Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31551 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31551 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 29547-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMESTUDIO LEGALE NCTM), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE STRAORDINARIARAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
Oggetto
R.G.N. 29547/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 22/10/2024
CC
ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
e sul RICORSO SUCCESSIVO N. 1 SENZA N.R.G.
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente successivo n. 1 –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMESTUDIO LEGALE NCTM), che la rappresenta e difende;
– controricorrente al ricorso successivo n. 1 nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente al ricorso successivo n. 1 e sul RICORSO SUCCESSIVO N. 2 SENZA N.R.G.
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli
avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente successivo n. 2 contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente al ricorso successivo n. 2 nonché contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE);
– intimata –
avverso la sentenza n. 3726/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/10/2022 R.G.N. 1686/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n.3726/22, pronunciando sull’appello principale proposto da COGNOME NOME e sull’appello incidentale proposto da Compagnia Aerea RAGIONE_SOCIALE ha accolto il principale e rigettato quello incidentale. Pertanto, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato in data 30 luglio 2019 alla lavoratrice da RAGIONE_SOCIALE ed ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro; con condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge; ha dichiarato invece improponibile la domanda di condanna a
contenuto economico azionata dalla lavoratrice nei confronti di Alitalia RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria.
2.- A fondamento della sentenza la Corte territoriale ha affermato che il rapporto di lavoro di COGNOME NOME, ricostituito ex tunc per nullità del termine e conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a far data dall’1/6/2013, si fosse trasferito ex art. 2112 c.c. all ‘ impresa cessionaria Alitalia RAGIONE_SOCIALE non essendo opponibile da parte di quest’ultima l’esclusione prevista dall’accordo di cessione di azienda del 12 luglio 2014 (seguito dall’accordo 26.11.2014, con decorrenza non oltre il 1° gennaio 2015) per i lavoratori non facenti parte dell’elenco dei lavoratori trasferiti, e ciò secondo la corretta interpretazione dell’articolo 47, comma 4bis legge n. 428/90.
Di conseguenza l’impresa cedente (RAGIONE_SOCIALE doveva considerarsi estranea al rapporto di lavoro effettivo con la Ottoveggio e quindi il suo recesso – del 30.7.2019 – doveva essere dichiarato nullo od inefficace, quale negozio giuridico unilaterale inidoneo ad interrompere il rapporto di lavoro ed in quanto emesso da soggetto estraneo al rapporto di lavoro medesimo.
Tuttavia, secondo la Corte territoriale, il comma 1 del novellato art. 18 l. 300/70 prevede la reintegra piena nei casi ivi contemplati di licenziamento nullo ovvero discriminatorio o determinati da motivo illecito determinante ovvero negli “altri casi di nullità previsti dalla legge’; mentre la violazione dell’art. 2112 c.c. non prevede la nullità del recesso. Sicchè, esclusa la c.d. tutela reintegratoria ‘piena’, doveva rilevarsi che la ragione oggettiva addotta nell’atto di recesso di CAI (cessazione de ll’attività di trasporto aereo) potesse piuttosto inquadrarsi nell’ipotesi, pure regolata dall’art. 18 S.L., della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per
g.m.o., ove apprezzata la concreta ragione addotta con riferimento all’effettivo datore di lavoro Alitalia Sai. Si doveva quindi applicare la tutela di cui al comma 4 dell’art. 18 novellato (cd. reintegra attenuata), con annullamento del licenziamento, condanna alla reintegrazione della lavoratrice, corresponsione di una indennità risarcitoria nella misura massima di 12 mensilità.
3.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con dieci distinti motivi ( articolati all’interno di due più ampie categorie di motivi) ai quali ha resistito COGNOME NOME con controricorso e RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria.
4.- Con un primo ricorso successivo la sentenza è stata impugnata anche da RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria con sette motivi di ricorso ai quale ha resistito NOME COGNOME con controricorso.
5.- Inoltre la sentenza è stata impugnata con un secondo ricorso successivo da NOME COGNOME con cinque motivi ai quali hanno resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE.p.A. e Alitalia Società Area Italiana S.p.A. in amministrazione straordinaria.
6.Tutte le parti hanno depositato memoria prima dell’udienza.
Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
Sintesi dei motivi del ricorso di RAGIONE_SOCIALECAI).
1.- Con il primo motivo di ricorso, sulla tutela ex art. 18 legge n. 300/1970, si deduce l’omesso esame di fatti oggetto di discussione tra le parti e decisivi per il giudizio (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) atteso che le motivazioni della sentenza prendono le mosse da un assunto erroneo, non avendo considerato che al momento del licenziamento della sig.ra
Ottoveggio, come nei mesi precedenti, CAI impiegava meno di sedici dipendenti.
