Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6928 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6928 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14907-2023 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4784/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/01/2023 R.G.N. 793/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto
R.G.N. 14907/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 21/01/2025
CC
la Corte d’Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte da NOME COGNOME (austista di autobotti inquadrato nel V livello professionale dell’inquadramento unico CCNL, settore Assaeroporti trasporto aereo) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE rilevando la legittimità del licenziamento intimato l’8.6.2020 per mancata comunicazione, al datore di lavoro, del provvedimento di sospensione della patente di guida ( con decorrenza di sei mesi dal 12.9.2014, per aver circolato in stato di ebbrezza), e ciò in violazione del CCNL che prevede espressamente, tra i doveri del dipendente, quello di fornire al datore di lavoro tempestiva notizia in merito allo stato delle pratiche relative ad autorizzazioni, certificazioni, abilitazioni, patenti, necessari per lo svolgimento delle mansioni, e per mancata comunicazione dell’attivazione del procedimento penale, nonché per aver espletato, presso l’aeroporto di Ciampino, durante il periodo di sospensione, le mansioni di autista.
La Corte, nel confermare la decisione di primo grado, ha, per quanto qui rileva escluso la tardività della contestazione ritenendo che il lasso di tempo intercorrente tra i fatti oggetto di addebito e la contestazione disciplinare dovesse ritenersi giustificato dal tempo occorso alla società datrice di lavoro per compiere gli accertamenti necessari ad acquisire la conoscenza precisa dei fatti; la Corte altresì ha escluso la natura ritorsiva del licenziamento e ha ritenuto la sanzione proporzionata ai fatti evidenziando l’irrilevanza della affissione del codic e disciplinare data la loro natura di fatti concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.
La consigliera delegata ha proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., rilevando la conformità della sentenza gravata ai precedenti di questa Corte specificamente indicati;
Parte ricorrente, tramite difensore munito di nuova procura speciale, ha depositato nei termini istanza per chiedere la decisione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; è stato, quindi, instaurato il procedimento in camera di consiglio; la controricorrente ha presentato a sua volta memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, con specifico riferimento all’art. 2697 c.c. La sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del fatto che il comportamento contestato non era stato provato dal datore di lavoro, ed infatti l’attenta analisi delle risultanze istruttorie avrebbe evidenziato come il COGNOME risultava incaricato del rifornimento mentre non emergeva da nessuna parte che egli fosse alla guida del mezzo.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il ricorrente censura la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto per la mancata ammissione di mezzi di prova decisivi, in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. In particolare, lamenta che la Corte d’Appello ha omesso di ammettere prove testimoniali e documentali idonee a dimostrare la propria versione dei fatti, in tal modo violando il principio del contraddittorio e del diritto alla prova su circostanze fondamentali che avrebbero modificato, se ammesse le relative prove, l’esito della controversia
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., il ricorrente denunzia omessa, viziata, contraddittoria e illogica motivazione della
sentenza impugnata, lamentando che la Corte territoriale avrebbe errato nella valutazione della prova , altresì valutando erroneamente un fatto controverso tra le parti decisivo ai fini della decisione (in particolare: l’evidente tardività tra i fatti oggetto di contestazione e la contestazione disciplinare stessa), omettendo di considerare la sproporzione temporale tra i fatti contestati e la sanzione irrogata
Il ricorso è inammissibile
Non sussiste la denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. che, del resto, come questa corte ha da tempo chiarito, è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 18092 del 2020).
Nella sentenza impugnata tale sovvertimento dell’onere probatorio (interamente gravante, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966, sul datore di lavoro che ha fornito gli elementi di prova valutati dal giudice di merito) non è ravvisabile, avendo la stessa correttamente applicato i principi che regolano la materia.
Ed infatti, i giudici di appello hanno dapprima rilevato che ‘i fatti contestati, pacifici ed ammessi dallo stesso ricorrente’ sono consistiti nella guida di mezzi durante il periodo di sospensione della patente e nella mancata comunicazione alla società datrice di lavoro del provvedimento di sospensione, in violazione anche di specifico obbligo previsto dal CCNL di categoria, ed hanno aggiunto che ‘risulta documentato che COGNOME NOMECOGNOME durante
il periodo di sospensione della patente di guida, ha espletato presso l’aeroporto di Ciampino le mansioni di aviofornitore, compresa quella di conduzione delle autobotti in dotazione alla RAGIONE_SOCIALE e l’effettuazione del rifornimento aereo’.
Inammissibile anche il secondo motivo. Il ricorrente (oltre ad omettere la trascrizione dei capitoli di prova) non ha illustrato il profilo di decisività della prova testimoniale che assume omessa, nonostante questa Corte abbia ripetutamente affermato che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento (da ultimo, Cass. n. 16214 del 2019; Cass. n. 5654 del 2017).
Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o di contratto collettivo -oltre ad essere del tutto generiche -mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità; come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i
casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
11. Infine, il terzo motivo di ricorso presenta anch’esso profili di inammissibilità ove si critica la sentenza impugnata per non aver ritenuto violato il principio di immediatezza e tempestività dell’azione disciplinare; per consolidata giurisprudenza di questa Corte l’accertamento della violazione del principio della tempestività della contestazione disciplinare spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (cfr., ex plurimis, Cass. n. 13183 del 2018; Cass. n. 14195 del 2018; Cass. n. 1247 del 2015; Cass. n. 25070 del 2013; Cass. n. 29480 del 2008; Cass. . n. 22066 del 2007; Cass. n. 14115 del 2006); in particolare rileva l’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non l’astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi (Cass. n. 23739 del 2008; Cass. n. 21546 del 2007).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha precisato che il lasso di tempo intercorrente tra i fatti oggetto di addebito e la contestazione disciplinare in data 11/5/2020 deve ritenersi giustificato dal tempo occorso alla società datrice di lavoro per compiere tutti gli accertamenti necessari ad acquisire la conoscenza precisa dei fatti (in particolare il tempo in esame è stato necessario -di fronte al rifiuto del lavoratore di fornire i motivi della durata biennale, anziché quinquennale, della patente di guida- per esperire un ricorso giudiziale al TAR Lazio, al fine di accedere ai dati della Motorizzazione civile).
12. Per i motivi esposti il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile in sostanziale corrispondenza al provvedimento di proposta di definizione anticipata ex art. 380bis c.p.c.
13. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate in dispositivo in favore della controricorrente.
Riguardo alle sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380 -bis c.p.c., stante l’esito giudiziale conforme alla proposta di definizione accelerata, nel senso ivi indicato, occorre applicare il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. Alla presente pronuncia di inammissibilità del ricorso fa quindi seguito la condanna di parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., nonché della sanzione di cui al successivo quarto comma, da versare alla Cassa delle Ammende, entrambe liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte di una somma di € 2500 ex art. 96, 3° comma c.p.c., nonché a pagare in favore della C assa delle ammende la somma di € 2500 ex art. 96, 4 comma c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, 21 gennaio 2025