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Licenziamento illegittimo: si applica l’art. 18

La Corte di Cassazione ha stabilito che se la comunicazione di fine rapporto di un contratto a progetto, poi convertito in tempo indeterminato, viene qualificata come un vero e proprio atto di recesso, si configura un licenziamento illegittimo. In questo caso, al lavoratore spetta la tutela reale della reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, e non la mera indennità economica prevista per la conversione dei contratti a termine. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che, pur riconoscendo la natura di licenziamento dell’atto, aveva erroneamente applicato la sanzione meno favorevole per il dipendente.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Illegittimo: Quando la Disdetta di un Contratto a Termine Comporta la Reintegra

La distinzione tra la semplice comunicazione di scadenza di un contratto e un vero e proprio atto di recesso datoriale è cruciale nel diritto del lavoro. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione chiarisce le tutele spettanti al lavoratore quando un contratto a termine, giudicato illegittimo e convertito, viene interrotto con un atto qualificabile come licenziamento illegittimo. La Suprema Corte ha stabilito che in questi casi si applica la tutela reintegratoria dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, e non la più mite sanzione indennitaria.

Il Contesto del Caso: Dal Contratto a Progetto alla Conversione

La vicenda nasce da un contratto a progetto stipulato tra un lavoratore e una società regionale per la sanità. Il rapporto di lavoro, originariamente a termine, è stato successivamente riconosciuto come un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a causa della sua illegittimità. Alla scadenza formale del progetto, l’azienda ha inviato una comunicazione di cessazione del rapporto. Il punto centrale della controversia è diventato la natura giuridica di tale comunicazione.

La Qualificazione della Disdetta come Licenziamento Illegittimo

Nelle fasi precedenti del giudizio, era stato accertato in via definitiva – e quindi coperto da ‘giudicato interno’ – che la comunicazione aziendale del 24 giugno 2010 non era una mera presa d’atto della scadenza del termine, ma un vero e proprio atto di licenziamento. Questo perché l’azienda, presupponendo l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato (frutto della conversione), aveva manifestato la volontà di estinguere tale rapporto. La Corte d’Appello, pur riconoscendo questa qualificazione, ha commesso un errore nella determinazione delle conseguenze.

L’Errore della Corte d’Appello e la Decisione della Cassazione

Nonostante avesse correttamente identificato l’atto come un licenziamento, la Corte d’Appello ha condannato la società al solo pagamento di un’indennità risarcitoria prevista dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010, una norma concepita per la conversione dei contratti a termine illegittimi. Il lavoratore ha impugnato questa decisione, sostenendo che, una volta qualificato l’atto come licenziamento illegittimo, la tutela applicabile avrebbe dovuto essere quella, ben più forte, prevista dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori), che include la reintegrazione nel posto di lavoro.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, giudicando la sentenza d’appello come ‘contraddittoria’. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: quando il datore di lavoro non si limita a comunicare la scadenza del termine di un contratto illegittimo, ma intima un vero e proprio licenziamento, si esce dal campo di applicazione delle norme sui contratti a termine e si entra in quello della disciplina sui licenziamenti individuali.

La qualificazione dell’atto come licenziamento era ormai un punto fermo del processo (‘giudicato interno’), e la Corte d’Appello avrebbe dovuto trarne le dovute conseguenze. Applicare l’indennità per la conversione del contratto a termine (art. 32) dopo aver riconosciuto un licenziamento è stato un errore di diritto. La tutela corretta doveva essere individuata sulla base della domanda del lavoratore e del regime sanzionatorio vigente al momento del recesso, ovvero l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori nella sua versione all’epoca vigente.

Le Conclusioni

La Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Appello, in diversa composizione, affinché decida nuovamente la questione applicando il corretto regime sanzionatorio. Questa ordinanza rafforza un importante principio di tutela: la forma e la sostanza dell’atto di risoluzione del rapporto sono determinanti. Se il datore di lavoro agisce come se stesse licenziando un dipendente a tempo indeterminato, deve anche sottostare alle conseguenze previste per un licenziamento illegittimo, inclusa la possibilità di reintegrazione. Per i lavoratori, ciò significa che la natura della comunicazione ricevuta può fare una differenza sostanziale tra un semplice risarcimento economico e il diritto a riavere il proprio posto di lavoro.

Quando la comunicazione di fine rapporto di un contratto a termine si considera un licenziamento illegittimo?
Quando il datore di lavoro, anziché limitarsi a comunicare la scadenza del termine, intima un vero e proprio licenziamento, presupponendo l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a seguito della conversione del contratto a termine.

Quale tutela spetta al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo a seguito della conversione di un contratto a termine?
Secondo questa ordinanza, al lavoratore spetta la tutela prevista per il licenziamento illegittimo (in questo caso, l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori con reintegrazione), e non la mera indennità economica prevista per la conversione dei contratti a termine (art. 32, legge 183/2010).

Cosa significa “giudicato interno” in questo contesto?
Significa che la qualificazione della comunicazione del datore di lavoro come un atto di licenziamento era già stata stabilita in una fase precedente del processo e non era stata contestata. Pertanto, tale qualificazione è diventata definitiva e vincolante per le fasi successive del giudizio, obbligando il giudice a trarne le logiche conseguenze legali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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