Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23518 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23518 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16670-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei legali rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2264/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/05/2023 R.G.N. 447/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N.16670/2023
COGNOME
Rep.
Ud 20/05/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Roma, quale giudice del reclamo ex lege n. 92/2012, in riforma della sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione ha respinto la domanda di NOME COGNOME intesa all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento asserit amente intimatogli da Unicredit s.p.a.
La Corte distrettuale, richiamato l’ordinario criterio regolatore dell’onere della prova in tema di licenziamento orale, alla stregua del quale era il lavoratore a dover dimostrare che la cessazione del rapporto di lavoro era ascrivibile alla volontà datoriale realizzata attraverso un comportamento in tal senso concludente della parte datoriale, ha osservato che nello specifico tale onere non era stato assolto; il lavoratore non aveva mai neppure dedotto che era stata la società Unicredit ad allontanarlo dal lavoro; invero l’unico atto di licenziamento, in data 21.7.2019, non era riconducibile a Unicredit s.p.a. bensì alla formale datrice di lavoro, RAGIONE_SOCIALE, che aveva intimato detto licenziamento in ragione della sospensione del servizio oggetto di appalto disposta dalla committente Unicredit. Quest’ultima società, in ossequio alla sentenza accertativa della persistenza di un rapporto di lavoro i nter partes e della non genuinità del contratto di appalto con la RAGIONE_SOCIALE aveva proceduto alla riassunzione del lavoratore con decorrenza dal luglio 2009 e al riconoscimento delle retribuzioni a far data dalla sentenza accertativa della esistenza del rapporto lavorativo medesimo (novembre 2019); per disposto normativo il recesso intimato dalla formale datrice di lavoro non poteva quindi essere imputato alla Unicredit.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di tre motivi, la parte intimata ha depositato controricorso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c ; denunzia nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato e violazione e falsa applicazione dell’art. 4 d. lgs n. 150/2011 . La
sentenza impugnata è censurata per omessa pronunzia sulla domanda relativa all’effettivo livello di inquadramento spettante stante le conseguenze in relazione alla giusta quantificazione delle retribuzioni.
Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c. , violazione e falsa applicazione dell’art. 80 bis , comma 1 d.l. n. 34/2020 censurando la sentenza impugn ata per avere ritenuto che esso ricorrente non avesse mai neppure dedotto l’allontanamento da parte di Unicredit dal posto di lavoro.
Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 st. lav. nonché dell’art. 36 Cost e dell’art. 112 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere escluso il diritto al pagamento dell’indennità ris arcitoria per difetto di recesso riconducibile a Unicredit s.p.a; sostiene esservi la prova del licenziamento orale intimato dall’effettivo datore di lavoro che, nonostante la notifica del ricorso ex art. 32 l. n. 92/2012, in uno alla messa a disposizione delle energie lavorative, non aveva consentito al ricorrente la ripresa dal servizio.
I motivi, esaminati congiuntamente per connessione, devono essere respinti.
4.1. Si premette che il nucleo decisorio fondante il rigetto della domanda dell’odierno ricorrente è costituito dall’avere il giudice del reclamo escluso alla stregua delle medesime allegazioni del ricorrente la configurabilità nella condotta di Unicredit di un licenziamento orale, vale a dire di un atto di recesso dal rapporto di lavoro realizzato per fatti concludenti, avendo evidenziato che il mero fatto della cessazione in via definitiva delle prestazioni presso la committente Unicredit non poteva equivalere a estromissione vale a dire a esercizio della volontà di recesso.
4.2. Le censure che investono la sentenza di secondo grado laddove aveva rilevato in sintesi l’inidoneità delle allegazioni del lavoratore a dare contezza dell’avvenuto licenziamento orale da parte di Unicredit sono inammissibili in quanto per consolidata giurisprudenza di questa Corte rientrano nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, interpretazione riservata al giudice di merito, sindacabile solo per vizio di motivazione (Cass. n. 10182/2007), nello specifico
neppure formalmente prospettato. Né parte ricorrente deduce o argomenta in ordine alla affermazione, corretta in diritto (ex plurimis, Cass. 32412/2023), circa la non riferibilità al committente di un appalto rivelatosi non genuino del licenziamento intimato dal soggetto formale datore di lavoro.
4.3. L ‘esclusione della sussistenza di un atto di recesso imputabile ad Unicredit assorbe il rilievo connesso all’indennità risarcitoria ex art. 18 st. lav. che è strettamente conseguente all’accertamento della illegittimità del licenziamento. In relazione al pr imo motivo, si rileva poi che, per come pacifico, l’originario ricorso aveva ad oggetto l’impugnativa di licenziamento asseritamente intimato da Unicredit , per cui il tema della correttezza dell’inquadramento attribuito dalla detta società all’esit o della pronunzia giudiziale di accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro con il COGNOME per violazione del divieto di intermediazione di manodopera in conseguenza della non genuinità dell’appalto con la formale datrice di lavoro esulava dalla materia del contendere e poteva assumere rilievo solo sotto il profilo della corretta determinazione dell’indennità risarcitoria, questione come visto rimasta assorbita.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 20 maggio 2025