SENTENZA CORTE DI APPELLO DI TRIESTE N. 94 2024 – N. R.G. 00000019 2024 DEL 23 08 2024 PUBBLICATA IL 23 08 2024
In Nome del Popolo Italiano LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE
– Collegio di Lavoro –
composta dai Signori Magistrati
Dott. NOME COGNOME
– Presidente –
Dott. NOME COGNOME
– Consigliere relatore –
Dott. NOME COGNOME
– Giudice ausiliario –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa in materia di lavoro iscritta al n. 19 del Ruolo 2024, promossa in questa sede di appello con ricorso depositato il 21/2/2024
da
(C.F.
), rappresentata e difesa dagli Avv.
NOME COGNOME e NOME COGNOME per mandato a margine del ricorso in ap- pello, trasmesso per via telematica come copia per immagine su supporto informatico di originale analogico
– appellante –
contro
(P.IVA e C.F. ), in persona dell’amministratore unico sig. , rappresentata e difesa dall’Avv.NOME COGNOME in forza di procura alle liti trasmessa per via telematica, unitamente alla memoria difensiva con appello incidentale, trasmessa per via telematica come copia per immagine su suppor- to informatico di originale analogico P.
– appellata –
Oggetto della causa: giudizio di appello contro la sentenza n.254/2023 del Tribunale
di Udine – impugnazione di licenziamento.
Causa chiamata all’udienza di discussione del 27/6/2024.
Conclusioni
Per l’appellante: NEL MERITO: voglia questa Ecc.ma Corte riformare parzialmente la sentenza del Tribunale di Udine n. 254/2023 depositata in data 10.11.2023, notificata in data 25.01.2024 e per l’effetto accogliere le conclusioni rassegnate dalla ricorrente nel ricorso di primo grado e non accolte, con spese legali rifuse per entrambi i gradi. (si riproducono di seguito le conclusioni di primo grado:) In via principale: condannarsi la società resistente ex art. 3 c. 2 del d.lgs. 23/2015 a reintegrare la ricorrente nel posto di lavoro e risarcirle il danno mediante corresponsione di una indennità commisurata a 12 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. pari a Euro 10.469,64.- e comunque non inferiore alla retribuzione che avrebbe maturato dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In via subordinata: condannarsi la società resistente a pagare alla ricorrente l’indennità sostitutiva del preavviso pari a Euro 1.308,70.- nonché l’indennità risarcitoria ex art. 3, c. 1 d.lgs. 23/2015 nella misura di 36 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R., pari a Euro 31.408,92.- e, comunque, non inferiore a 6 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. pari a Euro 5.234,82.-, salvo diversa anche maggiore quantificazione. In via di seconda subordinata: condannarsi la società resistente a pagare alla ricorrente l’indennità sostitutiva del preavviso pari a Euro Euro 1.308,70.- nonché l’indennità risarcitoria ex art. 4 d.lgs. 23/2015 nella misura di 12 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R., pari ad Euro 10.469,64 e, comunque non inferiore a 2 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. pari ad Euro 1.744,94.- In via di terza subordinata: condannarsi la società resistente a pagare alla ricorrente l’indennità sostitutiva del preavviso pari a Euro 1.308,70.- nonché l’indennità risarcitoria nella misura di 6 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R., pari a Euro
5.234,82. – e , comunque, non inferiore a 3 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. pari a Euro 2.617,41.-, salvo diversa anche maggiore quantificazione. In via di quarta subordinata: condannarsi la società resistente a pagare alla ricorrente l’indennità sostitutiva del preavviso pari ad Euro 1.308,70.- salvo diversa anche maggiore quantificazione. In ogni caso: – annullarsi le sanzioni disciplinari richiamate quale recidiva nella lettera di licenziamento e, per l’effetto, condannarsi la società resistente al pagamento delle retribuzioni trattenute in conseguenza delle stesse (1 ora di multa e 3 giorni di sospensione) – condannarsi la società resistente al pagamento delle differenze retributive derivanti dall’illegittima imposizione di permessi e ferie nei mesi di settembre e novembre 2020, e/o dall’illegittimo mancato riconoscimento di permessi retribuiti nel settembre 2020 , per un totale di Euro 446,88.-, o in ogni caso nella somma che risulterà di giustizia. · il tutto oltre rivalutazione ed interessi sul capitale rivalutato dal maturato al saldo e spese legali rifuse. IN VIA ISTRUTTORIA: Ammettersi interrogatorio formale del legale rappresentante della società resistente sulle circostanze capitolate in fatto di ricorso (da intendersi qui ritrascritte con la premessa ‘vero che’); ammettersi prova testimoniale sulle medesime circostanze, nonché a contrario sulle circostanze eventualmente dedotte da controparte e ritenute rilevanti, con i testi: – dott. – dott.ssa
TABLE
– dott. ———————-del sindacato CISL – tutti i dipendenti delle società del gruppo dal 2015 al 2021 risultanti dai LUL, dei quali si chiede l’esibizione. Ordinarsi l’esibizione dei fogli presenze relativi alla lavoratrice e/o del LUL per il periodo marzo 2020-marzo 2021, per accertare le giornate di lavoro effettivamente svolte ed i giustificativi delle giornate non lavorate. Disporsi CTU medica volta ad Co
accertare la non incidenza delle condotte contestate alla ricorrente rispetto alla prognosi della malattia.
