipendente per gli interventi di ripristino della selleria dei veicoli di cui le era commissionata la manutenzione; la Procar ricomprendeva i costi di tali interventi nelle fatture che emetteva ai propri clienti; il dipendente collaborava nell’ambito di questo rapporto di fornitura tra la ditta della moglie e il suo datore di lavoro; la fattura di luglio 2020 emessa dalla ditta della moglie per riparazione di selleria lo era stata, peraltro, direttamente nei confronti del cliente finale e la consegna del bene veniva effettuata dal Sabria, per conto della ditta della moglie e non della società RAGIONE_SOCIALE, con ciò instaurando rapporti diretti con il cliente ‘storico’ della RAGIONE_SOCIALE. In ordine alla diffusione e conoscenza, da parte
del dipendente, del codice disciplinare, la Corte territoriale rilevava che la conoscenza era irrilevante ai fini della validità del licenziamento (trattandosi di comportamento immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito) e, inoltre, che la sua carenza di pubblicità (da imputarsi alla contestazione di autenticità della sottoscrizione della ricevuta delle credenziali di accesso al sistema informatico aziendale) non era stata oggetto di eccezione nella fase ordinaria del giudizio di primo grado ex art. 1, comma 51, legge n. 92 del 2012 né di riproposizione espressa ex art. 346 c.p.c. in sede di reclamo né di ricorso incidentale.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 della legge n. 604 del 1966 e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale assolto la parte datoriale dall’obbligo di for nire la prova rigorosa della sussistenza della giusta causa di licenziamento, nonché ritenuto raggiunta detta prova facendo sostanziale riferimento, con criterio empirico (vicinanza della fonte di prova), a circostanze meramente indiziarie o insussistenti; in tale percorso motivazionale si osserva anche la violazione dell’art. 244 c.p.c. per inammissibilità
della prova orale dedotta dalla resistente in comparsa di costituzione e risposta in quanto priva di adeguata capitolazione.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 346 c.p.c., 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970 avendo il lavoratore sempre ribadito, sia in primo grado che in sede di reclamo, l’eccezione concernente la mancata pubblicità del codice disciplinare (avendo contestato l’autenticità della propria firma riportata sul doc. 21 prodotto da controparte): argomentazione che la Corte territoriale avrebbe dovuto tenere in considerazione a prescindere dalle modalità di formulazione letterale, ritenendola espressamente riproposta.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
4.1. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che ‘ il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione .’ (Cass. S.U. 29.3.2013 n. 7931; in senso conforme, Cass. n. 9752 del 2017; da ultimo Cass. n.27094 del 2021).
5.2. Nel caso di specie il ricorrente ha argomentato sulla proposizione, in sede di reclamo, della eccezione di mancato rispetto dell’obbligo di pubblicità del codice disciplinare, ma nulla ha dedotto sulle altre ragioni del rigetto esposte dalla Corte territoriale (ossia la mancata proposizione di una eccezione di tal fatta in sede di giudizio di opposizione ex art. 1, comma 51, della legge n. 92 del 2012 e la irrilevanza, ai fini della validità del licenziamento, della pubblicità del codice disciplinare a fronte di un comportamento percepito come illecito dal lavoratore).
5.3. Invero, la parte ricorrente omette di trascrivere, almeno nelle parti essenziali (e di depositare in allegato al ricorso per cassazione), l’atto processuale di primo grado; inoltre, nulla argomenta circa l’orientamento giurisprudenziale, correttamente richiamato dai giudici di merito, che ritiene superflua l’affissione del codice disciplinare a fronte di comportamenti manifestamente contrari agli interessi dell’impresa o che violano i doveri fondamentali (quale l’obbligo di fedeltà, ex art. 2105 c.c.) scaturenti dal rapporto di lavoro (cfr. sul punto Cass. n. 10201 del 2004, Cass. n. 18377 del 2006, Cass. n. 20270 del 2009, Cass. n. 6893 del 2018).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26