Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34577 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34577 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11990-2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Liquidatore e legale rappresentante pro tempore, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che le rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 209/2022 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 04/03/2022 R.G.N. 665/2021;
Oggetto
R.G.N. 11990/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 08/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Messina, con la gravata sentenza, ha rigettato il reclamo proposto da COGNOME NOME NOME avverso la sentenza del giudice del lavoro del tribunale di Messina che aveva respinto l’opposizione all ‘ ordinanza che aveva disatteso il ricorso proposto avverso il licenziamento intimatogli in data 20 aprile 2017, convenendo in giudizio sia la RAGIONE_SOCIALE sia RAGIONE_SOCIALE deducendo l’illegittimità dello stesso in quanto ritorsivo e/o discriminatorio ed in ogni caso privo del giustificato motivo oggettivo addotto ossia la cessazione dell’attività aziendale.
La Corte d’appello, a fondamento della decisione, ha confermato per un verso che la RAGIONE_SOCIALE avesse in effetti cessato ogni attività nel dicembre del 2016 e fosse stata posta in liquidazione una volta finito l’appalto Trenitalia. Per il resto non sussisteva l’illegittimità del licenziamento per omesso repêchage all’interno della RAGIONE_SOCIALE in quanto non sussistevano indici sintomatici del preteso unico centro di imputazione costituito da parte delle due società le quali si erano, invece, aggregate in un raggruppamento temporaneo di impresa costituito nel 2013 proprio per ottenere l’affidamento e la realizzazione dell’appalto di Trenitalia relativo ai lavori di revisione di 58 carrozze ferroviarie.
Mancava infatti il coordinamento tecnico e amministrativofinanziario tra le due società che consentisse di individuare un unico soggetto direttivo; e soprattutto l’ulteriore requisito costituito dalla utilizzazione contemporanea e indistinta delle prestazioni lavorative da parte delle due società, idoneo a far emergere quella totale integrazione delle attività delle società
necessaria perché le stesse potessero considerarsi facenti parte di un gruppo.
Quanto alla doglianza relativa al preteso carattere discriminatorio e/o ritorsivo del licenziamento andava osservato come nessun elemento agli atti consentisse di ritenere che il provvedimento di licenziamento fosse stato adottato per ritorsione al precedente contenzioso avviato dal COGNOME e culminato con la sua reintegra in servizio; era pacifica del resto l’avvenuta cessazione di ogni attività produttiva da parte di RAGIONE_SOCIALE una volta finito l’appalto Trenitalia, e ne costituiva indubbia conferma il fatto che la società fosse stata posta in liquidazione ed avesse avviato la procedura di licenziamento collettivo di tutti i dipendenti e dal gennaio 2016 non avesse occupato alcun dipendente. La dedotta impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di qualsiasi tipo di mansioni costituiva pertanto giustificato motivo oggettivo.
Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione COGNOME NOME NOME con un unico motivo di ricorso al quale hanno resistito RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE con unico controricorso illustrato da memoria depositata prima dell’udienza ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 c.p.c., artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 e numero 5 c.p.c. Omesso esame di un fatto (id est esclusione per contratto della prestazione lavorativa unitaria da parte delle resistenti costituite in ATI) decisivo per il giudizio. Illegittimità manifesta, per avere la Corte d’appello, rigettato l’appello nonostante si fosse discostata apertamente dall’iter argomentativo adottat o
dal tribunale rispetto alla ravvisabilità dell’unico centro di imputazione dei rapporti giuridici in relazione al requisito della prestazione lavorativa esclusivamente il lavoratore che aveva promosso il giudizio, dato che al fine di individuare un unico centro di imputazione doveva porsi attenzione non solo ai rapporti tra lavoratore ricorrente e l’asserito centro unico di imputazione ma anche ai rapporti tra quest’ultimo e gli altri lavoratori. Pur condividendo la censura sollevata la Corte aveva ritenuto comunque di rigettare l’appello seguendo un difforme iter argomentativo rispetto al decisum del tribunale, da cui il superamento dell’articolo 348 ter comma cinque CPC. La Corte d’appello aveva infatti omesso di considerare, in violazione dell’articolo 360 numero 5 c.p.c., letto in combinato disposto con l’articolo 1362 c.c. ogni valutazione in ordine al contratto sottoscritto tra le due società esistenti in forza del quale le stesse si sono costituite in ATI; infatti per espressa previsione contrattuale esse avevano deciso di non avvalersi di un’unica organizzazione della forza lavoro e pertanto di conservare ciascuna la piena autonomia operativa, con propria organizzazione di mezzi e proprio personale. Nonostante la superiore pattuizione contrattuale escludesse ab origine qualsivoglia ipotesi di utilizzazione promiscua della forza lavoro tra le due società la Corte ha ritenuto illegittimamente giustificata tale utilizzazione del personale.
Con la costituzione in ATI delle resistenti ciascuna impresa avrebbe dovuto conservare la propria piena autonomia operativa organizzazione di mezzi e personale ma così non era stato.
2.- Il ricorso deve essere ritenuto inammissibile per svariate e concomitanti ragioni.
Anzitutto perché viola il principio di specificità del ricorso per cassazione essendo contrassegnato da censure frammiste e
confuse, laddove il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso; il singolo motivo, infatti, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono, quindi, una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito.
3.- Sul punto v. pure Cass. n. 7009 del 17/03/2017: In materia di ricorso per cassazione, l’articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate.
4.- Il ricorso manca inoltre di specificità e di autosufficienza posto che non riproduce il documento la cui valutazione assume essere stata omessa e non indica la sua collocazione nell’ambito del processo.
5.- Sussiste pure sul punto l’inammissibilità per la novità della censura posto che la sentenza gravata non parla di questo profilo relativo al contratto sottoscritto tra le due società esistenti in forza del quale le stesse si sono costituite in ATI; talchè il ricorrente avrebbe dovuto documentare e riprodurre nel ricorso il contenuto delle censure svolte sul punto nei precedenti gradi di giudizio.
6- Il ricorso è inoltre inammissibile perché non si confronta con il decisum e non confuta le affermazioni della Corte d’appello ed anzi le capovolge e le travisa avendo la Corte detto esattamente il contrario di quanto sostiene il ricorrente; ossia che non vi fosse stato alcun accertamento della ricorrenza degli indici
sintomatici del collegamento societario, tra cui quello relativo all’utilizzazione promiscua dei lavoratori.
6.- La Corte non ha mai affermato che l’utilizzazione promiscua del personale fosse ammissibile in ragione della predetta ATI avendo solo affermato che non fosse emersa alcuna attività lavorativa da parte dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE ha poi affermato che due dipendenti di RAGIONE_SOCIALE avessero svolto un’attività di istruzione e coordinamento nei confronti del personale RAGIONE_SOCIALE; ma che tuttavia, lungi dall’essere espressione di quella utilizzazione indifferenziata e promiscua del personale dipendente di due società fece parte di un gruppo, essa trovava la sua diversa motivazione e giustificazione nel raggruppamento temporaneo di imprese e dunque nella necessità di favorire l’avviamento del personale della società mandataria con le risorse in termini di esperienza fornite da un responsabile della società mandante.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamen to da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio dell’8.11.2024