Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11169 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11169 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
Oggetto
LICENZIAMENTO
PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO
R.G.N. 3298/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 09/04/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 3298-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4948/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/01/2023 R.G.N. 2352/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha respinto le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE concernenti l’impugnazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato l’8.9.2017 e il pagamento di differenze retributive.
La Corte territoriale ha, in sintesi, rilevato che gli elementi istruttori avevano dimostrato che le mansioni del dipendente erano quelle di operaio generico (con esclusione di quelle di saldatore), che la società aveva dimostrato (tramite produzione dei bilanci relativi agli anni 2015, 2016, 2017 e deposizioni testimoniali) la riduzione dell’attività dell’impresa e delle commesse di lavoro (con conseguente esigenza di riorganizzazione e di riduzione dei costi di gestione) nonché aveva ottemperato all’ob bligo di ripescaggio (non risultando posti di operaio generico in azienda ed essendo altresì già occupato il posto di magazziniere); ha sottolineato che il quadro probatorio acquisito aveva dimostrato che la consistenza dell’organico della società, sino a luglio 2007 (riferimento temporale rilevante per la declaratoria di prescrizione dei crediti retributivi per il periodo 1997-luglio 2002), era stata pari a 16 dipendenti, aggiungendo che era irrilevante l’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 (di ri forma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970) a fronte della dichiarata prescrizione per un periodo temporale ampiamente anteriore all’entrata in vigore della novella legislativa; ha, infine, rilevato che la consulenza contabile espletata in sede di appello (che si era confrontata con il consulente nominato dal lavoratore) aveva dimostrato che -con riguardo agli istituti giuridici richiesti (differenze sulla retribuzione ordinaria, svolgimento di lavoro straordinario,
ricalcolo del trattamento di fine rapporto) -il dipendente aveva percepito somme maggiori di quanto gli sarebbe spettato.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per errata attribuzione dell’onere della prova in ordine alla sussistenza (e permanenza) del r equisito numerico dell’organico aziendale, avendo la Corte territoriale ritenuto, erroneamente, che dalla documentazione prodotta (Libro matricola e LUL) emergesse una consistenza aziendale superiore a 15 dipendenti. La Corte ha, inoltre, errato nel ritenere che spettasse al dipendente la dimostrazione dell’esclusione dal computo dell’organico di alcuni lavoratori appartenenti a categorie escluse (apprendisti, lavoratori con contratto di inserimento).
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. dovendosi considerare insufficiente la riduzione delle commesse di lavoro a fronte della ‘qualità’ delle commesse intrattenute.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5, omesso esame di un fatto decisivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., della legge n. 4 del 1953, dell’art. 1193 c.c. per di fetto di motivazione della sentenza impugnata che ha prestato adesione acritica alla consulenza tecnica d’ufficio, senza tener conto delle
osservazioni del consulente di parte e, in particolare, trascurando di applicare il metodo di imputazione specifica ( ex legge n. 4 del 1953 ed ex art. 1193 c.c.).
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. La Corte territoriale ha correttamente attribuito l’onere della prova della consistenza numerica del personale dell’azienda al datore di lavoro, trattandosi di fatto impeditivo posto a base dell’eccezione di prescrizione dei crediti retributivi richiesti dal lavoratore. In ottemperanza a tale, corretto, riparto dell’onere probatorio, la società ha prodotto documentazione che i giudici di merito hanno ritenuto sufficiente a dimostrare l’organico della società superiore a 15 dipendenti, risultanze probat orie già valutate ed affermate in sede di primo grado ‘ che non sono state in alcun modo contestate dall’appellante sul piano numerico ‘ (pag. 7 della sentenza impugnata).
4.2. Questa Corte ha affermato che, ove l’onere probatorio abbia ad oggetto “fatti negativi” (nella specie l’esclusione dal computo dell’organico di determinate categorie di lavoratori) la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario (Cass. n. 8018 del 2021), onere probatorio assolto dal datore di lavoro tramite la produzione del L.U.L.-Libro Unico Lavoro, strumento che -dal 2008 -ha sostituito (in funzione di semplificazione) i Libri paga e matricola e che contiene tutti i dati relativi al personale assunto dal datore di lavoro.
4.3. La censura in esame è inammissibile in quanto non individua un errore di diritto ma, piuttosto, involge apprezzamenti di merito in ordine alla valutazione della consistenza numerica dell’organico aziendale tramite la
documentazione prodotta in giudizio, valutazione in quanto tale sottratta al sindacato di questa Corte.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. La censura formulata come violazione o falsa applicazione di legge mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
5.2. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014), e in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, resta insindacabile (come anche precisato dall’art. 30 legge n. 183 del 2010), nell’ an e nel quomodo , la scelta effettuata dall’imprenditore per far fronte alle esigenze obiettive che si presentino all’impresa, potendo il giudice solo vagliare il rapporto causa-effetto tra le ragioni economiche ed il licenziamento.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi motivi.
6.1. Il motivo è inammissibile per mancato rispetto delle prescrizioni imposte dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., in quanto la parte ricorrente omette di trascrivere, almeno nelle parti essenziali, o di depositare in allegato al ricorso per
cassazione gli atti processuali (in specie, la consulenza tecnica d’ufficio) su cui la censura si impernia (cfr. Cass. 16368 del 2014; Cass. n. 19989 del 2021). Come statuito da questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi, da interpretare, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, in modo non eccessivamente formalistico, impone, comunque, che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., S.U. n. 8950 del 2022). Tale principio può ritenersi rispettato ‘ ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo a identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati ‘ (Cass. n. 12481 del 2022), requisiti del tutto omessi nel caso di specie.
6.2. Il motivo difetta, inoltre, di decisività in quanto la Corte territoriale ha espressamente precisato che ‘ Dalla relazione dell’ausiliario nominato da questa Corte emerso che l’appellante ha percepito più di quanto gli sarebbe spettato per tutti i titoli oggetto di accertamento. È tale conclusione resta ferma anche seguendo la metodologia di calcolo parzialmente diversa, sostenuta dal consulente di parte appellante (v. Relazione, pagg. 7-8 e tabelle seguenti). Come ha esattamente spiegato di questa Corte, i conteggi elaborati dal consulente del lavoratore
portano ad un risultato positivo solo in quanto sono calcolate anche come dovute retribuzioni per ‘festività’ asseritamente lavorate, circostanza della quale, tuttavia, non è stata raggiunta alcuna prova e per tale ragione non inclusa fra i titoli oggetto dell’incarico peritale ‘: risulta, pertanto, che il consulente d’ufficio ha comparato diversi metodi di calcolo per valutare se il lavoratore vantasse crediti e che tutti hanno dimostrato l’esatto adempimento del datore di lavoro.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 aprile 2025.