Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13683 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13683 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12287-2022 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’ avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 117/2021 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 01/12/2021 R.G.N. 76/2021;
Oggetto
Lavoro subordinato
R.G.N. 12287/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 21/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Trieste, in parziale accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME contro la sentenza del Tribunale di Gorizia n. 96/2021, che per l’effetto parzialmente riformava, accertava e dichi arava che tra l’appellante e la s.a.s. RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME era intercorso, dal 5 all’8 agosto 2019, un rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto lo svolgimento delle mansioni di cuoco di IV livello del CCNL Pubblici Esercizi e quindi il diritto del lavoratore ad essere retribuito per l’attività svolta, pari a 4 ore al giorno, in misura corrispondente al minimo previsto dalle tabelle retributive contrattuali; respingeva gli appelli incidentali proposti, anche in via subordinata, dalle parti appellate; respingeva altresì tutte le altre domande proposte dall’appellante; compensava interamente fra le parti le spese di lite del secondo grado.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, rivalutate le risultanze processuali, riteneva necessario integrare la decisione di primo grado, dichiarando che fra le parti sRAGIONE_SOCIALE Cacao e NOME COGNOME era intercorso un rapporto di lavoro subordinato, e condannando la società datrice di lavoro, e la socia accomandataria COGNOME a pagare le retribuzioni maturate a suo favore.
2.1. In particolare, la Corte, in mancanza di altri elementi di prova, riteneva che l’orario di lavoro non poteva che essere quello che emergeva dalla deposizione della teste COGNOME (e cioè dalle 11.00 alle 15.00), e ciò per tutta la durata del rapporto
ovvero dal 5 all’8 agosto 2019, e che al lavoratore spettava l’inquadramento nel IV livello del CCNL Pubblici Esercizi.
2.2. Tuttavia, escludeva a riguardo la responsabilità solidale del socio accomandante Todone Ivo.
Quanto alla questione del licenziamento, la Corte riteneva doversi applicare il principio di diritto espresso dalla richiamata Cass. n. 3822/2019, e che il COGNOME non aveva fornito la prova di essere stato licenziato oralmente.
3.1. Disattendeva, altresì, i due argomenti di carattere logico che solamente il lavoratore aveva in proposito allegato, sicché concludeva che era inevitabile applicare la regola di giudizio dettata dall’art. 2697 c.c. e che di conseguenza non era possibile accogliere le domande fondate sul presupposto dell’avvenuto licenziamento orale.
Avverso tale decisione COGNOME Fabrizio ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi e successiva memoria.
RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno resistito con unico controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., per inosservanza del principio di ‘non contestazione’ nella parte in cui il Giudice non ha tenuto conto della incompatibilità logica della difesa as sunta dalle parti resistenti con l’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro riconducibile a fatto del lavoratore’.
Con il secondo motivo ‘violazione dell’art. 360 n. 5 e n. 3 c.p.c., art. 115 c.p.c.; art. 416, comma III, c.p.c.’, ‘per avere
la Corte di Appello di Trieste omesso di valutare le allegazioni e le conclusioni formulate in via subordinata nella memoria di costituzione in I grado della RAGIONE_SOCIALE e della socia accomandataria dd. 23/12/2019, fatto decisivo in merito alla valutazione della prova dl licenziamento, in quanto, in tali allegazioni e conclusioni, la citata parte resistente non ha contestato espressamente il licenziamento, limitandosi a chiedere -in via subordinata, in ipotesi di accertamento del rapporto di lavoro subordinato -il non accoglimento della domanda di reintegrazione per difetto del requisito numerico’.
Con un terzo motivo ‘(da intendersi, in subordine al I e II motivo)’ denuncia ‘violazione dell’art. 360 n. 5 e art. 2697 c.c., per omesso esame e valutazione di un fatto decisivo, consistito nella offerta delle prestazioni lavorative da parte del ricorrente (contenuta nella lettera di impugnazione del licenziamento) e nel rifiuto delle medesime espresso dal datore di lavoro con la e-mail del 16/10/2019, fatti che di per sé costituiscono prova piena e diretta della volontà datoriale di estromettere il lav oratore’.
Con un quarto motivo ‘(da intendersi, in subordine ai tre motivi precedenti)’ denuncia ‘violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e degli art. 2727 e 2729 c.c.; per non avere la Corte di Appello di Trieste valutato ai fini probatori circostanze di fatto, pacifiche in causa, da cui dedurre, secondo gli schemi inferenziali di cui agli artt. 2227 e 2729 c.c., la prova del fatto che il rapporto di lavoro è cessato per volontà datoriale’.
