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Licenziamento malattia: attività extra lavorativa

La Corte d’Appello di Trieste ha confermato la legittimità di un licenziamento per giusta causa inflitto a una lavoratrice in malattia. La dipendente, assente per lombosciatalgia, è stata sorpresa da un investigatore privato a compiere attività (come fare la spesa e sollevare pesi) ritenute incompatibili con il suo stato di salute e potenzialmente idonee a ritardarne la guarigione. La Corte ha qualificato tale condotta come una violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, a prescindere dalla violazione delle fasce di reperibilità. La decisione sottolinea come il lavoratore in malattia debba astenersi da qualsiasi comportamento che possa pregiudicare un rapido recupero, giustificando altrimenti la sanzione espulsiva.

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Licenziamento Malattia: Quando le Attività Extra Lavorative Costano il Posto

Il licenziamento malattia è un tema delicato che tocca i diritti e i doveri sia del lavoratore che del datore di lavoro. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Trieste offre spunti cruciali su quali comportamenti, tenuti dal dipendente durante il periodo di assenza per malattia, possano legittimare la sanzione espulsiva. Il caso analizzato riguarda una lavoratrice licenziata per giusta causa dopo essere stata sorpresa a svolgere attività ritenute incompatibili con la sua patologia, una lombosciatalgia, e potenzialmente idonee a ritardarne la guarigione.

I Fatti del Caso: Malattia e Sorveglianza Investigativa

Una lavoratrice si assentava dal lavoro per un periodo prolungato a causa di una diagnosticata lombosciatalgia. Il datore di lavoro, nutrendo sospetti sulla reale condotta della dipendente, incaricava un’agenzia investigativa per monitorarne gli spostamenti.

Le indagini hanno documentato che la lavoratrice, in più occasioni, aveva violato le fasce di reperibilità e, soprattutto, era stata filmata e fotografata mentre compiva una serie di attività quotidiane come:

* Fare la spesa in diversi supermercati.
* Spingere carrelli della spesa carichi.
* Trasportare e sollevare borse e cassette di prodotti, anche con una mano sola.
* Compiere torsioni e piegamenti del busto per caricare gli acquisti in auto.

La Difesa della Lavoratrice e il Licenziamento per Giusta Causa

La società datrice di lavoro, sulla base delle prove raccolte, contestava alla dipendente la violazione degli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede. Secondo l’azienda, tali attività non solo erano incompatibili con la lombosciatalgia dichiarata, ma rappresentavano una condotta imprudente che avrebbe potuto aggravare la patologia e, di conseguenza, ritardare il suo ritorno al lavoro.

La lavoratrice si difendeva sostenendo che le sue uscite erano giustificate (ad esempio, per recarsi a una visita medica) e che le attività svolte non erano pesanti. Affermava inoltre che non le era mai stato prescritto il riposo assoluto, ma anzi le era stata consigliata una moderata attività fisica.

Nonostante le giustificazioni, l’azienda procedeva con il licenziamento per giusta causa, ritenendo che la fiducia alla base del rapporto di lavoro fosse irrimediabilmente compromessa.

Le Motivazioni della Corte d’Appello sul Licenziamento Malattia

La Corte d’Appello ha confermato la decisione del Tribunale, rigettando il ricorso della lavoratrice. I giudici hanno articolato il loro ragionamento su due pilastri fondamentali.

Il primo riguarda la violazione dell’obbligo di non pregiudicare la guarigione. La Corte ha stabilito che, al di là del rispetto formale delle fasce di reperibilità, il lavoratore in malattia ha il dovere di astenersi da qualsiasi condotta che possa, anche solo potenzialmente, ritardare il suo recupero. Sollevare pesi, spingere carrelli e compiere torsioni sono state considerate attività oggettivamente pericolose e incongrue per chi soffre di lombosciatalgia. Tali azioni costituiscono una violazione degli obblighi di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), poiché ledono l’interesse del datore di lavoro a ricevere la prestazione lavorativa nel più breve tempo possibile.

Il secondo pilastro è la valutazione complessiva della condotta. La Corte ha preso in esame anche le precedenti sanzioni disciplinari a carico della lavoratrice. Sebbene non fossero sufficienti a configurare una ‘recidiva’ in senso tecnico (che avrebbe richiesto due sospensioni pregresse), sono state considerate come un indice sintomatico della sua generale insofferenza verso i doveri derivanti dal rapporto di lavoro. Questo ha contribuito a qualificare l’infrazione come particolarmente grave e a ritenere congrua la sanzione del licenziamento.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: lo stato di malattia non è una ‘zona franca’ in cui il lavoratore può agire senza riguardo per i propri doveri contrattuali. L’obbligo principale durante l’assenza non è solo quello di essere reperibile per le visite di controllo, ma soprattutto quello di adottare una condotta prudente e diligente finalizzata alla più rapida guarigione possibile. Qualsiasi attività che, secondo un criterio di ragionevolezza e sulla base di nozioni di comune esperienza, possa compromettere o ritardare il recupero, può essere considerata una grave violazione del dovere di buona fede e giustificare il licenziamento malattia per giusta causa.

È possibile licenziare un dipendente per le attività che svolge durante la malattia?
Sì, è possibile. La sentenza chiarisce che se un lavoratore in malattia compie attività che sono potenzialmente idonee a pregiudicare o ritardare la sua guarigione, tale condotta costituisce una violazione degli obblighi di diligenza e buona fede e può giustificare il licenziamento per giusta causa.

L’assenza durante le fasce di reperibilità è di per sé sufficiente per un licenziamento?
Non necessariamente da sola, ma è un elemento molto rilevante. La sentenza sottolinea che la violazione delle fasce di reperibilità, sommata ad altre condotte incompatibili con lo stato di malattia, rafforza la gravità dell’inadempimento del lavoratore. L’assenza è giustificabile solo per un ‘ragionevole impedimento’ che deve essere provato dal lavoratore, non per mera convenienza.

Le precedenti sanzioni disciplinari sono importanti anche se non si configura una ‘recidiva’ formale?
Sì. La Corte ha spiegato che, anche se non sono soddisfatti i requisiti tecnici per la recidiva (come due sospensioni precedenti), i comportamenti pregressi possono essere valutati per determinare la gravità complessiva della nuova infrazione e per giudicare la congruità della sanzione del licenziamento, in quanto possono rivelare una tendenza del lavoratore a non rispettare i propri doveri.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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