Per l’appellata: NEL MERITO anche in via di appello incidentale : piaccia alla Corte d’Appello: 1) in forza dell’appello incidentale proposto nella seconda parte della presente memoria a parziale riforma della sentenza impugnata accertare l’assenza della ricorrente durante la fascia di reperibilità pomeridiana del giorno 3.2.2021 e conseguentemente considerare tale condotta ai finii dell’accertamento della legittimità del licenziamento; 2) respingere l’appello in quanto inammissibile e/o infondato; 3) respingere tutte le domande proposte dalla sig.ra in quanto inammissibili e/o infondate ovvero ridurle secondo giustizia anche con detrazione dell’aliunde perceptum vel percipiendum; 4) spese di causa rifuse. In istruttoria: ammettersi prova per interrogatorio formale della ricorrente e per testimoni sui fatti indicati in narrativa di fatto e diritto da considerarsi come di seguito ritrascritti espunti i giudizi e le valutazioni con la premessa della formula di rito ‘Vero che’ nonché in aggiunta sui capitoli da 1) a 35) riportati nelle conclusioni istruttorie della memoria difensiva datata 13.1.2022 a considerarsi come di seguito integralmente ritrascritti. Si indicano come testimoni: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19) 20) 21) 22) 23) c/o 24) c/o 25) c/o Autorizzarsi la prova contraria sui capitoli di controparte che dovessero essere ammessi con i testimoni sopra indicati. A) ESIBIZIONI: Dalle dichiarazioni rese dalla ricorrente al CTU nel corso del giudizio di primo grado emerge che dopo la cessazione del rapporto con la sig.ra lavora in proprio nel commercio dei vini. Pertanto al fine della determinazione del-
l’aliunde perceptum vel percipiendum è necessario acquisire la seguente documentazione: (a1) ordini rivolti alla ricorrente: voglia la Corte ordinare alla ricorrente la esibizione dei seguenti documenti necessari per accertare l’aliunde perceptum aut percipiendum: 1) modello CUD e dichiarazioni dei redditi relative all’anno 2021 e quelle successive sino alla decisione della causa 2) buste paga relative ai rapporti di lavoro instaurati con altri datori di lavoro successivamente al marzo 2021 fino alla data della decisione 3) Modello C2 Storico per gli anni dal 2021; (a2) ordini rivolti al Centro per l’impiego: voglia la Corte ordinare la esibizione dei seguenti documenti necessari per accertare l’aliunde perceptum aut percipiendum: 1) al Centro per l’impiego di Pozzuolo del Friuli ovvero al centro per l’impiego territorialmente competente delle: – domande di inserzione nell’elenco anagrafico dei lavoratori disoccupati e delle domande di disoccupazione presentate da negli anni 2021 e successivi nonché del prospetto contenente le assunzioni dal marzo 2021 alla data della decisione – del modello C2 Storico dal 2021 di (a3) ordini rivolti all’INPS: voglia la Corte ordinare la esibizione dei seguenti documenti necessari per accertare l’aliunde perceptum aut percipiendum: all’INPS di Udine e ovvero della sede competente delle domande di di fruizione della indennità di disoccupazione (NASPI) e dei documenti relativi al pagamento della stessa per il 2021 e per il periodo successivo; (a4) ordini rivolti all’Agenzia delle Entrate: voglia la Corte ordinare la esibizione dei seguenti documenti necessari per accertare l’aliunde perceptum aut percipiendum: alla Agenzia delle Entrate di Udine (ovvero della Agenzia delle entrate competente per territorio) delle dichiarazioni dei redditi di per l’anno 2021 e per quelli successivi sino alla decisione della causa. INFORMAZIONI ex art. 213 c.p.c. (i) Voglia la Corte assumere informazioni ai sensi dell’art. 213 c.p.c. necessarie per accertare l’aliunde perceptum aut percipiendum: 1) presso il Centro per l’impiego di Pozzuolo del Friuli ovvero presso il centro per l’impiego competente in relazione alle iscrizioni nel registro anagrafico dei lavoratori disoccupati e alle assunzioni delle quali è stata destinataria in epoca successiva al marzo 2021
e sino alla data di emissione della richiesta; 2) presso l’INAIL di Udine circa le denunce nominative degli assicurati dell’ente stesso ricevute con riferimento a 3) presso l’INPS di Udine circa il trattamento di disoccupazione goduto da in epoca successiva al marzo 2021 nonché circa gli accrediti contributivi mensilmente operati a favore della stessa e circa le retribuzioni da lei percette e assoggettate a contribuzione; 4) presso la Agenzia delle Entrate di Udine (o presso la diversa agenzia risultasse competente in relazione al luogo di residenza di circa le dichiarazioni dei redditi relative agli anni dal 2021 e successivi fino alla data di decisione della causa.
