Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13048 Anno 2024
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 19/03/2024
CC
Civile Ord. Sez. L Num. 13048 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 16967-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1473/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/04/2021 R.G.N. 3393/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1. la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha così disposto: ‘annulla il licenziamento intimato da RAGIONE_SOCIALE in amministrazione giudiziaria a COGNOME NOME in data 15 gennaio 2019 e, per l’effetto, dichiara estinto a de tta data il rapporto di lavoro corrente tra le parti. Dichiara il diritto di COGNOME NOME NOME pagamento dell’indennità risarcitoria che quantifica nella misura di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR’; ha altresì condannato la società al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio;
2. la Corte, in sintesi e per quanto qui ancora rileva, ha innanzitutto respinto il motivo di impugnazione della società in amministrazione giudiziaria che aveva eccepito la ‘inammissibilità e/o improcedibilità della domanda del COGNOME ex articoli 40, 52 e seguenti e 57 del d.lgs. 159/2011′; ha, infatti, accertato che l’amministrazione giudiziaria era subentrata nel contratto di lavoro in essere con il COGNOME, avviando poi la procedura per il suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 7 della l. n. 604 del 1966, non sussistendo, quindi, alcuna ‘competenza funzionale del giudice penale del sequestro rispetto alla decisione dell’impugnazione del licenziamento’; la Corte, poi, ha ritenuto che il motivo del licenziamento -basato sulla soppressione della posizione lavorativa di ‘responsabile di impianto’ e sulla assenza di mansioni compatibili con il profilo professionale del COGNOME -fosse ‘palesemente insussistente’, atteso che la società, pochi giorni prima della convocazione dinanzi alla commissione di conciliazione, aveva assunto 162 dipendenti, ‘di cui due che
svolgevano la specifica mansione di responsabile di impianto propria del COGNOME‘;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente società, tramite l’amministratore giudiziario, con quattro motivi, cui ha resistito l’intimato con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati;
1.1. col primo si denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 40, 52 e 57 e ss. del decreto legislativo n. 159/2011 per avere la Corte d’appello ritenuto ammissibile l’impugnazione innanzi al Giudice di lavoro, in violazione delle disposizioni citate che determinerebbero ‘la creazione di un perimetro protetto dove è sovrana la competenza del giudice penale delegato’;
1.2. con il secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 56 d.lgs. 159/2011 e degli art. 132 c.p.c. e 118 disp att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.; si sostiene che il Giudice penale, da un lato, avrebbe autorizzato la provvisoria esecuzione dei contratti pendenti in attesa di valutarne l’utilità, e, d’altro lato, avrebbe autorizzato lo scioglimento del contratto di lavoro con il COGNOMEper l’inutilità della prosecuzione del suo rapporto di lavoro e pe r motivi di ordine pubblico’, mentre la Corte territoriale avrebbe ‘del tutto omesso l’esame del recesso dal rapporto di lavoro ex art. 56 d. lgs. n. 159/2011’;
1.3. il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 c.c., 3 l. n. 604 del 1966, in correlazione con l’art. 111 Cost., criticando la sentenza impugnata per avere ritenuto insussistente il giustificato motivo oggettivo di licenziam ento, sostenendo che ‘il repechage non può essere spinto fino a costringere il datore di lavoro a riorganizzare l’azienda per far posto al lavoratore’ e che, comunque, quest’ultimo non aveva indicato ‘qualsiasi concreto riferimento ad una propria possi bile ricollocazione’; 1.4. con l’ultimo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 52 e ss. d.lgs. 159/2011 nonché degli art. 132 c.p.c. e 118 disp att. c.p.c., in relazione all’art. 111 Cost., lamentando che la Corte territoriale, pur dichiarando improcedibili le domande di condanna al pagamento di indennità risarcitorie da licenziamento illegittimo, ha tuttavia gravato la società in amministrazione giudiziaria con le spese legali;
2. il ricorso non può trovare accoglimento;
2.1. il primo motivo è infondato;
la sentenza impugnata sul punto è dichiaratamente conforme al principio sancito da questa Corte secondo cui non vi è alcuna norma che consenta di ritenere sussistente una competenza funzionale esclusiva del giudice penale in ordine al recesso, da parte dell’amministratore giudiziario, nei confronti di un dipendente di impresa sottoposta ad amministrazione giudiziaria ai sensi del d. lgs. n. 159 del 2011 (cfr. Cass. n. 10439 del 2017 e Cass. n. 26478 del 2018, alle quali si rinvia anche ai sensi dell’art. 11 8 disp. att. c.p.c.);
2.2. il secondo motivo è inammissibile;
con esso si pretende di ricostruire la vicenda storica in modo difforme da quanto accertato dalla Corte del merito, riconducendo la ragione posta a fondamento del
licenziamento all’art. 56 d. lgs. n. 159 del 2011 per ragioni di ordine pubblico, mentre i giudici di appello hanno accertato che il licenziamento, dopo il subentro nel rapporto di lavoro con il COGNOME, è stato intimato dall’amministrazione giudiziaria per giustificato motivo oggettivo all’esito della procedura attivata ex art. 7 della l. n. 604 del 1966;
2.3. parimenti inammissibile è il terzo mezzo di gravame, atteso che l’accertamento in ordine alla sussistenza o meno di posti in cui era possibile ricollocare il COGNOME all’interno dell’azienda involge apprezzamenti di fatto che non sono suscettibili di riesame in questa sede mediante la prospettazione formale di vizi di violazione di legge, peraltro invocando una oramai superata giurisprudenza in ordine all’onere del lavoratore di indicare le posizioni lavorative in cui potrebbe essere ricollocato in alternativa al licenziamento (da ultimo Cass. n. 2739 del 2024);
2.4. anche il quarto motivo non merita condivisione;
le spese legali liquidate dal giudice d’appello sono quelle che gravano la procedura di amministrazione giudiziaria per l’illegittimo licenziamento intimato dalla medesima ed in seguito alla resistenza operata nel giudizio intrapreso dal lavoratore, sicché non opera come causa di improcedibilità l’art. 55 del d. lgs. n. 159 del 2011 previsto per le procedure esecutive;
conclusivamente il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.500,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 19 marzo