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Licenziamento motivo oggettivo: onere della prova

La Corte di Cassazione conferma l’illegittimità di un licenziamento per motivo oggettivo a causa della mancata prova, da parte del datore di lavoro, dell’impossibilità di ricollocare il dipendente (repechage). Il caso riguardava un magazziniere che svolgeva anche mansioni di postino, rendendo la sua posizione fungibile con quella di altri colleghi. La Corte ha stabilito che l’azienda avrebbe dovuto effettuare una comparazione tra i lavoratori prima di procedere al licenziamento, applicando i criteri di correttezza e buona fede. L’appello dell’azienda è stato dichiarato inammissibile anche sulla quantificazione del danno, poiché non aveva contestato tempestivamente la retribuzione indicata dal lavoratore.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Motivo Oggettivo: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova e il Repechage

Un licenziamento per motivo oggettivo è legittimo solo se il datore di lavoro adempie a un rigoroso onere della prova, che non si limita alla soppressione del posto, ma include la dimostrazione dell’impossibilità di ricollocare il lavoratore. Con l’ordinanza n. 6491/2024, la Corte di Cassazione ribadisce questi principi, dichiarando inammissibile il ricorso di un’azienda e confermando l’illegittimità del licenziamento di un dipendente le cui mansioni erano in parte fungibili con quelle di altri colleghi.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal licenziamento di un lavoratore, impiegato come magazziniere, a seguito della soppressione della sua posizione lavorativa. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo che, oltre alle mansioni di magazziniere, svolgeva anche compiti di smistamento e consegna della posta, analogamente ad altri dipendenti. Di conseguenza, a fronte della necessità di ridurre il personale, l’azienda avrebbe dovuto effettuare una valutazione comparativa tra tutti i lavoratori con mansioni fungibili, invece di licenziare automaticamente colui il cui ruolo principale era stato eliminato.

Mentre il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda del lavoratore, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. I giudici di secondo grado hanno ritenuto fondate le doglianze del lavoratore, dichiarando il licenziamento illegittimo per violazione dell’obbligo di repechage e per la mancata comparazione con gli altri dipendenti. L’azienda è stata condannata alla riassunzione o, in alternativa, a un risarcimento del danno.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’azienda ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello e condannando l’azienda al pagamento delle spese legali.

Le Motivazioni: Analisi dei Motivi di Ricorso

L’analisi delle motivazioni della Corte offre importanti chiarimenti sull’applicazione dei principi in materia di licenziamento per motivo oggettivo.

Primo e Secondo Motivo: La Prova del Repechage e la Valutazione dei Fatti

I primi due motivi di ricorso dell’azienda criticavano la sentenza d’appello per non aver considerato adeguatamente le prove fornite, secondo cui le mansioni di postino svolte dal lavoratore erano solo saltuarie e non professionali. L’azienda sosteneva che il lavoratore, in qualità di “unico magazziniere”, non potesse essere comparato ai “postini professionali”.

La Cassazione ha respinto queste argomentazioni, qualificandole come un tentativo inammissibile di ottenere un nuovo esame del merito della causa. La Corte ha sottolineato che il suo ruolo non è rivalutare le prove, ma verificare la corretta applicazione delle norme di diritto. La Corte d’Appello aveva correttamente accertato, sulla base delle testimonianze, che il lavoratore svolgeva mansioni fungibili con altri dipendenti. Di fronte a questa fungibilità, il datore di lavoro aveva l’onere di dimostrare non solo la necessità di sopprimere un posto, ma anche perché la scelta fosse ricaduta su quel specifico lavoratore, applicando criteri di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). L’azienda non ha fornito tale prova, violando così l’obbligo di repechage.

Terzo Motivo: La Contestazione della Retribuzione

Con il terzo motivo, l’azienda contestava l’importo del risarcimento, calcolato sulla base dell’ultima retribuzione globale di fatto indicata dal lavoratore (€ 1.702,78). L’azienda sosteneva che tale importo non fosse corretto, facendo riferimento alle buste paga depositate in giudizio.

Anche questo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha ricordato che, in base all’art. 115 c.p.c., i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita si intendono provati. La Corte d’Appello aveva rilevato che l’azienda non aveva mai contestato in modo specifico e tempestivo l’importo della retribuzione allegato dal lavoratore. La mera produzione di documenti (le buste paga), senza una chiara e formale contestazione negli atti difensivi, non è sufficiente a superare il principio di non contestazione. La valutazione della condotta processuale delle parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e non può essere sindacata in sede di legittimità se non per vizi di motivazione, qui non riscontrati.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza alcuni punti cardine del diritto del lavoro in materia di licenziamento per motivo oggettivo:

1. Onere della Prova a Carico del Datore: Non è sufficiente dimostrare la ragione economica o organizzativa alla base della soppressione di una posizione. Il datore di lavoro deve provare attivamente e in modo convincente l’impossibilità di adibire il lavoratore a qualsiasi altra mansione esistente in azienda, anche di livello inferiore.
2. Importanza della Fungibilità: Se le mansioni del lavoratore da licenziare sono anche parzialmente sovrapponibili a quelle di altri colleghi, l’azienda non può limitarsi a licenziare chi ricopriva il ruolo soppresso. Deve invece avviare una procedura comparativa basata su criteri oggettivi e non discriminatori, come l’anzianità di servizio e i carichi di famiglia.
3. Principio di Non Contestazione: Nel processo, le parti devono prendere posizione in modo chiaro e specifico su ogni fatto allegato dalla controparte. La mancata contestazione di un dato, come l’ammontare della retribuzione, può portare il giudice a considerarlo come pacifico e provato, con conseguenze dirette sulla quantificazione di eventuali risarcimenti.

Cosa deve dimostrare un datore di lavoro per un licenziamento per motivo oggettivo?
Il datore di lavoro deve provare due elementi fondamentali: l’effettiva sussistenza delle ragioni produttive e organizzative che hanno portato alla soppressione del posto di lavoro e l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni presenti in azienda (obbligo di repechage).

Come deve agire l’azienda se più lavoratori svolgono mansioni simili e intercambiabili?
Se esiste fungibilità tra le mansioni di più lavoratori, l’azienda non può licenziare arbitrariamente chi ricopriva il ruolo formalmente soppresso. Deve invece individuare il dipendente da licenziare applicando i principi di correttezza e buona fede, effettuando una comparazione tra tutti i lavoratori interessati sulla base di criteri oggettivi.

Qual è la conseguenza se l’azienda non contesta specificamente un dato affermato dal lavoratore, come l’importo dello stipendio?
In base al principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.), se un fatto allegato da una parte non viene specificamente contestato dall’altra, il giudice può ritenerlo provato senza bisogno di ulteriori accertamenti. La semplice produzione di documenti contrari, senza una formale contestazione negli scritti difensivi, potrebbe non essere considerata sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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