Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14175 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14175 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20437-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 317/2024 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 17/07/2024 R.G.N. 118/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2025 dal Consigliere Dott. NOMECOGNOME
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. 20437/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 27/03/2025
CC
RILEVATO CHE
il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 952/2024, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, rigettò l’opposizione proposta dal dott. NOME COGNOME avverso l’ordinanza che aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al dirigente dalla CTP RAGIONE_SOCIALE in data 22 febbraio 2020;
il Tribunale ritenne che la ‘condotta descritta al punto 1) della lettera di contestazione del 6.2.2020’ ossia l’aver comunicato al titolare di una società fornitrice informazioni in relazione a un bando di gara da pubblicare, al fine di favorire la partecipazione di altra società facente capo ad un familiare di quel titolare fosse di per sé sola idonea ad integrare una giusta causa di licenziamento, considerando assorbite le questioni relative agli altri due addebiti contestati al COGNOME ed escludendo altresì la nullità del licenziamento per violazione dell’art. 54 -bis d. lgs. n. 165 del 2001 e per motivo ritorsivo;
avverso tale sentenza interposero gravame sia il COGNOME, sia la società in via incidentale;
la Corte di Appello di Lecce -sez. dist. di Taranto, con la sentenza impugnata, ha respinto entrambe le impugnazioni; 2.1. la Corte, innanzitutto, menzionando un precedente di legittimità, ha respinto il motivo di appello del lavoratore concernente la ‘omissione di pronuncia sulla violazione del principio di immediatezza della contestazione’, così argomentando testualmente: ‘Ed è più che evidente, esaminata la materia de qua , la complessità degli accertamenti a svolgersi, e la giustificatezza della contestazione disciplinare, avvenuta vari mesi dopo la ricezione dello scritto anonimo’;
2.2. inoltre, il Collegio, statuendo in ordine alla contestata utilizzabilità ai fini probatori della trascrizione della registrazione di un colloquio avvenuto il 9 marzo 2019 cui aveva preso parte il COGNOME, ha ritenuto che ‘la conversazione testualmente riportata nella contestazione disciplinare non è stata se non genericamente contestata dall’appellante, e comunque su quella conversazione e sul suo contenuto vi è, a conferma della stessa, deposizione testimoniale di NOME e COGNOME: dichi arazioni testimoniali pienamente utilizzabili’; 2.3. la Corte, poi, al cospetto della censura con cui il dipendente denunciava la ‘nullità del licenziamento per violazione dell’art. 54 bis d. lgs. n. 165/2001, e comunque per motivo illecito determinante’, ha affermato che ‘dalla disamina del complesso probatorio della presente procedura non è dato ravvisare alcun motivo illecito determinante, bensì soltanto lo sviluppo di condotte censurabili e rilevanti ai fini del rapporto dirigente/azienda gravemente censurabili che giustificano il venir meno del rapporto fiduciario che lega non un semplice dipendente, bensì un ex dirigente della società, il che rende le condotte serbate, a giudizio di questa Corte, ancora più gravi’; 2.4. la Corte, infine, ha respinto l’ultimo motivo di gravame del dirigente, ritenendo proporzionata l’irrogazione della massima sanzione espulsiva, in ragione dell’idoneità delle condotte a ledere il rapporto fiduciario con la società datrice;
2.5. i giudici d’appello hanno anche rigettato l’impugnazione incidentale della società affermando che ‘meglio il Giudice di primo grado non avrebbe potuto qualificare il licenziamento per giusta causa’;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso in INDIRIZZO COGNOME con cinque motivi; ha resistito con
contro
ricorso l’intimata società, proponendo ricorso incidentale affidato a due motivi; entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi del ricorso principale del lavoratore possono essere indicati secondo la sintesi offerta dalla stessa difesa del COGNOME;
1.1. il primo denuncia: ‘la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, co. 6, Cost., dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, co. 1, disp. att. c.p.c.: motivazione apparente; la Corte territoriale ha rigettato l’eccezione di intempestività della contestazione disciplinare in ordine al primo ed unico addebito che il Giudice di primo grado aveva ritenuto idoneo a giustificare il licenziamento irrogato dalla CTP SpA al dott. COGNOME ed il corrispondente motivo di reclamo, con una motivazione che rende impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento’;