Con un quinto motivo ‘(da intendersi, in via ulteriormente subordinata)’ denuncia ‘violazione dell’art. 360 n. 3 e art. 112 c.p.c.; per aver omesso la Corte di Appello di Trieste di pronunciarsi sulla domanda (da considerare implicita
a quella avente ad oggetto la reintegrazione) di accertamento della perdurante vigenza del rapporto di lavoro e di condanna del datore al pagamento delle retribuzioni nelle more maturate o, alternativamente, di risarcimento del danno derivante dal mancato percepimento delle retribuzioni’.
Con un sesto motivo (erroneamente indicato come ‘V’ a pag. 16 del ricorso per cassazione) denuncia ‘violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e art. 2697 c.c. per aver la Corte di Appello di Trieste fondato la decisione su una indebita inversione dell’onere probatorio in merito alla sussistenza della procura speciale, in caso di socio accomandante, a svolgere le trattative ed a concludere il contratto di lavoro’.
Con il settimo motivo (erroneamente indicato come ‘VI’ a pag. 17 del ricorso), secondo il ricorrente ‘(da intendersi in via subordinata al V motivo)’ (cfr. pag. 3 del ricorso), denuncia ‘violazione dell’art. 360 n. 5, per avere, la Corte di Appello di Trieste, omesso di considerare il fatto decisivo che il socio accomandante ha agito ben oltre l’asserito incarico, così come delineato dalle allegazioni di parte resistente’.
Con un ottavo motivo (erroneamente indicato come ‘VII’ a pag. 21 del ricorso) denuncia ‘violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e violazione degli artt. 2697 c.c.; 1 e 5 del Dlgs. N. 81/2015, art. 7 del C.C.N.L. Pubblici Esercizi, per avere la Corte errato nell’invertire l’onere probatorio in merito alla sussistenza di un contratto parttime’.
Il primo motivo è infondato.
Torna a sostenere il ricorrente ‘come le stesse allegazioni di entrambe le parti resistenti -di radicale negazione della sussistenza di un rapporto di lavoro -necessariamente (da
un punto di vista logico, appunto) escludevano l’ipotesi di dimissioni o di risoluzione consensuale (<>). Il che, considerata la tipicità delle cause di cessazione del rapporto di lavoro, avrebbe dovuto condurre il Giudice di Appello a ritenere non contestata -e, quindi, provata in causa -la circostanza dell’avvenuto licenziamento per volontà datoriale’.
Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, nel vigente ordinamento processuale i fatti allegati da una delle parti vanno considerati pacifici -e quindi possono essere posti a fondamento della decisione -quando siano stati esplicitamente ammessi dalla controparte oppure quando questa pur non avendoli espressamente contestati abbia tuttavia assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la loro negazione, così implicitamente ammettendone l’esistenza (così, tra le altre, Cass. n. 14403/2022).
La Corte di merito, nell’esaminare la questione del licenziamento orale dedotto dal lavoratore, ha premesso che quest’ultimo ‘sostiene infatti che l’8 agosto la sig.ra COGNOME lo allontanò improvvisamente (e in modo definitivo) dal posto di lavoro (e qualifica il preteso recesso della società datrice di lavoro come licenziamento); la s.aRAGIONE_SOCIALEs. COGNOME, la sig.ra COGNOME e il sig. COGNOME affermano invece che fu il sig. COGNOME a decidere di andarsene di sua iniziativa (ritenendo il lavoro non di suo gradimento)’ .
Ebbene, la stessa Corte, dopo aver escluso che il COGNOME avesse direttamente ‘fornito alcuna prova di essere stato licenziato oralmente’, ha esaminato i due soli ‘argomenti
di carattere logico’ sostenuti a riguardo dall’allora appellante (cfr. § 4.2. a pag. 15 della sua sentenza).
13.1. In particolare, nel considerare il primo di essi, attualmente riproposto nel motivo in esame, ha osservato ‘che l’avere la s.a.s. COGNOME e i sig.ri COGNOME COGNOME contestato l’esistenza stessa del rapporto di lavoro nulla dice anche dopo l’accertame nto del fatto che esso è invece sorto -sulle modalità con cui si è interrotto, rimanendo altrettanto possibile che il lavoratore sia stato allontanato dal datore di lavoro (ovvero licenziato), come afferma l’appellante, oppure che se ne sia andato di sua spontanea volontà, come sostengono gli appellati’.