2.- Con il secondo motivo di ricorso si sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, primo comma e 116, primo comma c.p.c., per omesso esame della documentazione allegata da CAI sin dal primo grado del giudizio, a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., che avrebbe ulteriormente confermato l’applicazione, al caso di specie, delle tutele di cui all’art. 8 della Legge n. 604/1966 e non certo di quelle di cui all’art. 18, comma 4 e ss. della Legge n. 300/1970.
Con il terzo motivo di ricorso si sostiene la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in merito alla tutela ex art. 8 legge n. 604/1966 invocata da CAI ed applicabile nell’ipotesi di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimat o alla sig.ra COGNOME (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.), unica tutela effettivamente invocabile dalla sig.ra COGNOME nell’ipotesi di accertamento della illegittimità del licenziamento intimato dalla Società.
Con il quarto motivo di ricorso si sostiene la violazione ed errata applicazione dell’art. 18, commi 4, 7 e 8 della Legge n. 300/1970, anche in relazione all’art. 8 della Legge n. 694/1966, per insussistenza del necessario e imprescindibile requisito dimensionale richiesto dalla normativa applicata dalla Corte territoriale (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.); la Corte ha affermato che ‘deve tuttavia rilevarsi che la ragione oggettiva addotta nell’atto di recesso di CAI (cessazione dell’attività di trasporto aereo) potesse piuttosto inquadrarsi nell’ipotesi di cui all’art 18 SL della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per g.m.o., ove apprezzata la concreta ragione addotta con riferimento all’effettivo datore di lavoro Alitalia Sai.
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della Legge n. 300/1970, anche in relazione all’accertata applicazione al caso di specie dell’art. 2112 c.c. (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) avendo la sentenza innanzitutto affermato che, in virtù delle operazioni societarie intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, il rapporto di lavoro della sig.ra COGNOME è transitato ope legis ex art. 2112 c.c. in quest’ultima società a decorrere dal 1° gennaio 2015, con tutte le logiche conseguenze connesse alla sorte del licenziamento intimato a non domino, ovvero da CAI, correttamente qualificato quale negozio giuridico inidoneo ad interrompere il rapporto di lavoro; poi però, ciononostante, la Corte ha contraddittoriamente condannato CAI al risarcimento del danno ex art 18, 4 comma.
Con il sesto motivo di ricorso si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e, comunque, per motivazione apparente, in merito al riconoscimento delle tutele di cui all’art. 18, commi 4 e 7 della Legge n. 300/1970, a seguito di accertato trasferimento del rapporto di lavoro ex art. 2112 c.c. (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.).
Con il settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 7 Legge n. 300/1970 per aver la Corte di appello considerato, ai fini della decisione sul g.m.o., il contesto economico-organizzativo di RAGIONE_SOCIALE società terza rispetto all’imprenditore che ha effettivamente intimato il recesso (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.), ed ha rilevato ‘che la ragione oggettiva addotta nell’atto di recesso di RAGIONE_SOCIALE (cessazione dell’attività di trasporto aereo) può inquadra rsi nell’ipotesi di cui all’art 18 SL della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per
g.m.o., ove apprezzata la concreta ragione addotta con riferimento all’effettivo datore di lavoro Alitalia Sai.
Con l’ottavo motivo si deduce la nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c. (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) perché le conclusioni cui è giunta la Corte d’Appello sono comunque state rese in evide nte violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto si sono pronunciate su un’eccezione e domanda della sig.ra COGNOME che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, mai ha ritenuto (neppur implicitamente) il licenziamento intimato da CAI privo di un valido motivo oggettivo sotto il profilo della non corrispondente situazione economica in cui versava la diversa società RAGIONE_SOCIALE, al momento stesso del recesso.
9.- Con il nono motivo, in merito alla quantificazione della retribuzione globale di fatto della COGNOME, si deduce il vizio di omesso esame di fatti oggetto di discussione tra le parti e decisivi per il giudizio (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.), atteso che la Corte territoriale ha quantificato l’indennità risarcitoria nella misura massima di dodici mensilità (visto il tempo trascorso dal licenziamento alla odierna reintegra), sulla base di una retribuzione globale di fatto di euro 1.494,87 (costituita da stipendio base: e. 901,36; indennità di volo minima garantita: e. 443,28; tredicesima e quattordicesima mensilità: e. 150,23) relativa ad un orario di lavoro full time e senza tener conto che la lavoratrice svolgeva un orario di lavoro part time.
10.- Con il decimo motivo si deduce violazione degli artt. 115, comma 1 e 116, comma 1 c.p.c. per omesso esame della documentazione agli atti utile ai fini della corretta quantificazione del risarcimento del danno (a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.) posto che dalla semplice analisi della documentazione prodotta sia dalla sig.ra COGNOME che da CAI
risultava del tutto evidente che tra le parti era in essere un rapporto di lavoro con orario di lavoro part-time.
