Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. L Num. 2973 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 2973  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 9630-2023 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE  (già  RAGIONE_SOCIALE),  in  persona  del  legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente – ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 3421/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/10/2022 R.G.N. 1927/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17/12/2024 dal AVV_NOTAIO. COGNOME.
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud.17/12/2024
CC
RILEVATO CHE
il Tribunale di Roma, pronunciandosi sul ricorso proposto da NOME COGNOME contro RAGIONE_SOCIALE, di cui era dipendente dal 3.5.2017, con qualifica di quadro e mansioni di Construction Manager principalmente presso il cantiere di Arad in Romania, ricorso di impugnativa del licenziamento disciplinare comminato il 26.11.2018, nel contraddittorio con la società resistente, annullava il licenziamento, condannava la società alla reintegra del ricorrente nel posto di lavoro, con le mansioni e l’inquadramento in atto al momento del recesso, e al risarcimento del danno nella misura complessiva di € 64.157,64 (pari a 12 mensilità di retribuzione), oltre accessori, e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal momento del licenziamento sino all’effettiva reintegra;
la  Corte  d’Appello  di  Roma,  in  parziale  accoglimento dell’appello  della  società  e  in  parziale  riforma  della  sentenza impugnata in punto di reintegra, condannava la società alla sola indennità risarcitoria, conseguente all’annullamento del licenziamento, determinata nella misura di 5 mensilità dell’ultima retribuzione, oltre interessi e rivalutazione come per legge, oltre alla regolarizzazione contributiva; confermava nel resto la sentenza gravata e respingeva ogni altra domanda;
il  lavoratore  ricorre  per  la  cassazione  della  sentenza  di appello con 4 motivi; resiste con controricorso la società (ora RAGIONE_SOCIALE quale soggetto beneficiario di scissione parziale proporzionale),  e  propone  ricorso  incidentale  con  3  motivi; entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera  di  consiglio,  il Collegio si è riservato il  deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il  primo  motivo  del  ricorso  principale  viene  dedotta (art. 360, n. 4, c.p.c.) nullità della sentenza per difetto assoluto di  motivazione  sul  criterio  adottato  in  ordine  alla  disciplina sostanziale applicabile alla fattispecie oggetto di scrutinio;
con  il  secondo  motivo  (art.  360,  n.  3,  c.p.c.),  erronea applicazione dell’art. 8 del Regolamento UE n. 593/2008 (c.d. Regolamento  Roma  I);  si  sostiene  erroneità  della  sentenza impugnata  per  non  avere  chiarito  il  percorso  logico  che  l’ha condotta a ritenere valida ed efficace una pattuizione relativa a un licenziamento nullo;
con  il  terzo  motivo  (art.  360,  n.  3,  c.p.c.),  erronea applicazione dell’art. 8 del Regolamento UE n. 593/2008 (c.d. Regolamento Roma I) in relazione all’art. 3 d. lgs. n. 23/2015; si  sostiene  che  è  necessario  far  riferimento  al  consolidato orientamento di legittimità circa l’estensione della tutela rea le come conseguenza del licenziamento illegittimo in presenza di violazioni talmente gravi da essere parificate all’omessa contestazione;
con il quarto motivo (art. 360, n. 5, c.p.c.), omesso esame circa  un  fatto  decisivo  per  il  giudizio  che  è  stato  oggetto  di discussione  tra  le  parti,  in  ordine  ai  criteri  di  prevalenza  per determinare la legge applicabile al rapporto;
con il primo motivo di ricorso incidentale, la società deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) nullità della sentenza per carenza degli elementi essenziali di cui agli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.; si sostiene la contraddittorietà della pronuncia, con riferimento al licenziamento, quanto all’applicazione delle clausole del contratto individuale tra le parti, in legittima deroga alla legge romena scelta dalle parti, per poi applicare la norma di cui all’art. 7 St. Lav. per la procedura disciplinare;
con  il  secondo  (art.  360,  n.  5,  c.p.c.),  erroneità  della sentenza (ove non nulla) sempre in relazione alla non applicabilità alla fattispecie della legge italiana;
con il terzo (art. 360, n. 3, c.p.c.), in caso di accoglimento del ricorso principale e ritenuta applicabilità della legge italiana, v iolazione  dell’art.  1 -bis  del  contratto  di  lavoro  sottoscritto  e applicato  dalle  parti  e  dell’art.  7,  legge  n.  300/1970;  (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.);