Ora, rilevato che la Corte di merito ha ulteriormente argomentato sul punto (cfr. in extenso § 4.2.1. tra la pag. 15 e la pag. 16 della sua sentenza), la conclusione così tratta dalla stessa è ineccepibile sul piano logico-giuridico.
Invero, la posizione difensiva assunta dai resistenti in primo grado, ribadita in sede d’appello, circa la radicale l’inesistenza del rapporto di lavoro allegato dal lavoratore istante non era assolutamente incompatibile con la negazione del fatto del licenziamento orale in data 8.8.2019 dedotto dal lavoratore.
Contrariamente, infatti, a quanto attualmente assume il ricorrente la negazione dell’esistenza stessa del rapporto lavorativo opposta dai resistenti come escludeva la possibilità che il lavoratore si fosse dimesso così escludeva la possibilità che lo stesso fosse stato licenziato.
Possono essere esaminati congiuntamente il secondo motivo e il settimo motivo, che entrambi fanno riferimento
all’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. ed appaiono inammissibili.
16. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche Sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamen to un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), specificandosi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Sez. un. n. 8053/2014; Sez. un. n. 19881/2014); che in tale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive o di censure proposte (Sez. un. n. 20399/2019). E’ stato, inoltre, precisato che non costituiscono fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio in parola: a) le argomentazioni o deduzioni difensive; b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti; c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa; d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame (in tal senso, riassuntivamente,
Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022).
Orbene, nel secondo motivo il ricorrente non deduce l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nei termini sopra specificati, bensì addebita alla Corte territoriale di aver ‘omesso di valutare le allegazioni e le conclusioni formulate in via subordinata nella memoria di costituzione in I grado dalla RAGIONE_SOCIALE e della socia accomandataria dd. 23/12/2019′.
Analogamente, nel settimo motivo ciò che si assume non considerato non è un fatto, ma un assunto difensivo del ricorrente, secondo il quale ‘il socio accomandante ha agito ben oltre l’asserito incarico, così come delineato dalle allegazioni di parte re sistente’; assunto che, a sua volta, si fonda su lettura sia di determinate allegazioni delle controparti che di altre risultanze processuali (i messaggi intercorsi tra il RAGIONE_SOCIALE e il Todone su Whats App) (cfr. pagg. 17-19 del ricorso).
Parimenti inammissibile è il terzo motivo di ricorso, che pure fa riferimento al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.
Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, ammette la denuncia innanzi alla S.C. di un vizio attinente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza provenga dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, con la necessaria conseguenza che è onere del ricorrente, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., indicare il fatto storico, il dato da cui esso
risulti esistente, il come ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (così, tra le altre, Cass., sez. un., 30.7.2021, n. 21973).
Ebbene, dei due fatti, che si assumono pretermessi dalla Corte territoriale -ossia, l’offerta delle prestazioni lavorative, asseritamente contenuta nella lettera d’impugnazione del licenziamento del 20.9.2019, e il rifiuto delle stesse, espresso nella e-mail datoriale del 16.10.2019 -il ricorrente non ha assolutamente dedotto come e quando abbiano formato oggetto di discussione tra le parti.
22. E’ ancora inammissibile il quarto motivo.
Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di prova per presunzioni, spetta al giudice di merito non solo la valutazione dell’opportunità di fare ricorso alla stessa, ma anche l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e l’accertamento della rispondenza degli stessi ai prescritti requisiti di gravità, precisione e concordanza: il relativo apprezzamento costituisce un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, la cui denuncia non può peraltro risolversi nella mera prospettazione di un convincimento diverso da quello espresso nel provvedimento impugnato, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (così, tra le altre, Cass., sez. I, 14.9.2022, n. 27070; Cass., sez. I, 26.4.2023, n. 10908; Cass., sez. III, 21.7.2022, n. 22824; Cass., sez. lav., 5.8.2021, n. 22366).
Pertanto, rilevato che nella censura in esame il ricorrente non denuncia anomalie motivazionali negli stretti limiti consentiti in questa sede di legittimità, lo stesso non può ammissibilmente addebitare alla Corte di merito di non aver fatto ricorso ad un ragionamento presuntivo.
25. Il quinto motivo è inammissibile.
Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’articolo 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una doman da o un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente e inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronuncia si sia resa necessaria e ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis , la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi (così, tra le altre, Cass. n. 6959/2024; n. 28072/2021).