11.- Del ricorso proposto da CAI devono essere esaminati preliminarmente il quinto ed il sesto motivo, i quali rivestono valore pregiudiziale ai fini della definizione della causa, con assorbimento degli altri motivi.
12.- I predetti motivi devono ritenersi fondati: sia perché il licenziamento intimato da CAI alla lavoratrice COGNOME dopo la cessione di azienda non può essere definito illegittimo per ingiustificatezza (mancanza di gmo), bensì deve ritenersi giuridicamente inesistente. E sia perché la cedente CAI non può essere condannata a pagare alcunchè alla lavoratrice (neppure in via solidale), essendo il rapporto continuato ex lege col cessionario, unico soggetto obbligato a risarcire il danno.
13.- Il recesso perciò in quanto tam quam non esset non può essere affetto da ingiustificatezza, illegittimità o nullità che condurrebbero all’applicazione della tutela ex art. 18 l.300/70 o della tutela ex art 8 l.604/1966, trattandosi di un atto proveniente da soggetto estraneo al rapporto lavorativo, con conseguente impossibilità di ratifica da parte del cessionario. La tutela che ne segue è perciò quella di diritto comune, perché il rapporto deve considerarsi in essere e deve seguire la corresponsione di tutte le retribuzioni medio tempore maturate, nei limiti che saranno indicati.
14.- Nei suddetti termini la giurisprudenza di questa Corte deve ritenersi oramai assestata; da ultimo in Cass. ord. n. 3235/2024, si precisa che ‘ secondo la giurisprudenza pacifica e consolidata il licenziamento intervenuto dopo il passaggio ex lege del rapporto di lavoro, garantito dall’effetto legale ex art. 2112 c.c. in caso di cessione di azienda (o retrocessione), è tam quam non esset e non deve essere impugnato in alcun termine di decadenza, perché non si discute nemmeno di licenziamenti
e della relativa disciplina. La domanda svolta dal lavoratore in tali casi è intesa soltanto a far valere l’effettività del passaggio; ad avvalersi cioè degli effetti ex lege della cessione e non ad impugnare un licenziamento che per essere intervenuto dopo il passaggio è inidoneo ad inficiare gli effetti legali del passaggio ed a determinare alcuna estinzione del rapporto; anche per difetto di legittimazione sostanziale e di titolarità del rapporto in capo al cedente. Il rispetto della normativa sui licenziamenti individuali, ivi compreso l’onere del rispetto della impugnazione, deve ritenersi richiamato dall’art. 2112, 4° comma c.c. solo per i casi di possibile recesso da parte del cedente prima che l’effetto di continuità garantito dal 1°comma dell’articolo 2112 c.c. possa esprimere i suoi effetti ‘.
Negli stessi termini si era già pronunciata la sentenza n. 27322 del 26/09/2023: ‘ In caso di trasferimento di azienda, la cessione dei contratti di lavoro avviene ope legis ex art. 2112 c.c., sicché il licenziamento intimato dal cedente successivamente alla cessione è totalmente privo di effetti ‘; ed in precedenza sentenza n. 8621 del 23/06/2001: ‘ Il licenziamento intimato da soggetto che non riveste la qualità di datore di lavoro è totalmente privo di effetti, con la conseguenza che, in tale ipotesi, non è configurabile alcun onere di impugnazione per i destinatari dell’atto .’
15.La conclusione presa è oggi avvalorata dall’art. 80 -bis del d.l. 34/2020, il quale esclude che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro, menzionati dall’art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2015, rientri il licenziamento intimato dal datore di lavoro apparente in quanto interposto. La norma è di interpretazione autentica ed è quindi applicabile retroattivamente anche a controversie sorte precedentemente alla sua entrata in vigore. Essa è già stata estesa da questa Corte per identità di ratio anche al cd. appalto non genuino di
servizi (Cass. n. 32412 del 22/11/2023) e richiamata anche a proposito del licenziamento intimato dal cedente dopo la cessione di azienda (da Cass. n. 3235/2024).
16.- Pertanto, per concludere sul punto, occorre ribadire che il licenziamento intimato a non domino , da un soggetto effettivamente estraneo al rapporto (datore di lavoro formale, apparente o comunque soggetto non legittimato), non sia idoneo in nessun caso ad esplicare effetti sul rapporto di lavoro instaurato con il datore di lavoro sostanziale.
17.- Vanno invece dichiarati assorbiti gli altri motivi del ricorso di CAI relativi al requisito dimensionale, sollevati ai fini della tutela obbligatoria piuttosto che reale, che invece non si applicano, entrambe, al caso di specie, essendo indifferente ai fini della tutela di diritto comune la soglia dimensionale dell’impresa.
