Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6140 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 6140 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 15209/2024 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
Azienda Ospedaliera Universitaria ‘INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di cassazione;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Catania n. 352/2024 pubblicata il 22 aprile 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette e udite le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME per la ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, e l’Avv. NOME COGNOME per il controricorrente, che ne ha domandato il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso cautelare depositato telematicamente il 22 luglio 2016 NOME COGNOME ha chiesto al Tribunale di Catania di ordinare all’Azienda Ospedaliera Universitaria ‘INDIRIZZO‘ (da ora solo Azienda) la sua reintegrazione nel posto di lavoro, in ragione dell’illegittimità e/o nullità dell’addebito disciplinare di cui alla nota 003431 del 28 gennaio 2016 , per intempestività dello stesso e per vizi procedurali, nonché lamentando la violazione del termine di cui all’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 e, nel merito, assumendo l’insussistenza di una giusta causa e, in subordine, la sproporzione della sanzione erogata.
Con ordinanza del 24 luglio 2017 il Tribunale di Catania, nel contraddittorio delle parti, ha dichiarato illegittimo il licenziamento con preavviso della ricorrente.
Tale ordinanza è stata confermata, in sede di opposizione, con sentenza n. 203/2020.
L’Azienda ha proposto, quindi, reclamo che la Corte d’appello di Catania, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 370/2022, ha accolto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione che la Corte di cassazione, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 21227/2023, ha accolto, con riferimento al mancato compimento del giudizio di proporzionalità da parte della corte territoriale.
La Corte d’appello di Catania, di nuovo adita, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 352/2024, ha confermato la sua prima decisione.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’Azienda si è difesa con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324 e 394 c.p.c., in quanto la corte territoriale non avrebbe considerato che si sarebbe ormai formato il giudicato interno in ordine alla mancata contestazione delle assenze degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, non fatte valere nei termini di legge dall’Azienda, ad eccezione delle giornate di settembre e ottobre 2015, convertite in debito e, in seguito, recuperate economicamente dalla medesima Azienda.
A suo avviso, la Corte d’appello di Catania non avrebbe potuto indicare il piano di rientro programmato dall’Azienda per il recupero del debito orario quale elemento per effettuare il giudizio di proporzionalità, atteso che le relative assenze sarebbero state convertite in debito orario e la correlata retribuzione sarebbe stata recuperata.
La censura è infondata.
In primo luogo, si rileva che nel precedente ricorso per cassazione la medesima ricorrente aveva lamentato che non era stato considerato ‘il fatto storico rappresentato dal recupero economico del debito orario maturato dalla lavoratrice dal 2012 al 2015 (f ino all’11 dicembre 2015, con la decurtazione proporzionale della retribuzione mensile’ ).
Pertanto, non può adesso dolersi del fatto che il giudice di appello ne abbia tenuto conto in sede di rinvio.
Inoltre, si osserva che, in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od
argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia (Cass., Sez. L, n. 107 del 3 gennaio 2024).
Nella specie, la Corte d’appello di Catania ha compiuto, comunque, un giudizio di merito, del tutto motivato e che ha considerato gli elementi presenti agli atti.
D’altronde, in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denot ando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione co llettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (Cass., Sez. L, n. 2013 del 13 febbraio 2012).
Nel caso in esame, la corte territoriale ha, quindi, ben operato, valutando la portata dell’elemento soggettivo della ricorrente, dimostratosi intenso, la condotta non collaborativa avuta in precedenza e il non contestato inadempimento della stessa al pian o di rientro predisposto dall’Azienda.
Soprattutto, ha valorizzato la circostanza che la dipendente si fosse assentata senza giustificazione dal lavoro anche nel mese di settembre e ottobre 2015 ‘nella piena consapevolezza di non avere nemmeno recuperato le assenze
relative ai periodi precedenti’ e nonostante l’Azienda avesse cercato di venire incontro alle sue esigenze preparando il menzionato piano di recupero, così incrinando definitivamente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
Con il secondo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001, artt. 54, 55, 55 bis, ter e quater, lett. b ss., della legge n. 300 del 1970, artt. 7 e 18, degli artt. 2909, 2106, e 2119 c.c., 324 c.p.c. e 3, 4, 35 e 97 Cost. in riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dalle assenze ingiustificate e non contestate nei termini di legge relative al periodo dal 2012 al 2015, in relazione alle quali l’Azienda aveva disposto la loro conversione nel recupero economico del debito orario maturato.
Inoltre, tale recupero economico delle somme dovute avrebbe ingenerato in lei un affidamento che non vi sarebbe stato un procedimento disciplinare.
La censura è infondata per le ragioni esposte con riferimento al primo motivo, che palesano come non vi fosse alcun affidamento legittimo della dipendente.
Si sottolinea, altresì, che l’eventuale non contestazione di assenze nei termini di legge di assenze non giustificate ne può forse escludere la rilevanza disciplinare, ma non la natura, appunto, di assenze non giustificate (peraltro, neppure efficacemente negata dall’interessata).
3) Il ricorso è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘In tema di responsabilità disciplinare ai sensi dell’art. 55 quater, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 165 del 2001, ai fini del giudizio proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa fare venire meno la fiducia del datore di lavoro e rendere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una
valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo . In particolare, detto giudice ben può dare rilievo all’inadempimento del lavoratore a piani di recupero predisposti dal datore di lavoro per ovviare alle conseguenze di precedenti assenze non giustificate, anche se non contestate disciplinarmente’.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in € 5.000,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, nella misura del 15%;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 4