Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21404 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21404 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6292-2023 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
AZIENDE RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2690/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/09/2022 R.G.N. 529/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 05/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
R.G.N. 6292/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 05/06/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, in riforma del provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE accertando la legittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo in data 17.5.2019 e l’insussistenza della natura ritorsiva del suddetto recesso.
La Corte territoriale ha rilevato che la lavoratrice svolgeva la mansione di Responsabile dell’ufficio commerciale ( Director sales & marketing), livello di Quadro di cui al CCNL settore Commercio, sin dal maggio 2018 (assunzione strettamente correlata al progetto di riorganizzazione avviato dal nuovo direttore generale NOME COGNOME, ruolo che -a seguito dell’andamento negativo del fatturato rel ativo agli anni 2018 e 2019 e al fallimento del progetto di riorganizzazione avviato dal COGNOME -era sta to soppresso (nell’ambito della riorganizzazione aziendale finalizzata ad ottenere una maggiore efficienza e economicità di gestione) ed accentrato nella persona del Presidente del Consiglio di amministrazione; i giudici del merito hanno, inoltre, accertat o l’assenza di posizioni libere alle quali adibire la ricorrente, considerate la posizione elevata ricoperta all’interno dell’organigramma aziendale, la specifica professionalità, l’assenza di successive assunzioni nella medesima posizione, la mancata indicazione da parte della lavoratrice di posti ove poter essere collocata (da valorizzare quale indice presuntivo dell’assenza di posti ove collocare la lavoratrice), ed hanno, altresì, sottolineato che il licenziamento era stato effettuato per ‘economicità d i gestione’, ossia per riduzione dei costi del personale, ragione che si rendeva di per sé incompatibile con il reimpiego (in altra
mansione) della lavoratrice; infine, i giudici di merito hanno escluso la ricorrenza di profili ritorsivi, a fronte dell’accertata legittimità del licenziamento, aggiungendo che la natura ritorsiva era stata altresì esclusa nell’ambito della causa promossa dal direttore generale COGNOME Infine, la Corte territoriale ha rigettato la domanda di ricalcolo dell’indennità di mancato preavviso in quanto l’indicazione della cifra richiesta (euro 31.317,99 in luogo della somma erogata dal datore di lavoro pari a euro 23.333,33) non era minimamente illustrata e supportata da criteri concernenti il calcolo effettuato né poteva sopperirsi alle lacune di allegazione tramite la documentazione prodotta nel fascicolo di parte.
Avverso tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, 115 e 416 c.p.c. avendo, la Corte territoriale, ritenuto provata la ragione organizzativa posta a base del licenziamento sulla sola scorta del principio di non contestazione, non potendosi interpretare come mancata contestazione la deduzione contenuta nelle note depositate per l’udienza 18.5.2021 – che ‘nell’immediato’ la ri corrente non era stata sostituita da un nuovo Direttore commerciale. Inoltre, non è stato provato il nesso causale tra la crisi aziendale e la riorganizzazione aziendale e soppressione del posto.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, 2697 c.c., 115 e 416 c.p.c. avendo, la Corte territoriale, affermato l ‘adempimento dell’obbligo di repêchage da parte del datore di lavoro nonostante non sia stata provata una riorganizzazione aziendale.
I primi due motivi di ricorso non sono fondati.
3.1. In via generale, ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, giova ribadire che l’art. 3 della legge n. 604 del 1966 richiede: a) la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso; b) la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali – insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati – diretti ad incidere sulla struttura e sull’organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività; c) l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili (v., in tali termini, Cass. n. 24882 del 2018).
3.2. Occorre pure ribadire che la più recente e ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost.; ove, però, il giudice accerti in concreto l’inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta (Cass. n. 10699 del 2017, Cass. n. 9468 del 2019). E’ sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa (Cass. n. 25201 del 2017).