18.I motivi riferiti alla nozione del gmo (come l’aver valutato il gmo intimato da CAI in relazione alla situazione economica organizzativa di Alitalia SAI) sono parimenti assorbiti atteso che il licenziamento non è invalido sotto il profilo della giustificazione, bensì giuridicamente inesistente dal punto di vista della carenza della titolarità sostanziale e della legittimazione ad estinguere il rapporto.
La sentenza deve essere cassata perché applica il regime dell’art.18 l.300/70 (in relazione all’ipotesi della mancanza del fatto) al licenziamento intimato per gmo da CAI, pur essendo lo stesso licenziamento tam quam non esset; mentre nemmeno si configura una ipotesi di nullità, sempre ai sensi dell’art.18, primo comma l.300/70.
19.- Vanno altresì dichiarati assorbiti i motivi riferiti al calcolo della retribuzione globale di fatto previsti dall’ art. 18 l.300/70 che, come appena detto, non si applica al caso di specie, avendo la lavoratrice diritto al risarcimento di diritto comune,
da computare secondo i criteri generali di calcolo sulla base della natura retributiva del danno azionato in giudizio.
Sintesi dei motivi del ricorso Alitalia
20.- Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e dell’art. 47 della L. 428/90 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) essendo la sentenza impugnata stata emessa in aperta violazione di quanto sanci to dall’art. 2112 c.c. e della recente interpretazione di tale disposizione; in particolare per aver sostenuto che la cessione dei compendi aziendali da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE sia avvenuta ex art. 47, comma 4 bis della l.n. 428/1990 che ha previsto espressamente nell’ipotesi di trasferimento di aziende in crisi ovvero di aziende che beneficiano dell’intervento straordinario della cassa integrazione guadagni per programmi di crisi aziendale – la possibilità di modulare con accordi sindacali gli effe tti dell’art. 2112 c.c. anche per quanto riguarda il numero e l’individuazione dei rapporti di lavoro destinati a transitare alle dipendenze della cessionaria.
20.1. Il motivo è inammissibile ex art 360bis c.p.c.
Sulla cessione ex art. 2112 c.c. di imprese in crisi ed in particolare sull’inopponibilità , alla luce della direttiva UE, dell’esclusione prevista dall’accordo di cessione di azienda al lavoratore che ha diritto al passaggio (in caso di procedura non liquidatoria e di continuazione o mancata cessazione dell’attività), come è nel caso di specie, la pronuncia della Corte di appello di Roma è del tutto conforme alla giurisprudenza consolidata di legittimità ( v. per tutte, Cass. n. 10414 del 01/06/2020) che si è pronunciata nella materia, affermando i seguenti principi:’ In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lett. c), della l. n. 675 del 1977, ovvero per le quali sia stata disposta l’amministrazione
straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del d.lgs. n. 270 del 1999, l’accordo sindacale di cui all’art. 47, comma 4-bis, della l. n. 428 del 1990, inserito dal d.l. n. 135 del 2009, conv. in l. n. 166 del 2009, può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario, in quanto la locuzione – contenuta del predetto comma 4-bis -“Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo”, va letta in conformità al diritto dell’Unione europea ed alla interpretazione che dello stesso ha fornito la Corte di giustizia, 11 giugno 2009, in causa C-561/07 (all’esito della procedura di infrazione avviata nei confronti della Repubblica italiana per violazione della direttiva 2001/23/CE), nel senso che gli accordi sindacali, nell’ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del cedente sebbene non “in vista della liquidazione dei beni”, non possono disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento di impresa. (Fattispecie relativa a cessione di compendio aziendale da Alitalia RAGIONE_SOCIALE ad Alitalia RAGIONE_SOCIALE).
Il principio è stato ribadito da Cass. 17/8/2020 n. 17198 nei seguiti termini: ‘In caso di trasferimento di un’azienda in crisi, intangibile il diritto della dipendente dell’impresa cedente di passare alle dipendenze della cessionaria. A seguito della procedura di infrazione avviata dalla Corte di giustizia rispetto alla normativa italiana che, con l’art. 47, commi 5 e 6, della l. n. 428/1990 per il caso di trasferimento di impresa in ‘crisi aziendale’, non garantiva ai lavoratori i diritti riconosciuti dal l’art. 3, nn. 1, 3 e 4 della Direttiva 2001/CE/23 (mantenimento delle stesse condizioni di lavoro e contrattuali tra il datore di lavoro cedente e l’impresa cessionaria, divieto di
licenziamento), lo Stato Italiano ha emanato legge 166/2009. Tale legge, all’art. 19 quater (che ha introdotto il comma 4 bis al predetto art. 47 della L.428/90) prevede, in caso di ‘aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale’ e ‘p er le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria ….in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività’, che ‘l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione’, ma ‘nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo’ sindac ale. In un caso in cui, in conformità dell’accordo sindacale aziendale, era stato negato alla dipendente di una società in crisi aziendale il passaggio alla società cessionaria, la Cassazione, con la sentenza in commento, chiarisce come tale accordo sindacale possa intervenire sulle ‘condizioni di lavoro’ dei lavoratori ma non può privarli del proprio diritto di proseguire il rapporto presso il cessionario, ritenendo l’interpretazione data alla norma dalla Corte di Appello di Roma (che aveva ritenuto lecito l’accordo sindacale con cui si definivano le liste con i nomi di quanti sarebbero passati alle dipendenze dell’acquirente) in contrasto con il diritto comunitario ed in particolare con l’art. 5 della predetta Direttiva 2001/CE/23′.