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
(art.132 c.p.c. come modificato dall’art.45 c.17 della legge 69/09)
Con ricorso di data 26/10/2021 la sig.ra – premesso di aver lavorato a vario titolo, a partire dal 1999, per un gruppo di società facenti capo al sig. e di essere stata da ultimo dipendente a tempo parziale, a partire dal 19/10/2015, di (già e descritte le sue mansioni e la sua postazione di lavoro – esponeva che la società datrice di lavoro le aveva contestato, con lettera del 2/3/2021, di aver violato in più giornate (ovvero il 3, 5, 7 17, 19, 20 febbraio 2021) l’obbligo di essere reperibile presso la sua abitazione, nelle prescritte fasce orarie, durante un periodo di malattia e di avere anche trasportato e sollevato carichi pesanti; che per questi fatti la società l’aveva poi licenziata per giusta causa; che la mattina del 3 febbraio ella si era recata, assieme alla madre, ad un appuntamento con la terapista del dolore dott.ssa mentre nel pomeriggio non era più uscita di casa; che quindi il suo allontanamento dall’abitazione era dipeso dalla necessità di proseguire un ciclo di terapie in corso; che quel giorno, e anche il 5, il 7, il 19 e il 20 febbraio si era recata a fare degli acquisti di generi alimentari, utilizzando un carrello per il trasporto delle merci; che la patologia da cui era affetta non le imponeva di rimanere immobile a casa e anzi le era stato prescritto di svolgere un’attività fisica regolare; che comunque non aveva affatto sollevato carichi eccezionali nè com-
piuto sforzi prolungati; che non ricordava di essersi allontanata da casa il 17 febbraio e comunque la violazione della fascia oraria era stata di soli cinque minuti; che la contestazione disciplinare comprendeva anche la recidiva rispetto a precedenti sanzioni, comminate per fatti insussistenti o irrilevanti sul piano disciplinare; che la sanzione del licenziamento era quindi infondata e in ogni caso eccessiva, tenendo conto anche dell’elemento psicologico della sua condotta; e che in azienda non era affisso il codice disciplinare.
Esponeva ancora la ricorrente che la società datrice di lavoro le aveva imposto, senza il suo consenso e senza giustificazioni, di usufruire di 28 ore di permessi retribuiti a settembre 2020 e di 16 ore di ferie a novembre 2020, e inoltre le aveva illegittimamente rifiutato il permesso da lei chiesto per il 18 settembre 2020; e che a fronte di ciò aveva maturato un credito retributivo complessivo di Euro 446,88.
Si costituiva la società convenuta esponendo che a gennaio 2021 il suo amministratore – avendo appreso che la sig.ra la quale aveva confidato ai colleghi di soffrire di mal di schiena tanto da non poter fare alcun movimento, era stata vista sollevare borse e scatoloni – aveva incaricato la RAGIONE_SOCIALE La nuova investigativa di verificare la fondatezza delle suddette voci; che i risultati della sorveglianza erano stati comunicati con relazione di data 22/2/2021 ed a questa aveva fatto seguito la contestazione disciplinare da cui era derivato il licenziamento, intimato anche in relazione a precedenti sanzioni disciplinari; che gli accertamenti svolti avevano confermato la violazione da parte della sig.ra dell’obbligo di reperibilità in più giornate; che la visita del 3 febbraio 2021 non era stata nè urgente nè imprevista e quindi avrebbe potuto essere programmata rispettando l’obbligo di reperibilità, nè vi era prova che ciò fosse impossibile; che anche gli altri episodi oggetto di contestazione si erano effettivamente verificati; che essendo affetta da lombosciatalgia cronica la sig.ra avrebbe dovuto tenere una condotta prudente ed evitare ogni azione tale da riacutizzare la malattia; che ciò la lavoratrice non aveva fatto, essendosi anzi più volte comportata in modo incompatibile con il suo dovere di diligenza e cautela; che i fatti
materiali da cui erano derivante le precedenti sanzioni non erano stati oggetto di specifica contestazione e le difese addotte dalla sig.ra erano prive di fondamento; che il licenziamento comminato alla lavoratrice era quindi fondato e costituiva una sanzione congrua a fronte della gravità delle infrazioni commesse; che il codice disciplinare era sempre stato affisso in bacheca; e che le ferie e i permessi erano stati utilizzati in alternanza con la Cassa Integrazione.
Con sentenza emessa il 7/11/2023 il Tribunale di Udine confermava la validità del licenziamento, mentre riteneva illegittima l’imposizione di 16 ore di ferie; respingeva quindi le domande proposte dalla ricorrente, salvo quella avente ad oggetto la retribuzione di Euro 148,96 per le ferie illegittimamente godute.
1. Con il primo motivo di impugnazione la sig.ra censura la sentenza del Tribunale di Udine nella parte in cui ha ritenuto dimostrato l’illecito disciplinare consistito nella violazione delle fasce orarie di reperibilità. Afferma in particolare l’appellante che la mattina del 3 febbraio 2021 ella uscì di casa per recarsi ad un appuntamento fissatole dal medico sulla base delle esigenze (ovvero del calendario di visite) del medico stesso e quindi per la necessità di sottoporsi ad una cura che era prevista e doveva essere eseguita con cadenza settimanale; e che il 17 febbraio 2021 rientrò a casa solo 5 minuti dopo l’inizio del periodo di reperibilità e quindi con un ritardo del tutto trascurabile (oltre che imputabile, potenzialmente, ad una mera diversità di regolazio-
ne degli orologi suo e degli investigatori incaricati da ).
1.1. Riguardo al primo episodio, si deve tenere presente, in linea di diritto, che “il giustificato motivo di assenza idoneo ad escludere la sanzione per il mancato reperimento del lavoratore alla visita di controllo durante le fasce orarie di reperibilità, non si identifica necessariamente con lo stato di necessità o con il caso di forza maggiore, ma richiede un ragionevole impedimento, un qualsiasi apprezzabile e serio motivo consistente in situazioni tali da comportare
adempimenti non effettuabili in ore diverse da quelle comprese nelle suddette fasce orarie, situazioni la cui ricorrenza – da provarsi dal lavoratore – giustifica, secondo un criterio di ragionevolezza, il sacrificio dell’interesse al controllo amministrativo in favore dell’interesse alla tutela della salute” (così, in massima, Cassazione Sez. L, Sentenza n. 1668 del 04/03/1996; nello stesso senso Sez. L, Sentenza n. 9731 del 07/10/1997; Sez. L, Sentenza n. 12575 del 12/12/1997; Sez. L, Sentenza n. 5150 del 26/05/1999; Sez.L, Sentenza n. 5492 del 02/05/2000; Sez. L, Sentenza n. 8544 del 22/06/2001; Sez. L, Sentenza n. 16996 del 29/11/2002; Sez. L, Sentenza n. 4247 del 02/03/2004; Sez. L, Sentenza n. 15446 del 10/08/2004; Sez. L, Sentenza n. 22065 del 23/11/2004; Sez. L, Sentenza n. 21621 del 21/10/2010).
