Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6303 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6303 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16972-2023 proposto da:
COGNOME COGNOME elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 469/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/02/2023 R.G.N. 1336/2022;
Oggetto
CONTRATTO A PROGETTO
R.G.N.16972/2023
COGNOME
Rep.
Ud.28/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma, in sede di giudizio di rinvio da parte di questa Corte (sentenza n. 7060 del 2022), ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE al ripristino del rapporto di lavoro con NOME Salvatore e al risarcimento del danno, ex art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte territoriale ha, in sintesi, evidenziato il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione e relativo alla natura di eccezione in senso stretto dell’eccezione di decadenza dall’impugnazione del licenziamento (di cui all’art. 6 della l egge n. 604 del 1966); ha rilevato che doveva ritenersi coperta da giudicato interno la qualificazione come licenziamento della nota della società del 24.6.2010 ed ha accertato che la società non aveva sollevato (tempestivamente) la suddetta eccezione, decadendo, pertanto, dal relativo diritto; ha, infine, sottolineato che era stato accertato, ormai in via definitiva, la illegittimità del contratto a progetto stipulato tra le parti per il periodo giugno 2007-luglio 2007 e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (da giugno 2007); la Corte territoriale ha, pertanto, ordinato il ripristino del rapporto e condannato la società al pagamento dell’indennità prevista in caso di conversione del contratto a tempo determinato in rappor to di lavoro indeterminato di cui all’art. 32 della legge n. 183 del 2010.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 18 della legge n. 300 del 1970, 2909 c.c. e 32 della legge n. 183 del 2010 in quanto la Corte di appello, avendo preso atto della qualificazione come licenziamento dell’atto della società del 24.6.2010, doveva applicare il regime sanzionatorio della legge n. 300 del 1970.
Con il secondo motivo di ricorso, si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 e 118 c.p.c., in quanto la Corte di appello ha fornito argomentazioni logicamente scollegate e inidonee a svelare la ratio decidendi.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la stretta connessione, sono fondati per quanto di ragione.
Come ha evidenziato la Corte territoriale, si è formato giudicato interno sulla qualificazione dell’atto della società del 24.6.2010 alla stregua di un atto di licenziamento, ossia quale atto di manifestazione volontà datoriale diretta a produrre l’effetto estintivo nella consapevolezza dell’intervenuta conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che, nel caso di scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato e di comunicazione (da parte del datore di lavoro) della conseguente disdetta, non è applicabile la norma dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966, relativa alla decadenza del lavoratore dall’impugnazione dell’illegittimo recesso, restando salva peraltro l’applicabilità di tale norma qualora il datore di lavoro,
anziché limitarsi a comunicare la disdetta per scadenza del termine, abbia intimato – nel presupposto dell’intervenuta conversione del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato – un vero e proprio licenziamento da quest’ultimo rapporto (v. pure Cass. n. 15827 del 2003, n. 12333 del 2009, n. 26604 del 2019).
Nel caso di specie, configurato l’atto del 24.6.2010 quale recesso datoriale (e non come mero atto di comunicazione della scadenza del termine apposto al contratto), è stato -in via teorica – ritenuto applicabile il regime decadenziale, decadenza che, peraltro, non ha operato (pur in assenza di impugnazione dell’atto di recesso da parte del lavoratore) in considerazione dell’inerzia del datore di lavoro, che non ha sollevato la relativa eccezione.
In maniera contraddittoria rispetto a detta qualificazione (da ritenersi, ormai, quale giudicato interno) e nonostante specifica domanda del lavoratore (che nelle conclusioni del ricorso introduttivo del giudizio aveva, fra l’altro, chiesto di dichiarar e la nullità della nota del 24.6.2010, da ritenersi equivalente a licenziamento nullo o illegittimo per violazione degli artt. 1 del d.lgs. n. 368, 2 della legge n. 604 del 1966 e 18 della legge n. 300 del 1970, e di disporre la ‘ condanna con effetto reale della società Soresa alla reintegrazione nel posto di lavoro ‘ con risarcimento del danno dalla data dell’indebito allontanamento dal posto di lavoro fino all’effettiva reintegrazione), la sentenza impugnata ha disposto il ripristino del rapporto di lavoro e l’applicazione del regime sanzionatorio previsto dall’art. 32, comma 5.
Questa Corte ha già affermato (Cass. S.U. n. 7471 del 1991; v. pure, fra le tante, Cass. n. 15827 del 2003, Cass. n. 12333 del 2009, Cass. n. 26604 del 2019) che nel caso di scadenza di
un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato e di comunicazione (da parte del datore di lavoro) della conseguente disdetta, non sono applicabili – tenuto conto della specialità della disciplina della legge n. 230 del 1962 (sul contratto di lavoro a tempo determinato) rispetto a quella della legge n. 604 del 1966 (relativa all’estinzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato) e della qualificabilità dell’azione diretta all’accertamento dell’illegittimità del termine non come impugnazione del licenziamento ma come azione (imprescrittibile) di nullità parziale del contratto – ne’ la norma dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966, relativa alla decadenza del lavoratore dall’impugnazione dell’illegittimo recesso, ne’ la norma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 relativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (ancorché la conversione del rapporto a termine nel rapporto a tempo indeterminato dia ugualmente al dipendente il diritto di riprendere il suo posto e di ottenere il risarcimento del danno qualora ciò gli venga negato); è peraltro salva l’applicabilità di entrambe le norme citate qualora il datore di lavoro, anziché limitarsi a comunicare (con un atto nel quale non è assolutamente ravvisabile un licenziamento) la disdetta per scadenza del termine, abbia intimato – nel presupposto dell’intervenuta conversione del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato – un vero e proprio licenziamento da quest’ultimo rapporto.
Nel caso di specie, la Corte territoriale non si è conformata ai principi innanzi richiamati, nonostante la qualificazione della disdetta datoriale del 24.6.2010 alla stregua di un atto di licenziamento, ed ha omesso di accertare l’invocata nullità o illegittimità del licenziamento e (in caso di accertamento positivo) di applicare la relativa tutela sanzionatoria, da individuarsi, in base alla domanda del lavoratore e al regime
temporale vigente al momento dell’atto di recesso, nell’art. 18 nella versione antecedente alla novella del 2012 (in presenza dei requisiti dimensionali ivi previsti).
In conclusione, il ricorso va accolto per quanto di ragione, la sentenza va cassata e rinviata alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà altresì a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà altresì a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 gennaio