3.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto accertata (in quanto fatti da ritenersi pacifici tra le parti, non solo in forza del principio di non contestazione ma per espressa deduzione della lavoratrice) la soppressione del posto ricoperto dalla COGNOME (posto creato in forza del progetto di riorganizzazione avviato dal nuovo direttore generale, COGNOME, assunto nel 2017, modello organizzativo che si era rivelato fallimentare, con conseguente licenziamento del
COGNOME stesso e soppressione delle posizioni introdotte dallo stesso); la soppressione della posizione era dovuta ad una crisi aziendale e al netto peggioramento del fatturato negli anni 2018 e primo quadrimestre del 2019 (come dimostrato dalla stessa documentazione prodotta dalla lavoratrice) e al conseguente abbandono del piano di riorganizzazione predisposto dal COGNOME; i giudici del merito hanno, inoltre, ritenuto adempiuto l’obbligo di repêchage secondo una inferenza presuntiva che non è stata censurata. Come questa Corte ha più volte affermato (Cass. n. 10484 del 2004; Cass. n. 2668 del 2000; Cass. n. 914 del 1999; Cass. n. 30462 del 2023), la prova per presunzione semplice (art. 2729 cod.civ.) ha la stessa dignità e rilevanza processuale degli altri mezzi di prova c.d. libera, affidata al prudente apprezzamento del giudice. Inoltre, “spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità” (Cass. n. 22366 del 2021).
Con il terzo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 108 del 1990, 4 della legge n. 604 del 1966, 1365 e 2697 avendo, la Corte di appello, affermato -in base a mera petizione di principio -che il licenziamento della lavoratrice non aveva carattere ritorsivo esclusivamente perché tale caratteristica è stata esclusa nei confronti del direttore generale COGNOME.
Il motivo non è fondato.
5.1. Questa Corte ha precisato che, per accordare la tutela che l’ordinamento riconosce a fronte del carattere ritorsivo del
licenziamento, occorre che detto intento datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816/2005), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 5555/2011; Cass. n. 6838/2023). Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L’esclusività sta a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale, motivo lecito che, invece, nel caso di specie la Corte territoriale ha accertato.
6. Con il quarto motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 414 c.p.c., 2121 c.c. e 188 del CCNL aziende alberghiere avendo, la Corte territoriale, dichiarato nulla, per indeterminatezza, la domanda di condanna delle differenze dovute sull’indennità di mancato preavviso nonostante non potesse ritenersi assolutamente incerto il petitum e, comunque, dovendosi ritenere sanata la suddetta nullità a fronte della mancata fissazione di un termine perentorio da parte del giudice e della mancata tempestiva contestazione da parte del convenuto, anche considerato che i conteggi erano stati prodotti.
7. Il motivo è inammissibile.
7.1. Il motivo è inammissibile per mancato rispetto delle prescrizioni imposte dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., in quanto la parte ricorrente omette di trascrivere, almeno nelle parti essenziali, e di depositare in allegato al ricorso per cassazione gli atti processuali su cui la censura si fonda (nel caso di specie il ricorso introduttivo del giudizio e la memoria di costituzione della società in primo grado). Come statuito da questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi, da interpretare, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, in modo non eccessivamente formalistico, impone, comunque, che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., S.U. n. 8950 del 2022).
7.2. Inoltre, nel caso di specie difetta la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la ricorrente non censura il consolidato principio richiamato dalla Corte territoriale secondo cui le lacune espositive rinvenute nel ricorso introduttivo del giudizio non possono essere colmate con la produzione documentale, utile a comprovare fatti già allegati: invero, ‘il mero deposito di documenti – quali quelli contenenti i conteggi relativi alla spettanze economiche richieste e la contrattazione collettiva di categoria applicabile – anche se avvenuto contestualmente al ricorso introduttivo della lite non può supplire alla carenza della causa petendi e del petitum , risultando la loro completa formulazione in ricorso un passaggio obbligato per la
definizione del thema decidendum e per l’individuazione dei fatti da accertare ed eventualmente da provare, se non contestati o ammessi da controparte’ (Cass. n. 13825/2008; nello stesso senso, da ult. Cass. n. 13625/2019, Cass. n. 9646/2022, Cass. n.1084/2023, Cass. 14450/2024).
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 giugno 2025.
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME