Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13687 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13687 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15978-2023 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 88/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/01/2023 R.G.N. 170/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento individuale
R.G.N. 15978/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/02/2025
CC
RILEVATO CHE
Con raccomandata del 28.3.2019, restituita al mittente per compiuta giacenza il 17.5.2019, il Consorzio RAGIONE_SOCIALE intimava al dipendente NOME COGNOME dipendente con mansioni di autista licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto per la cessazione dell’appalto cui era addetto.
Impugnato il provvedimento di recesso, il Tribunale di Torre Annunziata rigettava le domande del lavoratore.
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 88/2023, ha confermato la pronuncia di prime cure rilevando che: a) non si verteva in una ipotesi di licenziamento orale, come sostenuto dal lavoratore che aveva dedotto che la società, pur essendo a conoscenza del suo stato di detenzione, aveva comunicato il provvedimento di licenziamento presso la sua residenza, in quanto quest’ultimo era il luogo indicato per l’invio di tutte le comunicazioni e non si verteva in una ipotesi di un evento eccezionale ed estraneo alla volontà che gli impedisse la conoscenza; b) la doglianza circa una eventuale sospensione del rapporto di lavoro, che avrebbe determinato il suo restare in capo alla società cedente fino al subentro della nuova società e fino alla cessazione della causa di sospensione, era una questione nuova e, pertanto, inammissibile in grado di appello; c) il giustificato motivo oggettivo della soppressione del posto era stato dimostrato (soppressione settore lavorativo) così come l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso il Consorzio RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente depositava memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, in relazione all’art. 1335 cc, all’art. 156 co. 1 cpp nonché all’art. 2 legge n. 604/1966 nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, avendo la Corte territoriale, da un lato, errato nell’affermare che esso ricorrente non aveva provato di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di avere notizia del provvedimento di licenziamento comminato dalla società, essendo detenuto nella casa Circondariale di Poggioreale e non essendo obbligato a delegare ad altri il ritiro della posta, e avendo la Corte di appello, dall’altro, omesso di rilevare che la lettera di licenziamento era stata inv iata dall’azienda ad un indirizzo diverso da quello comunicato al momento dell’assunzione.
Con il secondo motivo si eccepisce, in modo più specifico, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, in relazione all’art. 1335 cc, per non avere la Corte di appello considerato che il processo notificatorio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento del 28.3.2019 non si era neanche perfezionato in quanto la lettera de qua era stata inviata non al domicilio del Marrazzo ma ad altro indirizzo.
Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, in relazione agli artt. 3 e 5 della legge n. 604/66, dell’art. 2697 cc, degli artt. 115 e 116 nonché dell’obbligo del repêchage , per avere errato la Corte territoriale nel ritenere infondati i rilievi di esso ricorrente sulla sussistenza del giustificato motivo oggettivo e per violazione dell’obbligo di repêchage , spettando solo al datore di lavoro di dimostrare tali presupposti e non avendo il Consorzio RAGIONE_SOCIALE assolto tale onere probatorio.
Con il quarto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, in relazione agli artt. 3 e 5 legge n. 604/1966, artt. 3 e 5 legge n. 300/1970 e art. 18 co. 4 e 7 legge n. 300/1970, per non avere la Corte distrettuale considerato che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE non aveva provato né il fatto posto a base del
licenziamento né l’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre posizioni pur essendo una azienda che aveva numerosi appalti per la raccolta di rifiuti solidi urbano in vari comuni ed occupava più di mille addetti.
I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione logico-giuridica, non sono fondati.
E’ opportuno subito evidenziare l’inammissibilità della doglianza riguardante la questione dell’indirizzo sbagliato cui è stata inviata la raccomandata di licenziamento: secondo l’assunto di parte ricorrente ‘INDIRIZZO Torre del Greco e non INDIRIZZO INDIRIZZO Torre del Greco’, come invece risultava dalla certificazione anagrafica prodotta.
Si tratta, infatti, di una questione nuova, non affrontata dalla gravata sentenza e in relazione alla quale non è stato dedotto il ‘dove’, il ‘come’ ed il ‘quando’ essa sia stata sottoposta ai giudici del merito (Cass. n. 3473/2025) negli stessi sensi in cui è stata qui prospettata.