Da ultimo in continuità si è espressa Cassazione n. 10524/2022, con riguardo alla medesima vicenda, la quale ha richiamato ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., i precedenti n. 10414 del 2020 ed i successivi conf.: Cass. nn. 10415, 17193, 17194, 17195, 17198, 17199, 17201, 17202 del 2020, dai cui princìpi il Collegio non ha ravvisato di doversi discostare ed ha affermato: ’11. Con riguardo all’interpretazione e alla portata applicativa della L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, comma 4-bis, le censure (di cui al quarto e quinto motivo CAI e al terzo e quarto motivo SAI), oltre a presentare i profili di inammissibilità già evidenziati con riguardo alla idoneità della sentenza impugnata ad esplicitare il percorso logico-giuridico
posto a fondamento della decisione, sono in ogni caso infondate perché va condiviso il seguente principio di diritto: “In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi della L. 12 agosto 1977, n. 675, art. 2, comma 5, lett. c), ovvero per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività, ai sensi del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, l’accordo sindacale di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, comma 4-bis, inserito dal D.L. n. 135 del 2009, conv. in L. n. 166 del 2009, può prevedere deroghe all’art. 2112 cod.civ. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario”. Invero, la Corte di Giustizia (sent. 11.6.2009, C561/07), all’esito della procedura di infrazione, ha affermato che, mantenendo in vigore le disposizioni di cui alla L. n. 428 del 1990, art. 47, commi 5 e 6, in caso di “crisi aziendale” a norma dell’art. 2, comma 5, lett. c), della L. n. 675 del 1977, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza della Direttiva 2001/23/CE posto che lo stato di crisi aziendale non costituisce in sé motivo economico per riduzione dell’occupazione, né costituisce in sé ragione di deroga al principio generale secondo cui il trasferimento di un’impresa o di parte di essa non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario, dovendo i licenziamenti essere giustificati da motivi economici, tecnici o d’organizzazione. La Corte di giustizia ha chiaramente distinto, agli effetti dell’interpretazione delle deroghe alle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della Direttiva, “la situazione dell’impresa di cui sia stato accertato lo stato di crisi” (il cui procedimento mira a favorire la prosecuzione dell’attività dell’impresa nella prospettiva di una futura ripresa) rispetto alla situazione di imprese nei cui confronti siano in atto procedure
concorsuali liquidative (rispetto alle quali la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata). Per la prima categoria di imprese – alveo in cui è riconducibile la vicenda oggetto del presente giudizio, come è pacifico in giudizio e neppure controverso tra le parti – l’art. 5, paragrafo 2, lettera b), così come richiamato dal paragrafo 3 della Direttiva 2001/23, autorizza gli Stati membri a prevedere che possano essere modificate “le condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa”, ma – secondo la Corte di Giustizia – “senza tuttavia privare i lavoratori dei diritti loro garantiti dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23”. In base alla statuizione della Corte di Giustizia UE va condotta la lettura delle modifiche apportate alla L. n. 428 del 1990, art. 47 dal D.L. n. 135 del 2009, conv. in L. n. 166 del 2009, che, con l’art. 19-quater, ha inserito, dopo il comma 4, il seguente comma 4-bis, proprio “al fine di dare esecuzione alla sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee’. In particolare, il comma 4-bis appare destinato alle procedure non liquidative a differenza del comma 5 che invece presuppone la cessazione dell’attività d’impresa o, comunque, la sua non continuazione, in simmetria con le deroghe consentite rispettivamente dal paragrafo 2 e dal paragrafo 1 dell’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE alle regole generali previste negli artt. 3 e 4. Dunque, l’unica lettura coerente dell’art. 47 risulta quella che si coordina con le indicazioni offerte dalla Corte di Giustizia: nel contesto del comma 5 dell’art. 47, in caso di trasferimento di imprese o parti di imprese il cui cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso, il principio generale è (per i lavoratori trasferiti alle dipendenze del cessionario) l’esclusione delle tutele di cui all’art. 2112
cod.civ., salvo che l’accordo preveda condizioni di miglior favore; la regola è dunque l’inapplicabilità, salvo deroghe; al contrario, nel comma 4-bis la regola è di ordine positivo (“trova applicazione”), per cui la specificazione “nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo” non può avere un significato sostanzialmente equivalente – con sovrapposizione di effetti – rispetto al comma 5, se non contraddicendo la ratio sottesa alla diversità testuale delle previsioni. Insomma, il comma 4bis dell’art. 47 ammette solo modifiche, eventualmente anche in peius, all’assetto economico-normativo in precedenza acquisito dai singoli lavoratori, ma non autorizza una lettura che consenta anche la deroga al passaggio automatico dei lavoratori all’impresa cessionaria. Da ultimo va notato che il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (“Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155”; G.U. n. 38 del 14.2.2019, che entrerà in vigore il 16.5.2022) all’art. 368, comma 4, lett. b), ha disposto la sostituzione dei commi 4- bis e 5, ed ha così più esplicitamente inteso recepire – meglio conformando il futuro dettato normativo – l’unica lettura del comma 4-bis che questa Corte ritiene già percorribile in via ermeneutica anche per il passato, quale unica “interpretazione conforme” al diritto dell’Unione. ‘
La Corte di appello con la sentenza qui impugnata ha adottato una soluzione in linea con l’interpretazione accolta dall’indirizzo di legittimità sopra riportato e resta quindi immune dalle censure che le sono state mosse col ricorso.
21. Con il secondo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), nella parte in cui il Giudice territoriale, ha violato, ovvero falsamente applicato tanto l’art. 2112 c.c., nella formulazione vigente all’epoca dei fatti di causa, quanto l’art. 2697 c.c.,
laddove ha affermato che era ‘ infondata l’eccezione di RAGIONE_SOCIALE sub b (mancata prova di far parte del ramo d’azienda oggetto di cessione): gli accordi di cessione aziendale avevano per oggetto ‘i compendi aziendali dedicati all’esercizio dell’attività di trasporto aereo di Al italia CAI comprensivo dei beni strumentali’; quindi non possono esservi dubbi sull’appartenenza della ricorrente quale assistente di volo – al settore aziendale funzionale all’attività di volo, settore quindi trasferito alla società cessionaria’; mentre controparte non si offriva minimamente di comprovare di essere parte del ramo d’azienda oggetto di cessione, non articolando alcun capitolo di prova al riguardo e non formulando alcuna domanda in tal senso.
21.1. Il secondo motivo è inammissibile, atteso che la Corte di appello ha ritenuto che, in virtù dei fatti di causa, non vi fossero dubbi che la ricorrente ‘ quale assistente di volo’ appartenesse ‘al settore aziendale funzionale all’attività di volo, settore quindi trasferito alla società RAGIONE_SOCIALE. Il motivo di ricorso mira invece alla riconsiderazione degli accertamenti di fatto e non è deducibile in Cassazione al di fuori della violazione dell’art.360 n. 5 c.p.c. (vizio di motivazione per omessa valutazione fatto decisivo); mentre non esiste la violazione dell’art.115 la quale postula che il giudice non ammetta le prove ed affermi che la domanda non sia provata ovvero ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale. Nè parallelamente sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c. che presuppone che il giudice abbia valutato una prova legale secondo il prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale.
22.- Con il terzo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 4 e comma 5 della legge n. 183/2010 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), nella
parte in cui la Corte di Appello ha affermato che non risulta applicabile la citata L.183/2010 art. 32, comma 4, lett. d) nell’ipotesi di trasferimento d’azienda, poichè la domanda del lavoratore volta all’accertamento del passaggio del rapporto di lavoro, in capo al cessionario, non è soggetta a termini di decadenza, non essendovi alcun onere di far accertare formalmente, nei confronti del cessionario, l’avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro.
Il terzo motivo è inammissibile ex art 360 bis c.p.c.; questa Corte, come già rilevato, ha affermato con orientamento oramai costante, che la domanda del lavoratore volta all’accertamento del passaggio del rapporto di lavoro in capo al cessionario non è soggetta a termini di decadenza, perché non vi è alcun onere di far accertare formalmente, nei confronti del cessionario, l’avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro, in particolare applicandosi la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. c), ai soli provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda impugnare, al fine di contestarne la legittimità o la validità (cfr. Cass. n. 9469 del 2019; Cass. n. 13648 del 2019).
A fortiori non risulta applicabile la L. n. 183 del 2010, art. art. 32, comma 4, lett. d), la quale comunque postula l’invocazione della illegittimità o invalidità di atti posti in essere da un datore di lavoro solo formale in fenomeni dal carattere propriamente interpositorio e trattandosi di norma di chiusura di carattere eccezionale, non suscettibile, pertanto, di disciplinare la fattispecie di cui all’art. 2112 cod.civ. già contemplata dalla lettera precedente (Cass. n. 3235/2024; Cass. n. 28750 del 2019; v. pure Cass. n. 13179 del 2017; conf. Cass. n. 4883 del 2020; n. 10415 del 01/06/2020).
23.- Col quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 L 300/70 in relazione all’art. 360 primo comma, n. 3 c.p.c. in quanto CAI, che dopo la conversione
del rapporto a termine per effetto della provvisoria sentenza del Tribunale di Civitavecchia ha dovuto riammettere in servizio la Sig.ra COGNOME non ha potuto far altro che risolvere il rapporto per intervenuta cessazione dell’attività (cfr., sul punto , Cass., 24.9.2010, n. 20232).
Il quarto motivo è inammissibile sia perché non spiega il motivo della violazione dedotta (dell’art. 18) che riguarda solo la tutela, mentre la censura sollevata attiene soltanto al piano fattuale; sia perché deduce una difesa che non le appartiene. In ogni caso il motivo è infondato perché non tiene conto che il licenziamento era stato intimato da CAI a non domino dopo che il rapporto era già trasferito in capo ad Alitalia SAI e che pertanto non si applica l’art.18.
24. Con il quinto motivo di ricorso si sostiene la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 L. 300/70, art. 32 L. 83/10, art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 4 marzo 2015, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., atteso che, nella denegata e non creduta ipotesi in cui il provvedimento risolutorio de qu o fosse giudicato illegittimo, giammai poteva disporsi la reintegrazione nel posto di lavoro bensì, al più, il datore di lavoro poteva essere condannato, ad un risarcimento del danno secondo le previsioni del nuovo comma 5 dell’art. 18 Stat. Lav..
Il quinto motivo è assorbito perché alla fattispecie non si applica l’art.18 cit., bensì la tutela di diritto comune.
25.- Col sesto motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE deduce la nullità della motivazione resa dalla Corte di Appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. avendo fatto riferimento alla ricorrente ‘COGNOME allorquando la fattispecie in scrutinio attiene alle vicende lavorative della Sig.ra COGNOME
26.- Col settimo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. dal momento che la Corte di Appello, ha pretermesso del tutto l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li ha indicati genericamente senza, tuttavia, compiere alcuna approfondita disamina logica e giuridica.
I motivi sesto e settimo sono infondati atteso che il riferimento alla lavoratrice COGNOME piuttosto che COGNOME, contenuto soltanto nella motivazione della sentenza , configura un mero lapsus calami , che non integra difetto di motivazione, né nullità della sentenza essendo contenute nella stessa pronuncia affermazioni motive logiche ed esaustive, testualmente riferite alla stessa lavoratrice reclamante COGNOME COGNOME la cui individuazione non sconta pertanto nessuna incertezza all’interno della sentenza con riferimento ad alcuna delle questioni affrontate.
Sintesi dei motivi del ricorso di COGNOME NOME
27.- Con il primo motivo di impugnazione COGNOME NOME lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18, commi 1, 2 e 4 Legge n. 300 del 1970, della disciplina di diritto comune in materia di adempimento e di risarcimento del danno nei contratti a prestazione corrispettive (artt. 1176, 1453 c.c.), dell’art. 12 preleggi, dell’art. 2112 c.c., dell’art. 1418 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. ; perché la Corte territoriale ha qualificato come mera nullità anzichè inesistenza il vizio del licenziamento a non domino intimato da CAI, e comunque ha negato l’applicazione al caso di specie dell’art. 18, comma 1, Legge n. 300/1970 o, in subordine, delle norme di diritto comune in materia di adempimento e di risarcimento del danno nei contratti a prestazione corrispettive, ritenendo erroneament e applicabile la norma di cui all’art.18,
28. Con il secondo motivo di impugnazione si deduce l’error in procedendo in relazione all’art. art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. -motivazione illogica e contraddittoria quanto alla accertata nullità del licenziamento a non domino, perché la sentenza era fondata su motivazione apparente in punto di accertamento della nullità anziché della inesistenza del licenziamento a non domino.
I primi due motivi del ricorso proposti da COGNOME devono ritenersi fondati; anzitutto in relazione e nei limiti di quanto affermato in precedenza per il ricorso di CAI (motivi 5 e 6), avendo la Corte di appello applicato l’art.18, 4 comma l.300/1970 ad una ipotesi di licenziamento inesistente rispetto alla quale opera la continuità del rapporto ed il risarcimento del danno di diritto comune.