1.1.1. In concreto la sig.ra non è riuscita a dimostrare l’esistenza di un ragionevole impedimento a rispettare la fascia di reperibilità mattutina e cioè che la cura cui si è sottoposta il 3 febbraio 2021 non era effettuabile in un momento diverso, coerente con i limiti orari previsti dall’art.4 del d.m.15/7/1986. A questo scopo non è sufficiente quanto dichiarato dalla teste e cioè di aver dato appuntamento alla sig.ra alle ore 11.30 del 3 febbraio 2021 “secondo le disponibilità del calendario visite” ; ciò infatti prova solo la circostanza (in un certo senso ovvia) che la dott.ssa ha fissato la seduta di cura in base alle sue esigenze professionali, ma non dimostra l’impossibilità di anticiparla o posticiparla ad un altro giorno e orario, rispettando la cadenza “all’incirca” settimanale della terapia (considerato che il 3 febbraio 2021 era un mercoledì) e, nello stesso tempo, l’obbligo della sig.ra di essere reperibile a casa dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00.
1.1.2. Dalla deposizione testimoniale non risulta neppure che l’appellante abbia insistito per spostare l’appuntamento e che la dott.ssa sia stata irremovibile nel confermare la data e l’ora già indicate, rifiutando qualunque alternativa; è quindi logico concludere che la sig.ra accettò il giorno e l’ora
che le venivano proposti dal medico non perchè costretta ma perchè si trattava di una soluzione da lei ritenuta conveniente (probabilmente per mantenere la concomitanza della sua seduta di cura con quella della madre).
Un ulteriore indizio in questo senso è dato dal fatto che la sig.ra non cercò almeno di ridurre al minimo la violazione dell’obbligo di reperibilità (allontanandosi da casa solo per il tempo strettamente necessario a raggiungere in auto l’ambulatorio della dott.ssa alle 11.30, sottoporsi alla terapia e poi rientrare presso la sua abitazione).
Al contrario risulta dagli accertamenti de ” ” che ella uscì di casa alle 10.13 per recarsi in auto al panificio “Al INDIRIZZO“; arrivò dalla madre a Monfalcone alle 11.10 ripartendo con lei alle 11.24 per arrivare alle 11.30 presso l’ambulatorio della dott.ssa ; ripartì da lì alle 12.51 per riportare a casa la madre, ivi fermandosi fino alle 14.04, quando uscì per recarsi al supermercato Spak; fatta la spesa ritornò all’abitazione della madre, da dove ripartì alle 15.03 per recarsi in una farmacia e poi tornare ancora una volta a casa della madre; ripartì infine alle 15.35 per rientrare a casa sua alle 16.23 (con una breve sosta presso il bar-tabacchi “INDIRIZZO“).
1.1.3. Il 3 febbraio 2021 vi è stata quindi una duplice violazione delle fasce di reperibilità: una la mattina (essendosi la sig.ra allontanata da casa a partire dalle 10.13) e una il pomeriggio (essendo rimasta assente da prima delle 15.00 fino alle 16.23).
E anzi ve n’è stata anche una terza, essendo poi la sig.ra nuovamente uscita di casa alle 17.18; questo episodio è stato ritenuto non provato dal Tribunale di Udine ma la decisione è stata contestata da (che sul punto ha proposto appello incidentale, pur essendo sufficiente riproporre la questione ex art.346 c.p.c.) e in effetti non può essere condivisa.
E’ vero infatti che nelle foto nn.32 e 33 allegate alla relazione de ”
” (confermate dai testi e
) si vede solo l’auto e
non anche la persona a bordo, ma va escluso che potesse trattarsi del marito dell’appellante (ipotesi questa mai formulata negli atti di causa) o della figlia (la quale, sentita come teste, ha riferito di essere uscita con degli amici che erano venuti a prenderla, salendo “sulla loro auto” ); non essendo note altre possibilità si deve perciò concludere che a condurre l’auto (che sicuramente è stata mossa da INDIRIZZO presso l’abitazione della sig.ra e parcheggiata sempre a Pozzuolo in INDIRIZZO INDIRIZZO) era appunto l’appellante.
1.2. Quanto all’episodio del 17 febbraio 2021, risulta dalla relazione de ” ” (confermata in udienza) che quel giorno la sig.ra a casa alle 10.05 e quindi dopo l’inizio del periodo di reperibilità.
rientrò Certamente si è trattato di un ritardo modestissimo, che, da solo, avrebbe forse giustificato la più lieve delle sanzioni conservative, e che però, nell’ambito delle varie condotte oggetto di contestazione disciplinare, assume valore sintomatico della tendenza della sig.ra a preoccuparsi poco della puntualità del suo adempimento agli obblighi inerenti al rapporto di lavoro. La sig.ra è infatti uscita di casa alle 9.52 per andare a fare un prelievo ad uno sportello bancomat e poi entrare pochi minuti in Banca: tutte cose che, per essere certa di rispettare i suoi doveri, avrebbe potuto fare con maggiore anticipo rispetto all’inizio della fascia di reperibilità o rinviare a dopo le 12.00.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la sig.ra censura la decisione del Tribunale di Udine nella parte in cui ha ritenuto che ella – recandosi a fare la spesa e sollevando le merci acquistate – abbia tenuto una condotta idonea ad aggravare la sintomatologia dolorosa da cui era affetta e che all’epoca le impediva di svolgere la prestazione lavorativa.
