Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14391 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14391 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11416-2021 proposto da:
NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 405/2020 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 20/10/2020 R.G.N. 251/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Oggetto
R.G.N. 11416/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/03/2024
CC
La Corte di appello di Salerno, quale giudice del reclamo ex lege n. 92/2012, pronunziando in sede di riassunzione, in riforma della sentenza di primo, ha respinto la domanda di NOME COGNOME intesa all’accertamento della nullità/illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimato dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (da ora C.D.S.) in data 16 febbraio 2018, alcuni giorni dopo il rifiuto del dipendente di sottoscrivere un verbale di conciliazione sindacale con la società.
Secondo il giudice del reclamo, le enunziate ragioni del licenziamento, intimato ‘ per improcrastinabili esigenze di riorganizzazione aziendale e riduzione dei costi connessi alla fase di liquidazione della società’ e giustificate dalla situazione di esubero della posizione lavorativa del COGNOME, avevano trovato riscontro nelle emergenze istruttorie posto che la liquidazione della società disposta in via giudiziale dimostrava che la RAGIONE_SOCIALE era destinata a cessare la propria attività in modo irreversibile; la scelta della società non si poneva, inoltre, in contrasto con i criteri di correttezza e buona fede , frutto di elaborazione giurisprudenziale, dovendo pertanto escludersi la dedotta natura ritorsiva del licenziamento.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione della legge n. 604/1966 e dell’art. 18 St. lav., dell’art. 2697 c.c. nonché illogicità e vizio di motivazione. In particolare si duole della valorizzazione da parte della Corte di merito della sentenza intervenuta a dirimere un contrasto interno tra i soci in punto di invalidità delle delibere assembleari, senza investire – assume- il mancato funzionamento della società e le difficoltà oggettive rilevabili dalla mancanza di rimesse o riferibili alla difficoltà di impiego e/o di pagamento; denunzia, inoltre, la non corretta applicazione dell’orientamento di legittimità in punto di oneri di allegazione e prova del giustificato motivo di licenziamento ( comprensivi della impossibilità di repêchage) facenti capo unicamente alla parte datoriale.
Con il secondo motivo di ricorso deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. errata applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. censurando la statuizione di compensazione delle spese del giudizio.
Il primo motivo di ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità.
3.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la denunzia di violazione e falsa applicazione di norme di diritto deve essere formulata mediante la indicazione oltre che delle norme assuntivamente violate, anche di specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298/2016 n. 53535/2007, n. 11501/2006) o l’errore sussuntivo del giudice di merito nel ricondurre la fattispecie, per come in concreto accertata, a quella regolata dalla norma della quale è denunziata falsa applicazione.
3.2. Le censure articolate dall’odierno ricorrente, per la parte riconducibile al mezzo di cui all’art. art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., secondo quanto evincibile dalla formale indicazione in rubrica, non risultano rispettose del canone sopraindicato posto che non vertono sul significato e sulla portata applicativa delle disposizioni di legge partitamente evocate ma sono sostanzialmente e ‘cumulativamente’ intese a sollecitare un diverso apprezzamento delle emergenze in atti, in punto di accertamento della sussistenza o meno del giustificato motivo oggettivo di licenziamento. In particolare, risulta inappropriato il richiamo alla violazione dell’art. 2697 c.c., invocabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice di merito, nell’applicare tale regola residuale di giudizio, abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107/ 2013, Cass. n. 1339/2018); nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante solo sul datore di lavoro, posto che il rigetto della domanda dell’odierno ricorrente è frutto del concreto accertamento della sussistenza delle ragioni oggettive alla base del licenziamento.
3.3. In ordine poi al profilo della valutazione delle emergenze in atti, investite anche formalmente con la denunzia di vizio di motivazione, le deduzioni del ricorrente non sono idonee ad inficiare l’accertamento che sorregge la decisione, richiedendosi a tale fine, in conformità della previsione di cui all’art. 360 comma 1, n. 5 cod. proc civ. nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis , la deduzione di omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti.
3.4. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche Sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), specificandosi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Sez. un. n. 8053/2014; Sez. un. n. 19881/2014); in tale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive o di censure proposte (Sez. un. n. 20399/2019). E’ stato, inoltre, precisato che non costituiscono fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio in parola: a) le argomentazioni o deduzioni difensive; b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti; c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa; d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame (in tal senso, riassuntivamente, Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022).
3.5. Le argomentazioni sviluppate dal ricorrente non sono riconducibili all’ambito della corretta denunzia del vizio ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. in quanto si sostanziano nella contrapposizione alla valutazione delle emergenze istruttorie fatta propria dalla Corte di un diverso apprezzamento delle complessive risultanze, intrinsecamente inidoneo a dare contezza del vizio del ragionamento decisorio alla base
della sentenza, dovendo ulteriormente evidenziarsi quale concorrente profilo di inammissibilità il fatto che tali risultanze non sono evocate nel rispetto degli oneri prescritti dall’art. 366, comma 1 , n. 6 c.p.c..
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per la dirimente considerazione che alla luce della medesima prospettazione dell’odierno ricorrente il relativo accoglimento è collegato alla fondatezza delle censure articolate con il primo motivo, le quali, sono state ritenute insuscettibili di delibazione nel merito.
All’inammissibilità del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 19 marzo 2024