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Licenziamento orale: la prova spetta al lavoratore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13683/2025, ha stabilito che l’onere della prova del licenziamento orale ricade sempre sul lavoratore. Anche se il datore di lavoro nega in toto l’esistenza del rapporto, questa difesa non solleva il dipendente dal dover dimostrare l’effettiva volontà del datore di interrompere il contratto. La Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando che la negazione del rapporto non è logicamente incompatibile con la negazione del licenziamento stesso.

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Licenziamento Orale: Su Chi Ricade l’Onere della Prova?

Un lavoratore che afferma di aver subito un licenziamento orale ha sempre l’obbligo di provarlo, anche quando il datore di lavoro si difende negando persino l’esistenza del rapporto lavorativo. Questo è il principio chiave riaffermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 13683 del 2025, che offre importanti chiarimenti sull’applicazione della regola dell’onere della prova nelle controversie di lavoro.

I Fatti di Causa: Un Rapporto di Lavoro Controverso

Il caso nasce dalla vicenda di un cuoco che aveva lavorato per una società in accomandita semplice (s.a.s.) per un brevissimo periodo, dal 5 all’8 agosto 2019. Al termine di questi giorni, il lavoratore sosteneva di essere stato allontanato verbalmente e in modo definitivo dalla socia accomandataria, qualificando tale atto come un licenziamento orale illegittimo.

La società e i suoi soci, di contro, hanno adottato una linea difensiva radicale: non solo negavano il licenziamento, ma contestavano l’esistenza stessa di un qualsiasi rapporto di lavoro subordinato, sostenendo che fosse stato il lavoratore ad andarsene spontaneamente, ritenendo il lavoro non di suo gradimento.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Trieste, pur riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti per il periodo indicato. Tuttavia, i giudici di secondo grado avevano respinto la domanda relativa al licenziamento. La motivazione era chiara: il lavoratore non era riuscito a fornire alcuna prova concreta di essere stato licenziato oralmente. La Corte aveva quindi applicato la regola generale dettata dall’art. 2697 del Codice Civile, secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

I Motivi del Ricorso e la questione del licenziamento orale

Insoddisfatto della decisione, il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, affidandosi a diversi motivi. Il più rilevante si basava sulla presunta violazione del “principio di non contestazione”. Secondo il ricorrente, la difesa del datore di lavoro – che negava l’intero rapporto – era logicamente incompatibile con l’ipotesi di dimissioni o abbandono del posto. In altre parole, sostenendo “non hai mai lavorato per me”, il datore di lavoro non avrebbe potuto, implicitamente, sostenere che il lavoratore si fosse dimesso. Questa incompatibilità, secondo la tesi del lavoratore, avrebbe dovuto portare il giudice a considerare il licenziamento come un fatto non contestato e, quindi, provato.

Altri motivi di doglianza

Oltre alla questione principale, il ricorso toccava altri punti, tra cui l’omessa valutazione di prove (come uno scambio di email), la responsabilità illimitata del socio accomandante e l’errata qualificazione del rapporto come part-time in assenza di un contratto scritto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato infondati tutti i motivi del ricorso, confermando la decisione d’appello. I giudici hanno smontato l’argomentazione principale del lavoratore, chiarendo un punto fondamentale di diritto processuale. La posizione difensiva del datore di lavoro, consistente nella negazione radicale del rapporto, non è affatto incompatibile con la negazione del fatto specifico del licenziamento orale. Anzi, è perfettamente coerente. La Corte ha osservato che, così come la negazione dell’esistenza del rapporto esclude logicamente la possibilità di dimissioni, allo stesso modo esclude la possibilità di un licenziamento.

Di conseguenza, non si può applicare il principio di non contestazione. Il fatto del licenziamento, affermato dal lavoratore, rimane un fatto controverso che necessita di essere provato. L’onere della prova, pertanto, non si sposta e rimane a carico del lavoratore che lo ha allegato. La Corte ha ritenuto la conclusione dei giudici d’appello “ineccepibile sul piano logico-giuridico”.

Anche gli altri motivi sono stati respinti, in particolare quello relativo alla responsabilità del socio accomandante, poiché non era stata fornita la prova di un suo coinvolgimento diretto nella gestione dell’impresa, al di là dei contatti iniziali.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Datori di Lavoro

Questa ordinanza consolida un principio cruciale: il lavoratore che agisce in giudizio per far dichiarare l’illegittimità di un licenziamento orale ha sempre la responsabilità di dimostrare che tale licenziamento sia effettivamente avvenuto. La strategia difensiva del datore di lavoro, anche la più estrema come la negazione dell’intero rapporto, non inverte né attenua questo onere. Per i lavoratori, ciò significa che è fondamentale raccogliere prove concrete (testimoni, messaggi, registrazioni) della volontà del datore di estromettere il dipendente. Per i datori di lavoro, la sentenza conferma che una difesa basata sulla negazione dei fatti costitutivi del rapporto non comporta un’ammissione implicita di altri fatti dedotti dalla controparte.

Se un datore di lavoro nega l’esistenza stessa di un rapporto di lavoro, il lavoratore è esonerato dal provare di essere stato licenziato oralmente?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che la negazione totale del rapporto non è incompatibile con la negazione del licenziamento. L’onere della prova del licenziamento orale spetta sempre e comunque al lavoratore che lo afferma.

Come può un lavoratore provare un licenziamento orale?
La sentenza non specifica le modalità di prova, ma in generale questa può essere fornita attraverso qualsiasi mezzo, come deposizioni di testimoni, registrazioni audio, messaggi di testo, email o altri documenti che dimostrino in modo inequivocabile la volontà del datore di lavoro di interrompere il rapporto.

La responsabilità del socio accomandante per i debiti di lavoro di una s.a.s. è automatica?
No. La Corte ha confermato che per estendere la responsabilità illimitata al socio accomandante è necessario provare che questi si sia ingerito nella gestione dell’impresa, compiendo atti di amministrazione che vanno oltre la semplice collaborazione o i contatti preliminari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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