Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6491 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6491 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5838-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
R.G.N. 5838/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 29/11/2023
CC
avverso la sentenza n. 257/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 30/07/2019 R.G.N. 191/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Ancona – in parziale accoglimento del reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 139/2018 del Tribunale di Ascoli Piceno, la quale, revocando l’ordinanza del medesimo Tribunale resa nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva rigettato la sua domanda – aveva accolto in parte la domanda del RAGIONE_SOCIALE e dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato allo stesso dalla RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE in data 3.7.2017, condannato la società reclamata alla riassunzione del lavoratore entro tre giorni dalla comunicazione della stessa sentenza o, in mancanza, al risarcimento del danno liquidato in dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale respingeva il primo, il terzo ed il settimo motivo di impugnazione, esaminati congiuntamente, e, ritenendo assorbito il sesto motivo di reclamo, giudicava invece fondati il quarto motivo, con il quale il lavoratore reclamante deduceva in ordine all’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del licenziamento in quanto era risultato dall’istruttoria espletata in primo grado che la soppressione delle mansioni di magazziniere non aveva comportato il venir meno di quelle di addetto allo smistamento della posta (postino), svolte unitamente ad altri lavoratori, fra i quali si sarebbe dovuta effettuare una comparazione in presenza della necessità di riduzione della forza lavorativa, nonché il quinto motivo, con il quale il RAGIONE_SOCIALE insisteva sulla violazione da parte dell’azienda dell’obbligo di repechage , violazione derivante dalla permanenza di alcune mansioni di lavoro dal medesimo effettuate, successivamente svolte da un nuovo assunto. Infine, riteneva fondato anche il secondo motivo di reclamo, circa la tutela da riconoscere al lavoratore licenziato.
Avverso tale decisione, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimato ha resistito con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. la <violazione e falsa applicazione di norma di diritto in particolare del medesimo art. 3 legge 604/1966 e degli artt. 1175 e 1375 c.c. in relazione alla parte della sentenza a pagina 6 dove si legge (pagina 6 secondo capoverso) che: 'Al riguardo appare utile rammentare quanto spesso ribadito dalla Suprema Corte e pienamente condiviso da questa Corte territoriale, ossia che l'esigenza, derivante da ragioni inerenti l'a ttività produttiva, di ridurre di una o più unità i dipendenti dell'azienda, se non dà luogo ad un'ipotesi di licenziamento collettivo, regolata dalla legge n. 223 del 1991, può di per sé concretare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento individuale, la cui legittimità dipende, però, dalla ulteriore condizione della comprovata impossibilità di utilizzare diversamente il lavoratore licenziato, ovvero dal rispetto delle regole di correttezza di cui all'art. 1175 c.c. nella scelta del lavoratore licenziato, tra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità (cfr. Cass. civ., Sez. L., Sentenza n. 11124 del 11/06/2004 e, recentemente, Sez. L., Sentenza n. 8661 del 28/03/2019). Pertanto, in caso di licenziamento per ragioni inerenti l'attivit à produttiva e l'organizzazione del lavoro, ex art. 3 legge n. 604 cit., ove il giustificato motivo oggettivo si identifichi nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, nell'individuare il dipendente da licenziare, il datore di lavoro, oltre a tener conto del divieto di atti discriminatori, deve agire in conformità ai principi di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che devono in generale guidare ogni comportamento delle parti di un rapporto obbligatorio (cfr. Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 25192 del 7/12/2016 e Sez. L., Sentenza n. 14021 del 08/07/2016)'. Secondo il ricorrente con questa motivazione la Corte di appello 'non ha considerato quanto risultante dall'istruttoria che, alla luce delle mansioni s volte dal RAGIONE_SOCIALE ed alla non professionalità delle mansioni prestate da postino, saltuarie e solo occasionali, non poteva essere preso in considerazione e comparato a postini professionali'.
Con un secondo motivo denuncia ex art. 360 c. 1 n. 5) c.p.c. 'omesso esame di un fatto decisivo della controversia'. Censura . Secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe omesso ‘così di considerare che le risultanze istruttorie invece evidenziano le ragioni per le quali il RAGIONE_SOCIALE non potesse essere mantenuto con mansioni diverse rispetto a quelle svolte usualmente’.
Con il terzo motivo denuncia ‘Violazione di Legge in relazione agli artt. 8 legge 604/66, art. 18 St. Lav. e art. 115 c.p.c. in relazione alla c.d. retribuzione globale di fatto e sua pretesa mancata contestazione. La Corte di Appello al riguardo deduce che ‘In conclusione, pertanto, in accoglimento del reclamo, va dichiarata l’illegittimità del licenziamento irrogato al RAGIONE_SOCIALE e, in difetto del requisito dimensionale di cui all’art. 18 St. Lav., va applicato il regime di tutela obbligatoria previsto dalla legge n. 604 del 1966. La Corte ritiene che, in applicazione di quanto prevede l’art. 8 della legge da ultimo indicata, tenuto conto dell’anzianità ultradecennale del dipendente e al non corretto comportamento del datore di lavoro che ha licenziato il RAGIONE_SOCIALE pur avendolo già adibito a mansioni diverse, la società sia tenuta alla riassunzione entro il termine di tre giorni dalla comunicazione della sentenza o, in alternativa, al risarcimento del danno, liquidato nella misura di dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto parti ad € 1.702,78 come dedotto dal reclamante e non contestato dalla reclamata’. Secondo la ricorrente, questa ‘motivazione si scontra con la documentazione depositata in atti sin dal giudizio di primo grado fase sommar ia e sia con la valenza dell’art. 115 c.p.c. la cui applicazione viene ad essere estesa oltre misura’.
Il primo motivo è inammissibile.
Esso, infatti, sotto l’apparente deduzione della violazione di norme di diritto, si fonda su una critica dell’apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte territoriale, cui si addebita di non aver considerato quanto risultante dall’istruttoria.
N ell’esposizione della censura si assume: che il RAGIONE_SOCIALE quale ‘unico magazziniere viene licenziato perché non vi è margine per il suo inserimento con altre mansioni essendovi già dipendenti che si occupano dello smistamento della corrispondenza’; che ‘anc he il fatto che da full time si è passati a part time nel corso degli anni, evidenzia proprio l’esigenza della società di sopprimere quella mansione e senza portare un incremento del lavoro nella direzione della corrispondenza, giacché se così fosse stato, si sarebbe proceduto a mantenere il rapporto full time e non part time’; che LMD ‘ha correttamente riferito e documentato e dimostrato di non poter adibire ad altre mansioni il dipendente’ perché ‘le prove per testi (Doc. n. 7) hanno permesso di riconosc ere che non vi fosse margine alcuno per il RAGIONE_SOCIALE nella distribuzione di corrispondenza che, d’altronde il medesimo, compiva solo raramente’.
La ricorrente, quindi -in contrasto con quanto consentito in questa sede di legittimità (cfr., ad es., Cass., sez. un., 27.12.2019, n. 34476) – contrappone un proprio apprezzamento delle risultanze probatorie a quello compiuto dalla Corte di merito e ad essa riservato, fondato quest’ultimo sulla circostanza (accertata sulla scorta delle deposizioni testimoniali espressamente indicate) che il RAGIONE_SOCIALE svolgeva, al pari di altri prestatori di lavoro, anche le mansioni di postino, sicché si era in presenza di dipendenti svolgenti mansioni fungibili, le cui posizioni erano da comparare.
6. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
6. 1. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, l’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo. Costituisce un ‘fatto’ agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma un vero e proprio ‘fatto’, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante; non costituiscono, viceversa, ‘fatti’, il cui omesso esame possa ca gionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive; gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o ‘il vario insieme dei materiali di causa’ (così Cass.,
sez. lav., 22.5.2020, n. 9483). Inoltre, come specificato anche dalle Sezioni unite di questa Corte, è onere del ricorrente, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., indicare il fatto storico, il dato da cui esso risulti esistente, il come ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (cfr. Cass., Sez. un., 30.7.2021, n. 21973). Infine, neppure costituiscono ‘fatti’ gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (in tal senso Cass., sez. I, 21.7.2020, n. 15568).
6.2. Ebbene, nella censura ora in esame, il ricorrente addebita alla Corte di merito l’omessa considerazione non di uno o più fatti storici ben precisi, ma globalmente delle risultanze istruttorie che avrebbero evidenziato le ragioni per le quali il RAGIONE_SOCIALE non potesse essere mantenuto con mansioni diverse rispetto a quelle svolte usualmente. Anche in questo caso, quindi, si contrappone inammissibilmente un diverso accertamento fattuale a quello compiuto dalla Corte di merito.
7 . E’ infine inammissibile il terzo motivo.
7.1. Secondo questa Corte, con riguardo al novellato articolo 115 c.p.c. spetta al giudice del merito apprezzare nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, la esistenza e il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte e tale accertamento è sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione, nei limiti in cui lo stesso sia tuttora denunciabile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. (così Cass., sez. I, 12.5.2022, n. 15256).
7.1. Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha rilevato che la misura dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari ad € 1.702,78, fosse stata dedotta dal lavoratore reclamante, il che non è posto in discussione dalla ricorrente. La stessa Corte, inoltre, ha considerato che tale indicazione era rimasta non contestata dalla società reclamante.
7.2. A fronte di tale valutazione, riservata al giudice di merito, la ricorrente senza fare esplicito riferimento al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., assume che la società avrebbe ‘documentato, con la produzione delle buste paga (Doc. n. 8) dello
stesso RAGIONE_SOCIALE la reale retribuzione e nonostante quelle buste paga non siano state contestate dallo stesso RAGIONE_SOCIALE‘, sostenendosi in sintesi che quest’ultimo non avrebbe contestato ‘la minore retribuzione percepita ed indicata in busta’ . La stessa ricorrente non solo non deduce in assoluto di aver specificamente e tempestivamente contestato in un proprio scritto difensivo la misura dell’ultima retribuzione globale di fatto precisamente indicata dalla controparte, ma fa esclusivo riferimento alla sua produzione di buste paga, che sarebbero state depositate senza precisare in quale momento del processo di merito tale produzione documentale sarebbe stata operata e quale ultima retribuzione globale di fatto, minore di quella allegata dal lavoratore, dalla stessa si poteva trarre.
8 . La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfe tario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 29.11.2023.