Afferma la ricorrente che l’astensione dal lavoro era collegata non al dolore ma alla incompatibilità del suo stato di salute con il mantenimento prolungato
della posizione seduta; che ella non aveva affatto compiuto lunghi tragitti in auto nè movimentato carichi pesanti, avendo peraltro utilizzato un carrello per il trasporto delle merci; e che mai le era stato prescritto di rimanere a riposo assoluto, essendole stato anzi consigliato di effettuare attività fisica regolare a sua scelta, coerentemente con la letteratura scientifica secondo cui i pazienti affetti da lombosciatalgia devono proseguire la normale attività.
2.1. Anche in questo caso i fatti materiali risultano dalla relazione de ” “; più precisamente:
a. nelle foto da 16 a 29 allegate alla suddetta relazione (riguardanti l’episodio del 3 febbraio presso il supermercato RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO a Monfalcone) si vede la sig.ra trasportare due borse palesemente colme di prodotti vari (senza l’ausilio di alcun carrello), anche sollevandole con una mano sola per caricarle in auto e poi scaricarle;
b. nelle foto da 42 a 53 (relative all’episodio del 5 febbraio presso il supermercato Conad di Pozzuolo) si vede la sig.ra spingere un carrello su cui appaiono caricati numerose merci fra cui una confezione di sei bottiglie di acqua (presumibilmente da 1,5 litri ciascuna) e una cassetta di cartone (forse contenente frutta o verdura) e poi caricare gli acquisti in auto (anche piegando il busto e chinandosi);
c. nelle foto da 94 a 107 (relative all’episodio del 7 febbraio presso il Centro Commerciale Discount di Pozzuolo) si vede la sig.ra spingere un carrello (contenente due borse, di cui una ben piena) con una mano e nello stesso tempo trasportare una borsa colma con l’altra mano e poi sollevare, sempre con una mano sola, le suddette borse per caricarle in auto (mentre con l’altra mano teneva alzato il portellone posteriore dell’auto);
d. nelle foto da 152 a 167 (relative all’episodio del 19 febbraio presso il supermercato Conad di Pozzuolo) si vede la sig.ra spingere un carrello contenente, fra l’altro, una borsa colorata di plastica opaca e due con-
fezioni da sei bottiglie di acqua da 1,5 litri e poi sollevare tutte le merci acquistate con una sola mano per caricarle in auto (anche piegando il busto per sollevare le confezioni di bottiglie d’acqua);
e. nelle foto da 182 a 186 (relative all’episodio del 20 febbraio presso il negozio di ortofrutta di INDIRIZZO a Basaldella) si vede la sig.ra sollevare e trasportare una cassetta di frutta e la medesima borsa colorata che già compariva nelle foto di cui al punto precedente.
2.2. Come appare evidente dalle foto sopra citate la sig.ra nelle occasioni oggetto di addebito disciplinare, non stava facendo una semplice passeggiata nè una seduta di ginnastica in palestra e sotto la guida e il controllo di un fisioterapista (ovvero l’attività che si può ritenere fosse consigliata ad una persona affetta da una lombosciatalgia così grave da renderla del tutto inabile al lavoro per molti mesi e cioè dal 29 novembre 2020 al 2 aprile 2021, quando avrebbe riacquistato la parziale capacità lavorativa, stando al certificato emesso il 7/4/2021 dal dott. ai fini della NASPI, doc.15 del fascicolo di parte appellante).
2.2.1. Al contrario la sig.ra ha compiuto numerosi movimenti incongrui e pericolosi: spingere pesanti carrelli di supermercato (di cui si può considerare notoria la non sempre agevole manovrabilità); trasportare e sollevare più borse ricolme di merci, spesso utilizzando una mano sola (e quindi in un’evidente condizione di equilibrio instabile, di asimmetria del carico e di presa incerta); trasportare e sollevare oggetti pesanti (come cassette di frutta e le confezioni di bottiglie d’acqua, il cui peso complessivo è pari ad almeno 9 chili); compiere torsioni e piegamenti del busto per caricare in auto, e poi scaricare, le cose acquistate (operando per di più in spazi ristretti, a causa della presenza di ostacoli stradali di vario tipo, e su pavimentazione potenzialmente inidonea a garantire un appoggio sicuro) e per salire e scendere dal veicolo.
2.2.2. Due sono quindi le alternative.
O la sig.ra era in grado, a febbraio 2021, di compiere tutti i movimenti sopra descritti senza alcun rischio per la sua salute, e allora si deve ritenere che avrebbe potuto e dovuto riprendere servizio presso ; non si comprende infatti perchè – se era in grado di spingere carrelli, sollevare borse della spesa e compiere torsioni e piegamenti del busto – non potesse lavorare a tempo parziale in un ambiente (visibile nella foto allegato 4 al fascicolo di parte appellata) in cui aveva a disposizione una comoda sedia, un’ampia scrivania, spazio libero per muoversi, non doveva spostare carichi pesanti e non doveva necessariamente rimanere ferma e seduta per tutto il tempo (poichè le sue mansioni le avrebbero consentito di alzarsi e cambiare liberamente postura, se è vero, come dichiara la dott.ssa nel suo certificato del 27/9/2021, doc.21 di parte appellante, che il fatto di mantenere la postura seduta per lungo tempo era incompatibile con la sua patologia).
