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Licenziamento in amministrazione giudiziaria: la guida

Una società in amministrazione giudiziaria licenzia un dirigente per soppressione del posto di lavoro. La Corte di Cassazione conferma l’illegittimità del licenziamento, in quanto l’azienda aveva assunto nuovo personale con le stesse mansioni. La sentenza chiarisce inoltre che la competenza a giudicare su questi casi spetta al giudice del lavoro e non al giudice penale.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento in amministrazione giudiziaria: Competenza e Limiti

Il tema del licenziamento in amministrazione giudiziaria solleva complesse questioni sulla ripartizione delle competenze giurisdizionali e sulla validità delle motivazioni addotte dall’azienda. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 13048/2024, offre chiarimenti cruciali, stabilendo principi importanti sia per le aziende sottoposte a tale misura sia per i lavoratori.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un dirigente, responsabile di impianto, licenziato per giustificato motivo oggettivo da una S.r.l. in amministrazione giudiziaria. La motivazione ufficiale era la soppressione della sua posizione lavorativa. La Corte d’Appello di Roma aveva già annullato il licenziamento, ritenendolo illegittimo. La Corte territoriale aveva infatti scoperto che, pochi giorni prima della convocazione per la conciliazione, l’azienda aveva assunto ben 162 nuovi dipendenti, di cui due destinati a svolgere esattamente le stesse mansioni del lavoratore licenziato. Di conseguenza, il motivo del recesso era stato giudicato “palesemente insussistente”, con condanna della società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 24 mensilità e al rimborso delle spese legali.

La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione, basandolo su quattro motivi principali:
1. Difetto di giurisdizione del giudice del lavoro, a favore di una presunta competenza esclusiva del giudice penale delegato alla procedura.
2. Omesso esame del fatto che il recesso sarebbe stato autorizzato dal giudice penale per “inutilità della prosecuzione del rapporto e per motivi di ordine pubblico”.
3. Errata valutazione dell’obbligo di repechage, sostenendo che non si può costringere l’azienda a riorganizzarsi per fare posto al lavoratore.
4. Erronea condanna alle spese legali, ritenute non dovute in costanza di amministrazione giudiziaria.

La questione del Giudice competente nel licenziamento in amministrazione giudiziaria

Uno dei punti cardine del ricorso della società riguardava l’individuazione del giudice competente. Secondo la difesa, le decisioni relative ai rapporti di lavoro in un’azienda sotto amministrazione giudiziaria dovrebbero rientrare nella competenza esclusiva del giudice penale che supervisiona la misura di prevenzione. Questa tesi mirava a sottrarre la controversia al giudice specializzato in materia di lavoro.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la sentenza d’appello. Le motivazioni sono chiare e seguono un percorso logico stringente.

Sulla Competenza Giurisdizionale

Il primo motivo è stato dichiarato infondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio già consolidato in giurisprudenza (richiamando le sentenze Cass. n. 10439/2017 e n. 26478/2018): non esiste alcuna norma che attribuisca una competenza funzionale esclusiva al giudice penale in materia di recesso dal rapporto di lavoro da parte dell’amministratore giudiziario. Quando l’amministrazione giudiziaria subentra nella gestione aziendale, prosegue nei rapporti di lavoro esistenti e, se decide di licenziare per giustificato motivo oggettivo secondo la L. 604/1966, la relativa impugnazione rientra a pieno titolo nella giurisdizione del giudice del lavoro.

Sulla Manifesta Insussistenza del Motivo di Licenziamento

La Corte ha ritenuto inammissibili il secondo e il terzo motivo, poiché tendevano a una rivalutazione dei fatti già accertati dai giudici di merito. È stato confermato che il licenziamento non era avvenuto per ragioni di “ordine pubblico” ai sensi del D.Lgs. 159/2011, bensì per un dichiarato motivo oggettivo legato all’organizzazione aziendale. L’accertamento della Corte d’Appello, che ha dimostrato la palese insussistenza di tale motivo (data la contestuale assunzione di personale per le medesime mansioni), costituisce un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità. La Cassazione ha inoltre colto l’occasione per ricordare che la giurisprudenza che pone a carico del lavoratore l’onere di indicare possibili posizioni alternative per il repechage è ormai superata.

Sulla Condanna alle Spese Legali

Anche il quarto motivo è stato respinto. Le spese legali liquidate in un giudizio di questo tipo non sono considerate un’azione esecutiva soggetta al blocco previsto dall’art. 55 del D.Lgs. 159/2011. Esse, infatti, rappresentano un costo che grava sulla procedura stessa, derivante dalla legittima difesa in giudizio operata dall’amministrazione giudiziaria contro la pretesa del lavoratore. Di conseguenza, la condanna al pagamento delle spese è pienamente legittima.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza due principi fondamentali in materia di licenziamento in amministrazione giudiziaria:
1. La giurisdizione spetta al giudice del lavoro: un’azienda in amministrazione giudiziaria non opera in una ‘zona franca’ sottratta alle normali tutele giuslavoristiche. Le controversie sui licenziamenti per motivo oggettivo devono essere decise dal giudice specializzato.
2. Il controllo sulla veridicità dei motivi è sostanziale: il datore di lavoro, anche se rappresentato da un amministratore giudiziario, non può addurre motivazioni organizzative fittizie per giustificare un licenziamento. La soppressione di un posto di lavoro deve essere effettiva e non contraddetta da assunzioni contestuali in ruoli identici.

Questa decisione tutela i diritti dei lavoratori, garantendo che le procedure di prevenzione patrimoniale non diventino uno strumento per eludere le garanzie previste dalla legge in caso di recesso illegittimo dal rapporto di lavoro.

Quale giudice è competente a decidere sull’impugnazione di un licenziamento disposto da un’azienda in amministrazione giudiziaria?
La Corte di Cassazione ha stabilito che la competenza spetta al giudice del lavoro. Non esiste una competenza funzionale esclusiva del giudice penale del sequestro per questo tipo di controversie, le quali seguono le ordinarie regole processuali.

Un’azienda in amministrazione giudiziaria può licenziare un dipendente per soppressione del posto se poi assume altre persone per la stessa mansione?
No. La sentenza chiarisce che un tale motivo di licenziamento è “palesemente insussistente” e rende il recesso illegittimo, soprattutto se, come nel caso di specie, le nuove assunzioni per la medesima posizione avvengono in un periodo di tempo molto vicino al licenziamento.

Le spese legali di un giudizio di impugnazione di licenziamento devono essere pagate dall’azienda in amministrazione giudiziaria?
Sì. La Corte ha precisato che le spese legali liquidate dal giudice non rientrano nel divieto di azioni esecutive (previsto dall’art. 55 del d.lgs. n. 159/2011), ma costituiscono un costo della procedura di amministrazione giudiziaria stessa, derivante dalla resistenza in giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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