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Licenziamento per assenza prolungata: è legittimo?

Un lavoratore, assente per oltre un anno a causa di arresti domiciliari, è stato licenziato sulla base di una clausola del CCNL. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del recesso, qualificandolo come licenziamento per assenza prolungata dovuta a impossibilità sopravvenuta della prestazione. La Corte ha stabilito che, decorso un congruo periodo, l’interesse del datore di lavoro alla prestazione viene meno, indipendentemente dall’esito del procedimento penale a carico del dipendente.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento per Assenza Prolungata: Quando è Legittimo?

L’assenza di un dipendente a causa di una misura cautelare, come gli arresti domiciliari, solleva questioni complesse. Può un’azienda procedere al licenziamento anche se l’assenza non è colpa del lavoratore? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26208/2024, ha fornito chiarimenti decisivi sul tema del licenziamento per assenza prolungata, confermando la validità di una clausola del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) che prevede la risoluzione del rapporto dopo un determinato periodo di tempo.

I Fatti del Caso: Un Anno di Assenza e Due Atti di Recesso

Il caso riguarda un dipendente di una grande società di distribuzione energetica, sottoposto a misura cautelare di arresti domiciliari nel settembre 2010. A seguito di questa misura, il rapporto di lavoro è stato sospeso. Dopo un anno, nel settembre 2011, l’azienda ha comunicato la risoluzione del rapporto di lavoro, appellandosi a una specifica clausola del CCNL di settore (art. 34 CCNL Elettrici). Questa norma consentiva la risoluzione in caso di assenza superiore a dodici mesi per motivi che impedissero la prestazione lavorativa, come appunto una misura restrittiva della libertà personale. Successivamente, nel novembre 2011, l’azienda ha anche avviato un procedimento disciplinare, culminato in un secondo licenziamento. Il lavoratore ha impugnato entrambi gli atti, dando il via a un lungo iter giudiziario.

Il Contesto del Licenziamento per Assenza Prolungata

Il cuore della controversia risiede nella legittimità della clausola contrattuale collettiva. Il lavoratore sosteneva che tale norma fosse in contrasto con i principi generali in materia di licenziamento, che richiedono una giusta causa o un giustificato motivo. A suo avviso, l’azienda avrebbe dovuto attendere l’esito del procedimento penale e, semmai, utilizzare solo lo strumento del licenziamento disciplinare.

La tesi dell’azienda, invece, si fondava sul concetto di impossibilità sopravvenuta della prestazione. Secondo questa prospettiva, la prolungata assenza del dipendente, sebbene non dovuta a sua colpa, aveva di fatto reso impossibile la sua prestazione lavorativa per un periodo talmente lungo (oltre 12 mesi) da far venir meno l’interesse del datore di lavoro a mantenerlo in servizio. Il CCNL, quindi, non faceva altro che predeterminare un periodo di tolleranza, oltre il quale l’equilibrio contrattuale si rompeva.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni degli Ermellini sono chiare e si basano su alcuni principi cardine:

1. Legittimità della Clausola del CCNL: La Corte ha stabilito che l’art. 34 del CCNL Elettrici è una norma legittima che realizza un equo bilanciamento tra gli interessi contrapposti. Da un lato, tutela il lavoratore garantendogli la conservazione del posto per un congruo periodo di 12 mesi. Dall’altro, tutela l’esigenza organizzativa dell’azienda, che non può rimanere vincolata a tempo indeterminato a un rapporto di lavoro privo della sua prestazione essenziale.

2. Qualificazione come Giustificato Motivo Oggettivo: Il licenziamento intimato ai sensi di questa clausola non ha natura disciplinare, ma rientra nella categoria del giustificato motivo oggettivo. Non si basa su una colpa del lavoratore, ma sulla constatazione oggettiva che l’impedimento a lavorare, protrattosi oltre il limite di tollerabilità fissato dal contratto collettivo, ha compromesso l’interesse del datore di lavoro.

3. Irrilevanza dell’Esito del Processo Penale: Di conseguenza, l’eventuale assoluzione del lavoratore nel processo penale è irrilevante ai fini della legittimità di questo tipo di licenziamento. La valutazione che il datore di lavoro è chiamato a fare è ex ante, al momento del recesso, e riguarda l’impatto dell’assenza sull’organizzazione aziendale, non la fondatezza delle accuse penali.

4. Coesistenza di Diverse Procedure: La Corte ha inoltre chiarito che la procedura di recesso per impossibilità sopravvenuta (ex art. 34 CCNL) e quella disciplinare (ex art. 25 CCNL) sono distinte e possono procedere parallelamente. Poiché la risoluzione per assenza prolungata era avvenuta prima, il successivo licenziamento disciplinare è stato considerato privo di effetto, in quanto il rapporto di lavoro era già cessato.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza consolida un importante principio nel diritto del lavoro. Stabilisce che i contratti collettivi possono legittimamente prevedere una risoluzione automatica del rapporto di lavoro in caso di assenza prolungata del dipendente per cause oggettive, come una misura cautelare, che rendano impossibile la prestazione. La chiave è il superamento di un periodo di comporto specifico, che rappresenta il punto di equilibrio tra il diritto del lavoratore alla conservazione del posto e l’interesse dell’impresa alla funzionalità della propria organizzazione. Per i datori di lavoro, ciò significa poter contare su uno strumento chiaro per gestire situazioni di assenza prolungata che compromettono l’attività aziendale. Per i lavoratori, la sentenza ribadisce che la tutela del posto di lavoro in queste circostanze non è illimitata, ma è circoscritta al periodo di tolleranza definito dalla contrattazione collettiva.

È legittimo il licenziamento per assenza prolungata di un lavoratore sottoposto a misura cautelare?
Sì, è legittimo se previsto da una clausola del contratto collettivo applicato che stabilisca un periodo massimo di assenza tollerabile (nel caso di specie, 12 mesi). Superato tale periodo, il recesso è giustificato da un motivo oggettivo legato all’impossibilità sopravvenuta della prestazione, che fa venir meno l’interesse del datore di lavoro al rapporto.

L’esito del processo penale, come un’assoluzione, può rendere illegittimo il licenziamento per assenza prolungata?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la legittimità del licenziamento si basa sul fatto oggettivo della prolungata assenza e sul suo impatto sull’organizzazione aziendale, valutato al momento del recesso (ex ante). Pertanto, l’esito del procedimento penale è irrilevante, poiché il licenziamento non ha natura disciplinare e non si fonda sulla colpevolezza del lavoratore.

Un’azienda può avviare contemporaneamente una procedura di licenziamento per assenza prolungata e una disciplinare per gli stessi fatti?
Sì, le due procedure possono coesistere e procedere parallelamente perché si fondano su presupposti diversi: la prima su un’impossibilità oggettiva della prestazione, la seconda su una condotta colpevole del lavoratore. Tuttavia, se il rapporto di lavoro viene risolto per la prima causa, la seconda procedura diventa inefficace poiché il rapporto è già cessato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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