O al contrario la lombosciatalgia da cui era affetta impediva in assoluto alla sig.ra di svolgere, anche a part time, le sue ordinarie mansioni impiegatizie – non tanto per le loro caratteristiche intrinseche ma a causa della sin1 tomatologia dolorosa – e allora è inevitabile concludere che i movimenti di cui si discute vanno considerati come condotta pericolosa e imprudente, essendo senza dubbio idonei (sulla base di una valutazione da compiere ex ante )
1 descritte dai testi esaminati in primo grado:
teste “Cap. 9): la ricorrente si occupava della pianificazione e gestione marketing nel momento in cui la direzione le affidava il compito. La ricorrente si occupava della gestione delle attività di marketing specificamente in relazione ai compiti che le venivano assegnati. Si occupava di recupero crediti; nel momento in cui le veniva richiesto di farlo, si occupava anche del supporto alla assistenza tecnica sulle richieste di intervento dei clienti per malfunzionamenti e, se le veniva richiesto, si occupava del centralino, rispondendo e smistando le chiamate. Cap. 13): nella seconda postazione della stanza c’era comunque un’altra persona che gestiva le mansioni di segreteria e di centralino, tale e poi tale Esibita alla teste la fotografia 1 n. 4 di parte resistente, conferma che questa è la postazione. Con riferimento a questa foto, la ricorrente sedeva nella postazione in cui si vede la sedia nera di schiena.”
teste “Cap. 9): c’erano diverse persone che lavoravano per il marketing tra cui anche la non posso dire che ne avesse la gestione completa. So che la ricorrente si occupava di recupero crediti, ma anche di questo si occupavano anche altri. La ricorrente riceveva le chiamate dei clienti per richieste 4 di intervento. Preciso che normalmente c’è un centralinista, ma in casi di eccessivo afflusso in entrata o di assenza del centralinista poteva rispondere al telefono anche la ricorren-
a riacutizzare i sintomi della malattia e quindi a ritardare (se non a pregiudi2 care) la completa guarigione e il ritorno al lavoro.
2.3. Una condotta di questo tipo costituisce, secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, “violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede” (Cassazione Sez. L, Ordinanza n. 26496 del 19/10/2018; conformi Sez. L, Sentenza n. 1173 del 18/01/2018; Sez. L, Sentenza n. 17625 del 05/08/2014; Sez. L, Sentenza n. 21253 del 29/11/2012; Sez. L, Sentenza n. 27104 del 19/12/2006; Sez. L, Sentenza n. 14046 del 01/07/2005 e numerose altre pronunce); e – data la sua reiterazione – va considerata come inadempimento di rilevante gravità.
3. L’appellante ha poi contestato la sussistenza delle infrazioni disciplinari da cui sono derivate le sanzioni richiamate come recidiva nella lettera di contestazione del 2/3/2021.
3.1. In via preliminare si deve osservare che effettivamente non è ravvisabile un caso di recidiva vera e propria: l’art.48 punto A) comma 2) lettera h) del CCNL applicabile al rapporto di lavoro prevede infatti, tra le cause di licenziamento con preavviso “la recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 47, qualora siano stati applicati due provvedimenti di sospensione nell’ambito del biennio precedente” ; in concreto alla sig.ra sono state comminate un’ammonizione scritta, una multa di un’ora e infine una sospensione per tre giorni: manca quindi il requisito della doppia sospensione.
22 come ritenuto dal C.T.U. nominato in primo grado, nella cui relazione così testualmente si legge: “Non avendo quindi elementi per ritenere che la Signora nel periodo oggetto dell’attuale causa stesse bene e che ci fosse una sovrastima soggettiva o oggettiva del problema, si accredita una realtà clinica ove anche episodi non continuativi di sovraccarico funzionale, momenti di carico asimmetrico della colonna vertebrale, potessero svolgere un certo ruolo aggravante, non nella evoluzione della patologia intesa dal punto di vista anatomo-patologico, ma quantomeno della manifestazione clinica con contrattura muscolare dolorosa che ne derivava. In sostanza e in termini forse fin troppo semplicistici, essendo la Signora in uno stato clinico tale da giustificare un lunghissimo periodo di malattia, si ritiene che anche singoli momenti di sovraccarico funzionale della colonna vertebrale possano aver accentuato la fenomenologia e prolungato la necessità di cure.”
3.2. Va detto però che le condotte pregresse, seppure non configurano recidiva in senso stretto, possono rilevare ai fini della valutazione della gravità di una nuova infrazione disciplinare del lavoratore e come criterio di determinazione della ulteriore sanzione da applicare; e quindi i precedenti richiamati nella citata lettera devono essere presi in esame, avendo la sig.ra proposto uno specifico motivo di appello contro la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto congrua la sanzione del licenziamento.