1.2. il secondo motivo denuncia: ‘violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.: la Corte territoriale ha erroneamente rigettato il motivo di reclamo con cui si denunziava l’inutilizzabilità nel presente giudizio, quale elemento probatorio, della trascrizione della registrazione fonografica di un colloquio tra il dott. COGNOME e un fornitore aziendale, per effetto di una interpretazione non conforme ai canoni legali del medesimo motivo di reclamo’;
1.3. il terzo motivo deduce: ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., sub specie di omessa pronuncia:
la Corte territoriale ha omesso di pronunciare sul motivo di reclamo con cui si eccepiva l’insussistenza delle condotte oggetto del primo addebito disciplinare e del corrispondente motivo di licenziamento’;
1.4. il quarto motivo denuncia: ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c.: la Corte ha ravvisato la giusta causa di licenziamento guardando solo alla qualifica dirigenziale ricoperta dal dott. COGNOME senza valutare le altre circostanze del caso concreto e procedere al dovuto apprezzamento unitario e sistematico delle stesse’;
1.5. il quinto motivo denuncia: ‘la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, co. 6, Cost., dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, co. 1, disp. att. c.p.c.: la Corte ha rigettato la censura di nullità del licenziamento per ritorsione nei confronti del dott. COGNOME quale whistleblower , con una motivazione che rende impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento’;
i motivi del ricorso incidentale della società possono essere sintetizzati come di seguito:
2.1. in ipotesi di accoglimento del quinto motivo di ricorso avverso, si denuncia ‘violazione e falsa applicazione art. 434 c.p.c. per aver la Corte di Appello pronunciato nel merito del motivo sub 2 del reclamo di controparte violando e/o falsamente applicand o l’art. 434 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’; nella sostanza si eccepisce come già in secondo grado -che la controparte era ‘decaduta dalla facoltà di impugnare il licenziamento per ritorsività’ perché il reclamo era privo di adeguata specificità;
2.2. con il secondo motivo si denuncia ‘la violazione e/o falsa applicazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n.
4 c.p.c.: nullità della sentenza per omessa pronuncia sui motivi
di appello’; si deduce che, col paragrafo 5 della comparsa di reclamo, la società aveva lamentato il rigetto da parte del Giudice di primo grado della domanda riconvenzionale dell’azienda esponente per difetto di interesse ad agire: ‘a) sull’addebito sub 2 della contestazione: noleggi di autobus; b) sull’addebito sub 3 della contestazione: sull’attribuzione di mansioni superiori a dipendenti aziendali oltre i termini massimi sanciti dall’art. 18 All. A R.D. 148/1931’;
il ricorso principale del lavoratore è meritevole di accoglimento nei limiti segnati dalla motivazione che segue;
3.1. il primo e il quinto motivo deducono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, co. 1, disp. att. c.p.c. e possono essere trattati congiuntamente;
le censure sono fondate;
come noto le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014) hanno sancito che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”;
si è ulteriormente precisato che di ‘motivazione apparente’ o di ‘motivazione perplessa e incomprensibile’ può parlarsi laddove essa non renda ‘percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscer e l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del
giudice’ (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU.
n. 16599 del 2016);
in ossequio si è affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017; conf. Cass. n. 20921 del 2019); si è poi ribadito che la motivazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (Cass. n. 13248 del 2020);
tale vizio radicale ravvisa questo Collegio nella sentenza impugnata per entrambi gli aspetti denunciati dai motivi in esame;
avuto riguardo alla questione della ‘omissione di pronuncia sulla violazione del principio di immediatezza della contestazione’, la sentenza gravata sul punto è certamente al di sotto della soglia del cd. ‘ minimum costituzionale’ ; non risulta decifrabile la ragione per cui la Corte tarantina non solo ha ritenuto non sussistere il denunciato vizio di omessa pronuncia nella sentenza appellata ma, soprattutto, non viene spiegato, neanche implicitamente, perché la contestazione dovesse ritenersi tempestiva; l’argomentazione espressa sul punto è laconicamente tautologica, del tutto priva di riferimenti a fatti e circostanze concrete, tale da non consentire alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento dei giudici;
la Corte territoriale, poi, ha respinto il motivo di gravame concernente la dedotta nullità del licenziamento per violazione dell’art. 54 bis d. lgs. n. 165 del 2001 motivando esclusivamente sull’aspetto della ritorsività del recesso, non indagata in quanto ritenuta sussistente la giusta causa di licenziamento;