Orbene – in disparte la considerazione che il vizio di omessa pronuncia doveva essere denunciato ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c., deducendo la nullità della sentenza -, lo stesso ricorrente si riferisce, non già ad una domanda ritualmente ed inequivocabilmente formulata, bensì ad una domanda, secondo lo stesso, ‘da considerarsi implicita in quella avente ad oggetto la reintegrazione’, e cioè una domanda ‘di accertamento della perdurante vigenza del rapporto di lavoro e di condanna del datore al pagamento delle retribuzioni nelle
more maturate o, alternativamente, di risarcimento del danno derivante dal mancato percepimento delle retribuzioni’.
27.1. Inoltre, il ricorrente non considera che la Corte ha accertato che il rapporto di lavoro tra il RAGIONE_SOCIALE e la s.a.s. RAGIONE_SOCIALE era durato solo dal 5 all’8 agosto 2018, ed era terminato in quest’ultima data, in conformità alla prima e precisa richiesta de ll’appellante (cfr. le conclusioni per l’appellante riportate nell’impugnata sentenza alle pagg. 2 -3, in cui, peraltro, non compare più la domanda di reintegra dalla quale -a detta del ricorrente -dovrebbe desumersi per implicito quella di perdurante vigenza dello stesso rapporto).
28. Il sesto motivo è privo di fondamento.
Contrariamente a quanto assume il ricorrente nello svolgimento di questa censura, la Corte territoriale non ha ‘accertato il compimento da parte del Todone di specifici atti di gestione’.
Piuttosto, la Corte ha ritenuto che: ‘Non vi sono prove da cui ricavare con certezza che il sig. COGNOME si sia ingerito nella conduzione dell’impresa e che quindi sussistano i presupposti per ritenerlo responsabile dei conseguenti debiti ai sensi dell’art. 2320 c.c.’.
Ha considerato, in particolare, che egli, socio accomandante della RAGIONE_SOCIALEpubblicò l’annuncio in Internet, contattò il sig. COGNOME e poi fu presente all’incontro fra quest’ultimo e la sig.ra COGNOME socia accomandataria, ma che mancasse ‘invece la prova che abbia fatto ciò non su incarico della socia accomandataria, e come semplice forma di collaborazione, ma di sua iniziativa ed esercitando un effettivo ed autonomo potere decisionale e gestorio (con particolare
riguardo alla scelta di assumere personale, e cioè di un nuovo cuoco al posto del sig. COGNOME e di ritenere idoneo a questo fine il sig. COGNOME facendogli poi prendere servizio e dirigendone il lavoro all’interno del locale)’.
29.1. Conseguentemente, non essendo stati ritenuti dimostrati atti di gestione da parte del Todone in relazione alla vicenda di cui è causa, non è riscontrabile nell’impugnata sentenza la dedotta illegittima inversione dell’onere della prova in violazione dell’art. 2697 c.c. perché, secondo il ricorrente, era a carico dell’accomandante l’onere di dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità illimitata verso il terzo COGNOME, ossia, quello nella specie di provare l’esistenza di una procura speciale che lo abilitasse al singolo affare.
E’ infine infondato l’ottavo motivo di ricorso.
La Corte territoriale, infatti, non ha accertato la sussistenza di un contratto di lavoro part-time in mancanza dell’assolvimento del requisito della prova scritta dello stesso, secondo quanto assume il ricorrente.
Come riportato in narrativa, e come è stato ben specificato nel dispositivo dell’impugnata sentenza, la Corte di merito ha accertato che tra il RAGIONE_SOCIALE e la s.a.s. RAGIONE_SOCIALE era ‘intercorso, dal 5 all’8 agosto 2019, un rapporto di lavoro subordinato’, senza specificare che si trattasse di rapporto a tempo parziale, ed ha, altresì, accertato ‘il diritto del lavoratore ad essere retribuito per l’attività svolta, pari a 4 ore al giorno, in misura corrispondente al minimo previsto dalle tabelle retributive contrat tuali’.
In altre parole, il numero di 4 ore al giorno non rispecchia un correlativo orario a tempo parziale, bensì riflette un
accertamento probatorio operato dalla Corte di merito, in base alla deposizione della teste COGNOME circa le ore di attività di fatto prestate per tutta la breve durata del rapporto.
Il ricorrente, pertanto, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 21.1.2025.
La Presidente NOME COGNOME