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Licenziamento ingiurioso: quando spetta il danno?

Un lavoratore, il cui licenziamento era già stato dichiarato illegittimo, ha chiesto un ulteriore risarcimento sostenendo la natura ingiuriosa del recesso. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, chiarendo che per un licenziamento ingiurioso non basta l’illegittimità, ma occorre provare un ‘quid pluris’, ovvero specifiche modalità offensive o una pubblicità lesiva del provvedimento, prova che in questo caso non è stata fornita.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento ingiurioso: non basta l’illegittimità per il risarcimento

Quando un licenziamento viene dichiarato illegittimo, il lavoratore ha diritto a specifiche tutele. Ma cosa succede se il recesso non è solo illegittimo, ma anche attuato con modalità che ledono la dignità e l’onore della persona? In questi casi si parla di licenziamento ingiurioso, una fattispecie che può dare diritto a un risarcimento del danno ulteriore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini precisi di questa nozione, sottolineando che l’onere della prova grava interamente sul lavoratore.

I fatti del caso

Un dipendente di una nota società di telecomunicazioni, dopo aver ottenuto in un precedente giudizio la dichiarazione di illegittimità del suo licenziamento disciplinare con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento, avviava una nuova causa. L’obiettivo era ottenere un ulteriore risarcimento per i danni biologici, morali, esistenziali e professionali subiti. A suo dire, il licenziamento era stato non solo illegittimo, ma anche ‘infamante e ingiurioso’, e quindi di per sé causativo di ulteriori pregiudizi.

Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano la sua domanda. I giudici di merito ritenevano che il lavoratore non avesse fornito la prova di quelle specifiche circostanze che avrebbero potuto qualificare il recesso come ingiurioso, al di là della sua già accertata illegittimità.

La decisione della Corte di Cassazione sul licenziamento ingiurioso

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando le decisioni dei gradi precedenti. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato nella loro giurisprudenza: la natura ingiuriosa del licenziamento non coincide con la sua illegittimità.

Per poter parlare di licenziamento ingiurioso e ottenere un risarcimento autonomo, è necessario un ‘quid pluris’, un ‘qualcosa in più’ rispetto alla semplice infondatezza delle accuse disciplinari. Il lavoratore deve dimostrare che le modalità di comunicazione o di attuazione del recesso sono state di per sé offensive e lesive della sua dignità e riservatezza.

Le motivazioni della sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su argomentazioni chiare e precise. In primo luogo, ha distinto nettamente tra la questione dell’illegittimità del recesso (già definita) e quella, diversa, dell’ingiuriosità. La prima attiene alla mancanza di una giusta causa o di un giustificato motivo; la seconda riguarda le forme e le modalità con cui il potere di recesso è stato esercitato.

I giudici hanno specificato che, per configurare un licenziamento ingiurioso, occorre la prova di circostanze concrete, come ad esempio:

* Modalità di comunicazione del licenziamento volutamente umilianti.
* Un’indebita divulgazione dei fatti addebitati all’interno o all’esterno dell’azienda.
* L’utilizzo di espressioni offensive o denigratorie nella lettera di licenziamento.

Nel caso di specie, il lavoratore non ha fornito alcuna prova in tal senso. La conoscenza del provvedimento da parte di altri colleghi è stata ritenuta una conseguenza connaturale all’atto stesso, non una prova di un’intenzionale e lesiva pubblicità da parte del datore di lavoro. L’onere della prova di tale ‘quid pluris’, ha ribadito la Corte, spetta esclusivamente al lavoratore che lamenta il danno.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio in materia di diritto del lavoro. Per i lavoratori, significa che per ottenere un risarcimento per licenziamento ingiurioso non è sufficiente dimostrare che il licenziamento era illegittimo. È indispensabile raccogliere e presentare in giudizio prove concrete relative a comportamenti specifici del datore di lavoro che abbiano leso la dignità e l’onore, come comunicazioni offensive o una diffusione ingiustificata della notizia.

Per i datori di lavoro, la sentenza funge da monito: al di là della fondatezza delle ragioni di un licenziamento, è cruciale prestare la massima attenzione alle modalità con cui esso viene comunicato e gestito. L’adozione di canoni di correttezza e rispetto della persona è fondamentale per evitare di incorrere in responsabilità per danni ulteriori, anche quando si ritiene di avere ragioni valide per interrompere il rapporto di lavoro.

Un licenziamento dichiarato illegittimo è automaticamente anche ingiurioso?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’illegittimità del licenziamento non implica automaticamente la sua natura ingiuriosa. Sono due concetti distinti che richiedono prove diverse.

Cosa deve provare un lavoratore per ottenere un risarcimento per licenziamento ingiurioso?
Il lavoratore deve provare un ‘quid pluris’, cioè un elemento aggiuntivo rispetto all’illegittimità, come particolari forme o modalità offensive del recesso (ad esempio, una comunicazione denigratoria o un’ingiustificata pubblicità data al provvedimento).

L’onere di provare la natura ingiuriosa del licenziamento spetta al datore di lavoro o al lavoratore?
L’onere della prova spetta interamente al lavoratore. È lui che, adducendo la natura ingiuriosa del recesso, deve dimostrare rigorosamente le circostanze offensive e il pregiudizio che ne è derivato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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