La motivazione della pronuncia è altresì contraddittoria, perché la Corte ha affermato in primis l’inesistenza e la nullità del licenziamento; ma poi ha affermato che alla violazione del 2112 c.c. si applicasse la tutela per la mancanza del fatto ex art 18, 4 comma. Mentre, come già detto, va applicata la tutela di diritto comune con l’accertamento della continuità del rapporto ed il risarcimento del danno.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo Cass. n. 19042/2024) per il periodo precedente all’accertamento giudiziale del rapporto, il risarcimento del danno è subordinato alla messa in mora del datore di lavoro obbligato (in ipotesi anche contenuta anche nel ricorso introduttivo); mentre dalla data della sentenza della Corte di appello che ha accertato la continuità del rapporto con RAGIONE_SOCIALE sono comunque dovute tutte le retribuzioni maturate in favore della lavoratrice.
Come già detto, il quantum dovuto non può essere posto a carico di entrambe le parti della cessione, in via solidale, essendo obbligato il solo datore di lavoro cessionario (Alitalia
RAGIONE_SOCIALE tenuto a garantire ex lege la continuità del rapporto di lavoro ed a corrispondere la retribuzione. Tuttavia la domanda di condanna non può essere pronunciata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria secondo l’accertamento già statuito nella causa dalla Corte di appello, senza sottoposizione ad alcuna censura in questa sede di cassazione.
29.- Con il terzo motivo si sostiene la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. violazione dell’articolo 907 codice della navigazione; dell’articolo 23 CCNL del 30/10/2008 per il personale navigante della CAI dell’articolo 18 statuto lavoratore; dell’articolo 1223 c.c.; dell’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale; dei canoni di ermeneutica contrattuale (articoli 1362, 1363 e ss. c.c. ) in relazione alla suddetta norma collettiva, dell’articolo 36 Costituzione avendo la Corte territoriale escluso illegittimamente dalla retribuzione globale di fatto della ricorrente l’Indennità di volo oraria mensilmente percepita quale riconosciuta dal CCNL applicabile.
30.- Con il quarto motivo si sostiene l’ error in procedendo in relazione all’articolo 360 n. 4 c.p.c., motivazione apparente, illogica e contraddittoria quanto alla esclusione dell’indennità di volo oraria (Ivo) dalla retribuzione globale di fatto della ricorrente quale riconosciuta dalla CCNL applicabile al rapporto. 31.Col quinto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli articoli 2697, 2729 e 2730 c.c., degli articoli 112, 115, 116, 102 130 c.p.c. in materia di onere e di valutazione della prova per aver illegittimamente escluso dalla retribuzione g lobale di fatto della ricorrente l’indennità di volo oraria e mensilmente percepita quale riconosciuta dal CCNL applicabile.
Con i motivi da 3 a 5 del ricorso, la ricorrente COGNOME contesta sostanzialmente la quantificazione della retribuzione globale di fatto, come operata dalla Corte territoriale che avrebbe violato le norme di legge e di contratto collettivo, considerando nella base di calcolo il solo stipendio base e l’indennità di volo minima garantita (l”IVMG’) escludendo illegittimamente l’indennità di volo oraria (l”IVO’) mensilmente percepita nel corso del rapporto di lavoro in CAI.
Gli stessi motivi devono ritenersi assorbiti in quanto nel caso di specie non si applica la disciplina risarcitoria dettata dall’art.18 l.300/1970 e il criterio della retribuzione globale di fatto, bensì quella ordinaria riferita al risarcimento di diritto comune.
32.- Sulla scorta delle premesse, va quindi accolto il quinto ed il sesto motivo del ricorso di Compagnia Aerea Italiana S.p.A. assorbiti gli altri; va pure accolto il primo ed il secondo motivo del ricorso di COGNOME NOME, assorbiti gli altri; mentre va rigettato il ricorso di Alitalia SAI.
La sentenza deve esser cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione per la prosecuzione del giudizio e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accerterà il quantum del risarcimento spettante alla lavoratrice e giudicherà anche sulle spese del giudizio di cassazione attendendosi ai principi sopra affermati, nonché tenendo conto che è passato in giudicato il capo di sentenza che ha dichiarato improponibile la domanda di condanna a contenuto economico azionata dalla lavoratrice nei confronti di Alitalia RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, e che sulla scorta delle precedenti osservazioni CAI non può rispondere del risarcimento discendente dalla continuazione del rapporto con RAGIONE_SOCIALE
Sussistono per RAGIONE_SOCIALE i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE e dichiara assorbiti gli altri; accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso di COGNOME Barbara e dichiara assorbiti gli altri; rigetta il ricorso di RAGIONE_SOCIALE Cassa la sentenza in relazione ai ricorsi ed ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione per la prosecuzione del giudizio e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono per RAGIONE_SOCIALE i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
Così deciso nella Adunanza camerale del 22.10.2024
La presidente Dott.ssa NOME COGNOME