3.2.1. Riguardo alla contestazione del 29/3/2016, afferma la sig.ra di non essersi rifiutata di adempiere ad un ordine di lavoro ma di essersi solo difesa dall’accusa di non dedicarsi a sufficienza al recupero dei crediti; di aver replicato alla richiesta, formulata dal sig. con tono perentorio e aggressivo, di fornire maggiori dettagli sulle attività da lei svolte quotidianamente; e di aver utilizzato un tono consono alla conoscenza di lunga data e all’informalità dei rapporti intercorrenti fra lei e il NOME
Sul punto si deve osservare che il messaggio di posta elettronica inviato dal sig. il 25/3/2019 conteneva solo la richiesta alla sig.ra di distinguere, nel relazionare sulle attività svolte, le chiamate fatte ai clienti, le mail sempre inviate ai clienti e le altre “varie ed eventuali” (richiesta che non appare affatto assurda o gravatoria); ed esprimeva (in modo tutt’altro che aggressivo e certamente non offensivo) una qualche insoddisfazione del datore di lavoro riguardo alla quantità di tempo e di impegno dedicati al recupero crediti. La risposta della sig.ra di cui è opportuno citare qui di seguito un breve ma significativo stralcio:
“Quindi sono stata preceduta anche da una ragazza in maternità che rientrerà nei primi mesi del 2020(posti invertiti nella precedente direttiva, quando era già in maternità, c’era e poi , che è stata buttata a far recupero da circa 2 mesi e per fortuna è molto sveglia, quindi se, dopo 8 anni che il recupero crediti praticamente l’ho fatto solo io, come già detto, vado a fare marketing che mi riesce meglio, oppure puoi sempre licenziarmi per scarso rendimento e/o lavoro improprio e/o quello che ritieni più opportuno, mi scivola via come l’olio, in quanto con tutto questo che sto vivendo nell’ultimo anno, come dice una canzone, tutto il resto è noia.
lo non ho tempo di scrivere tutto quello che faccio, come avevi detto a Suo tempo basta scrivere i nomi dei clienti, e io ti invio anche cosa fatto anche in modo più dettagliato.
Ci sono 3 telecamere in reception, puoi verificare in qualsiasi momento cosa stia facendo, visto la tua diffidenza nei miei confronti, oltre al fatto che non sopporti la sottoscritta, esclusivamente perché ha sempre detto quello che pensa e in un’azienda dove è più facile parlare per dietro e/o essere accondiscendi, rientro nelle poche pecore nere, che sono una spina nel fianco, puoi sempre licenziarmi.
E poi mi pare che il riepilogativo alcuni soggetti siano esentati a farlo, cosa che non mi pare corretta.
Ti ricordo però, che i grossi importi che rientrano dopo un marcamento a uomo, è quasi esclusivamente dal mio lavoro.”
appare quindi estremamente, e inutilmente, polemica e soprattutto irrispettosa delle prerogative datoriali (contenendo un implicito, ma evidente, rifiuto di adeguarsi alle indicazioni e richieste del sig. ); la sanzione del richiamo scritto appare quindi fondata e assolutamente congrua.
3.2.2. Riguardo alla contestazione dell’11/6/2020, l’appellante ha dedotto di non aver affatto denigrato l’azienda datrice di lavoro, essendosi limitata a riferire al cliente di aver agito con sollecitudine nel segnalare la problematica sia all’area tecnica che alla direzione della ditta.
In realtà ciò che è stato addebitato alla sig.ra è di esseri preoccupata solo di difendere se stessa – riferendo al cliente di essere stata collocata in cassa integrazione, di essersi attivata per segnalare il problema e per sollecitare una soluzione – e non anche di tutelare l’immagine dell’azienda, acquisendo dai colleghi e poi fornendo al cliente informazioni sugli interventi previsti per affrontare e risolvere il malfunzionamento della linea telefonica.
Dato il contenuto della mail inviata dalla sig.ra alla ditta COGNOME il 19 maggio 2020 l’addebito – che ha ad oggetto, in sintesi, la scarsa diligenza della lavoratrice nel gestire in modo adeguato il rapporto commerciale con il cliente – appare assolutamente fondato e la condotta meritevole di sanzione.
3.2.3. Riguardo infine alla contestazione del 28/9/2020, l’appellante ha dedotto che
ha opposto un rifiuto immotivato ed arbitrario alla sua richiesta di usufruire di un giorno di permesso il 18 settembre 2020 e quindi ha tenuto una condotta contraria a buona fede e correttezza, tanto più in un periodo in
cui ella aveva lavorato (da metà marzo a metà settembre) in media un giorno a settimana ed era anche stata posta in permesso – senza che ne avesse fatto richiesta – nei giorni 2, 3, 4, 7, 8 e 9 settembre.
L’art.1460 c.c., invocato dalla sig.ra richiede che sia valutata la proporzionalità dei rispettivi inadempimenti delle parti.
A questo scopo si deve tenere presente che, in base all’art.26 comma 11 del CCNL, il datore di lavoro non ha un obbligo assoluto di concedere il permesso non richiesto con il dovuto preavviso (come è accaduto nel caso in esame), ma ha la facoltà di valutare se l’assenza del lavoratore sia compatibile con le esigenze aziendali.
Spettava perciò alla sig.ra – al fine di rendere legittima la sua unilaterale decisione di non recarsi al lavoro il 18 settembre 2020 – l’onere di allegare e dimostrare, da una parte, che quel giorno la sua prestazione non era necessaria (perchè, ad esempio, non vi era per lei alcuna attività urgente da svolgere in azienda o la sua assenza poteva essere facilmente coperta da un collega in servizio) e, dall’altra, che il permesso da lei richiesto era finalizzato a tutelare un suo interesse personale più rilevante di quello del datore di lavoro; e cioè, in sintesi, che il suo rifiuto di eseguire la prestazione lavorativa ha avuto scarsa rilevanza nell’ambito del sinallagma contrattuale.
A quest’onere l’appellante non ha adempiuto (non avendo dedotto nulla di specifico riguardo alla situazione aziendale del 18 settembre 2020 nè fornito la prova che quel giorno era fisato il matrimonio di un familiare, nè individuato questa persona e il tipo di rapporto di parentela) e quindi la sanzione comminatale da va considerata legittima.