Per il resto le censure sono infondate.
Il principio di diritto, cui fare riferimento, è costituito da quanto affermato da questa Corte (Cass. n. 6256/2016; Cass. n. 13087/2009) secondo cui, in tema di licenziamento individuale, qualora la comunicazione del provvedimento di recesso, spedita al domicilio del dipendente, non sia consegnata per assenza del destinatario e di altra persona abilitata a riceverla, essa si presume conosciuta dal momento della consegna del relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale, in virtù della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., sicché da quella data decorre il termine per impugnare, spettando al destinatario l’onere di dimostrare di essersi trovato senza colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto.
Orbene, in astratto è possibile che lo stato di detenzione possa essere un valido motivo per ritenere che il lavoratore, senza colpa, non abbia potuto avere conoscenza di avere avuto notizia dell’atto recettizio ma, nella fattispecie in esame, la Corte di merito
ha svolto un accurato esame di merito in virtù del quale ha appurato che: a) la comunicazione fu inviata all’indirizzo indicato all’atto dell’assunzione; b) nessun certificato anagrafico successivo, comportante una modifica o una variazione, era stato depositato; c) la società, che aveva avuto notizia dell’avvenuto arresto del Marrazzo nell’aprile 2018, non poteva sapere se, al marzo 2019, fosse intervenuta qualche variazione delle modalità di detenzione personale (per esempio arresti domiciliari); d) il COGNOME comunque era in grado, sebbene detenuto, di potere comunicare all’azienda i propri nuovi recapiti o, in caso vi fosse stata qualche persona convivente, di incaricarla di ricevere l’atto o addirittura di ritirarlo.
Si verte, pertanto, in una valutazione di fatto, effettuata con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, con la quale i giudici del merito, in una situazione di doppia conforme, hanno ritenuto colposo il comportamento del COGNOME ex art. 1335 c.c., correttamente interpretato alla luce dei principi statuiti in sede di legittimità.
Ne consegue che le denunciate violazioni di legge non sussistono.
Anche il terzo ed il quarto motivo, da trattare insieme per la loro interferenza, non meritano accoglimento.
Va ricordato che il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604 del 1966 è determinato dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore. Ai fini della legittimità dello stesso, sul datore di lavoro incombe la prova della concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo – organizzativo sussistenti all’epoca della comunicazione del licenziamento, e della impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore stesso era precedentemente adibito. L’accertamento di tali presupposti costituisce valutazione di merito, insindacabile in sede di
legittimità ove adeguatamente motivata (cfr. per tutte, Cass. n.14815/2005).
La sentenza impugnata, nel caso di specie, come già detto in un contesto di cd. ‘doppia conforme’, premesso che non venivano in rilievo le problematiche riguardanti il passaggio alla società subentrante perché non dedotte, ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed ha accertato che il Consorzio aveva puntualmente documentato sia la cessazione dell’appalto, cui era addetto il ricorrente, sia la situazione degli altri cantieri ove, a parte ogni considerazione sul carattere pubblico dei relativi appalti (infatti, osserva questo Collegio che l’avere in organico una persona indagata per reati gravi può avere rilievo ai fini del rilascio delle interdittive antimafia necessarie alle imprese per la relativa partecipazione), erano già presenti tutte le figure professionali (autisti, qualifica rivestita dal COGNOME, ma anche operari e netturbini) in una misura da ritenersi necessaria e sufficiente per la corretta esecuzione del singolo appalto secondo l’organizzazione aziendale, né risultavano ulteriori e successive assunzioni.
La Corte distrettuale ha, quindi, correttamente ritenuto integrata una ipotesi di giustificato motivo oggettivo del recesso a fronte della presenza di elementi probatori relativi alla sussistenza della ragione organizzativa posta a base del licenziamento e dunque del presupposto che – unitamente all’obbligo del repêchage (ossia alla impossibilità di collocare altrove il lavoratore) – integra la fattispecie di cui all’art. 3 legge n. 604/1966.
In diritto, deve invece rilevarsi che è infondata la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di
legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020) non sussistente nel caso de quo .
In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. Un. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
Anche in relazione a tale profilo va ribadito che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che
liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 febbraio 2025