osserva il Collegio che, come risulta dalla sentenza d’appello e dagli atti di parte nella presente fase del giudizio, la decisione di primo grado è stata fondata sull’applicabilità al rapporto di lavoro della legge italiana, in base al Regolamento UE n. 1215/2012 (c.d. ‘Regolamento Bruxelles I bis’, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale ) e al Regolamento UE n. 593/2008 (c.d. Regolamento Roma I, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali), art. 8, perché, pur in considerazione del riferimento contenuto nel contratto individuale di lavoro alla legge romena, dovendosi verificare se la scelta consensuale possa valere a privare il lavoratore delle tutele inderogabili assicurate dalla legge del paese così individuato, in base al criterio di prevalenza, il contratto presentava un collegamento più stretto con l’Italia rispetto alla Romania, in virtù delle circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio; sono state ritenute, di conseguenza, inapplicabili le previsioni contrattuali in materia di recesso dal rapporto di lavoro, nella misura in cui prevedono, per l’ipotesi di licenziamento ingiustificato, tutele per il lavoratore inferiori e differenti rispetto a quelle assicurate dalle norme di legge vigenti in Italia, che rivestono carattere imperativo e sono inderogabili; è stato giudicato il licenziamento illegittimo per la
violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 St. Lav., per difetto dei requisiti di determinatezza, specificità e tempestività della contestazione, la cui estrema genericità era tale da fare assimilare l’ipotesi a quella dell’omessa contestazione, con applicazione della tutela reintegratoria attenuata di cui a ll’art. 3, d.lgs. n. 23/2015 (insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore);
9. la Corte d’Appello, invece, ha osservato che, in base al contratto individuale di lavoro era applicabile al rapporto la legge della Romania, fermo il limite all’applicabilità della legge individuata in via pattizia dalle parti fissato dal l’art. 8 del Regolamento Roma I. posto a garanzia del lavoratore, quale contraente più debole, al fine di non privarlo delle tutele previste dall’ordinamento, che sarebbero state applicabili nel caso in cui la parti non avessero optato per una legge diversa; che, a prescindere dall’interpretazione preferibile sulla prevalenza, ai fini dell’individuazione della legge applicabile in mancanza di scelta, del collegamento più stretto, di cui al comma 4, sugli altri criteri previsti dai commi 2 e 3 (principalmente il luogo di esecuzione del contratto o, con carattere di sussidiarietà, il luogo dove esiste la sede in cui il lavoratore è stato assunto), anche aderendo alla prospettazione del lavoratore sull’applicazione della legge italiana, e quindi della reintegra conseguente al licenziamento dichiarato nullo, tale misura (la reintegra) non era qualificabile come non derogabile; che deve ritenersi inderogabile convenzionalmente, piuttosto, il principio della stabilità del rapporto, nel senso che non si può escludere in via pattizia la previsione di tutela contro il licenziamento ingiustificato, quanto al divieto di arbitrio da parte del datore di lavoro nell’adozione degli atti di recesso, ma che il carattere dell’inderogabilità non si estende anche alla misura
sanzionatoria, non necessariamente identificabile con il rimedio della reintegra;
10. pertanto, la Corte territoriale ha confermato la declaratoria, già operata dal Tribunale, di illegittimità del licenziamento per essere la contestazione totalmente priva dei requisiti di determinatezza e specificità, in violazione dell’art. 7 legge. n. 300/1970, ovvero sorretta da giustificazione talmente generica da potersi assimilare all’ipotesi d i omessa contestazione in violazione delle garanzie poste a tutela del procedimento disciplinare; in punto di sanzione applicabile, ha ritenuto doversi fare riferimento alla disciplina individuata convenzionalmente dalle parti per l’ipotesi di licenziamento ingiustificato (corresponsione di un indennizzo da un minimo di due e mezzo a un massimo di cinque mensilità dell’ultima retribuzione), individuando la sanzione da applicare al caso concreto nella misura massima stabilita convenzionalmente;
11. reputa  il  Collegio  che,  per  il  rilievo  nomofilattico  delle questioni -interpretazione del Regolamento Roma I, individuazione dei criteri di prevalenza o di collegamento ai fini dell’individuazione della legge applicabile, derogabilità o meno di  specifici  profili  di  tutela  –  poste  dal ricorso  principale  e  dal ricorso incidentale, si rende opportuna la trattazione della causa in pubblica udienza;
P.Q.M.
La Corte dispone trattarsi la causa in pubblica udienza e la rinvia a tal fine a nuovo ruolo.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 17 dicembre 2024.