3.3. Valutando nel complesso tutte le condotte della sig.ra – sia quelle pregresse che quelle oggetto della contestazione disciplinare del 2/3/2021 – risulta abbastanza evidente l’insofferenza della lavoratrice per i vincoli derivanti dal rapporto con e la sua tendenza a subordinare l’adempimento
dei doveri inerenti a tale rapporto alla soddisfazione dei suoi personali interessi.
E quindi – tenuto altresì conto della oggettiva gravità della condotta consistita nel compiere, durante la malattia, azioni e movimenti potenzialmente idonei a ritardare la guarigione – si deve concludere che il licenziamento di cui si discute va considerato sanzione congrua.
4. L’appellante censura la sentenza di primo grado anche nella parte in cui non ha accolto l’eccezione di illegittimità di tutte le sanzioni disciplinari oggetto di causa per la mancata affissione del codice disciplinare.
4.1. Quanto alle sanzioni conservative pregresse, la questione non ha rilevanza: si è già chiarito infatti che in concreto non è configurabile la recidiva (rispetto alla quale potrebbe assumere significato l’invalidità formale dei provvedimenti datoriali); la possibilità di valorizzare le condotte passate della lavoratrice ai fini della valutazione della congruità della sanzione espulsiva non è invece esclusa dalla mancata affissione del codice disciplinare.
E peraltro va detto che le infrazioni addebitate alla sig.ra consistono nella violazione non di norme di azione o prassi derivanti da direttive aziendali, ma di doveri fondamentali inerenti al rapporto di lavoro (come quello di eseguire la prestazione dovuta o di comportarsi con correttezza e diligenza nei confronti del datore di lavoro).
4.2. Quanto appena detto vale anche per il licenziamento: esso è stato infatti comminato per la violazione di obblighi normativi (come quello di rispettare le fasce di reperibilità durante le assenze per malattia) o insiti nel rapporto di lavoro (come quello di non tenere comportamenti tali da mettere a rischio la guarigione) e quindi conoscibili e percepibili da parte del lavoratore indipendentemente dalla affissione di un codice disciplinare.
5. L’ultimo motivo di impugnazione proposto dalla sig.ra riguarda l’imposizione di alcuni permessi, che il Tribunale di Udine avrebbe erroneamente ritenuto legittima.
5.1. La domanda è, in realtà, priva di interesse: l’appellante ha chiesto infatti il pagamento delle differenze retributive derivanti dalla illegittima imposizione dei permessi, ma, essendosi pacificamente trattato di permessi retribuiti, non si comprende perchè il medesimo corrispettivo dovrebbe essere pagato di nuovo.
5.2. La sig.ra avrebbe potuto piuttosto chiedere il risarcimento del danno subito a causa del fatto di aver dovuto usufruire di permessi non richiesti, perdendo così la possibilità di ottenerli in altro momento: in causa ella non ha però nè dedotto (e provato) l’esistenza di questo danno, nè fornito qualche elemento per quantificarlo; e quindi la domanda, se anche fosse stata proposta, avrebbe dovuto essere respinta.
6. L’impugnazione va quindi integralmente respinta. Considerata la complessità – sia in fatto che in diritto – delle questioni discusse, e tenuto altresì conto della inammissibilità dell’appello incidentale (proposto da riguardo ad un punto della controversia, la validità del licenziamento, sul quale era stata del tutto vittoriosa e quindi non per chiedere la modifica della decisione ma solo per far valere un argomento difensivo già svolto in primo grado , di per sè valutabile ex art.346 c.p.c.), le spese di lite 3
3 “L’appellato non ha bisogno di proporre appello incidentale quando, vittorioso nel giudizio di primo grado, non chieda alcuna modificazione in suo favore della decisione contenuta nella sentenza impugnata dal soccombente ma, attraverso la riproposizione di difese gia prospettate nel giudizio di primo grado, chieda solo la rettifica della errata valutazione di situazioni di fatto e di erronei principi di diritto contenuti nella motivazione, cosi da giungere alla conferma della decisione impugnata dal suo contraddittore” (Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 2397 del 22/07/1971; Sez. 3, Ordinanza n. 33649 del 01/12/2023).
“È inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa in appello e diretto soltanto alla modifica della motivazione della sentenza impugnata, potendo tale correzione essere ottenuta mediante la semplice riproposizione delle difese nel controricorso o attraverso l’esercizio del potere correttivo attribuito alla Corte di Cassazione dall’art. 384 cod. proc. civ. (Cassazione Sez. L, Sentenza n. 7057 del 24/03/2010; Sez. L, Sentenza n. 658 del 16/01/2015).
del grado vanno compensate per metà e per il resto poste a carico della soccombente.
P.Q.M.
la Corte di Appello di Trieste, definitivamente pronunciando, così decide:
respinge l’appello principale proposto da contro la sentenza del Tribunale di Udine n. 254/2023 di data 7/11/2023 e dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto da contro la medesima sentenza, che per l’effetto integralmente conferma; compensa metà delle spese di lite del grado e condanna la sig.ra rifondere a la restante metà che liquida, nella quota, in Euro 4.500,00 oltre spese forfettarie nella misura massima di tariffa, IVA e CPA di legge; dà atto della sussistenza in capo ad entrambe le parti dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115/2002.
Trieste, 27/6/2024.
Il Giudice Estensore
(dott.NOME COGNOME)
Il Presidente (dott.ssa NOME COGNOME