tuttavia, in alcun modo illustra le ragioni per cui non ricorra la diversa fattispecie del licenziamento del segnalatore di illeciti (cd. whistleblower ), che è ipotesi autonoma rispetto al licenziamento illecito per ritorsione (cfr. Cass. nn. 12688 e 17715 del 2024), di modo che, mancando la Corte territoriale di indicare qualsivoglia elemento da cui ha tratto il proprio convincimento, risulta preclusa ogni possibilità di verifica del percorso argomentativo, con conseguente nullità della sentenza per difetto di uno dei requisiti che la identificano come tale; 3.2. il secondo motivo del ricorso principale è, invece, da respingere;
da un canto, infatti, non denuncia nelle forme prescritte dal n. 4 dell’art. 360 c.p.c. quello che è certamente un preteso error in procedendo della Corte territoriale in ordine all’interpretazione di un motivo di gravame;
d’altro canto, il motivo non confuta adeguatamente quel passaggio della sentenza impugnata secondo cui del contenuto della conversazione registrata vi è comunque stata conferma mediante ‘dichiarazioni testimoniali pienamente utilizzabili’, di talché l’asserito difetto di attività del giudice risulta privo della necessaria decisività;
come sottolinea Cass. n. 16102 del 2016, l’art. 360-bis n. 2 c.p.c., là dove implica che la violazione di norme del procedimento determini quella dei principi regolatori del giusto processo, ‘nell’unica lettura possibile per dare alla previsione un senso’ comporta proprio che detta violazione abbia svolto un
ruolo decisivo, dovendosi dimostrare che l’omessa pronuncia riguarda ‘una quaestio iuris astrattamente rilevante’;
invero per costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, il vizio processuale deve necessariamente influire, in modo determinante, sulla sentenza impugnata, nel senso della necessità che la pronuncia stessa -in assenza del vizio denunciato -non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (v. per tutte: Cass. n. 22978 del 2015; v. pure Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009; Cass. n. 18074 del 2014; Cass. n. 7394 del 2008; Cass. n. 13091 del 2003);
3.3. parimenti non può trovare accoglimento il terzo mezzo; la violazione dell’art. 112 c.p.c. postula che non vi sia alcuna pronuncia del giudice adito, atteso che non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (tra le tante, Cass. n. 20718 del 2018);
in particolare, non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. n. 15255 del 2019; in conf. Cass. n. 2151 del 2021);
nella specie la Corte territoriale si è comunque espressa inequivocamente nel senso del rigetto dell’impugnazione del COGNOME, confermando la statuizione di primo grado sia in ordine alla sussistenza dell’addebito così come contestato, sia circa la sua idoneità a sorreggere la risoluzione del rapporto di lavoro;
3.4. il quarto motivo, con cui si lamenta la violazione dell’art. 2119 c.c., è inammissibile;
ancora di recente è stato ribadito che (v. Cass. n. 2977 del 2025), in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.; questa Corte non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale; dunque, l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito (cfr. Cass. n.13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; v. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023; n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020, n. 7029/2023, n. 23287/2023, n. 26043/2023, n.
30663/2023, n. 107/2024, n. 5596/2024, n. 12787/2024, n. 21123/2024, n. 24523/2024);
l’accoglimento del ricorso principale nei sensi espressi dalla motivazione che precede, assorbe il ricorso incidentale della società;
circa il primo motivo, in quanto lo stesso è stato condizionato all’accoglimento del quinto mezzo di gravame avversario in ordine alla ritenuta decadenza ‘dalla facoltà di impugnare il licenziamento per ritorsività’ per difetto di specificità del reclamo, mentre l’accoglimento in questa sede di legittimità è stato limitato alla dedotta nullità del licenziamento per violazione dell’art. 54 bis d. lgs. n. 165 del 2001;
il secondo motivo, con cui si eccepisce l’omessa pronuncia sui motivi di appello concernenti gli altri due addebiti contenuti nella contestazione disciplinare, risulta assorbito in questa sede perché la questione della tempestività della ‘condotta descritt a al punto 1 della lettera di contestazione’ è ancora sub iudice esclusivamente ai fini della tutela indennitaria eventualmente applicabile, rendendo successive secondo l’ordine logico giuridico delle questioni le valutazioni in ordine agli altri addebiti contestati;
in conclusione, vanno accolti il primo e il quinto motivo del ricorso principale per quanto di ragione, rigettati gli altri; i motivi di ricorso incidentale restano assorbiti; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo pure sulle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il primo e il quinto motivo del ricorso principale, rigetta gli altri; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure ritenute fondate e rinvia alla Corte di Appello di Bari, anche per le spese.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 27 marzo 2025.