SENTENZA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI N. 4201 2025 – N. R.G. 00001867 2025 DEPOSITO MINUTA 09 12 2025 PUBBLICAZIONE 09 12 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
SEZIONE CONTROVERSIE DI LAVORO E DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA
composta dai Magistrati:
dr. NOME COGNOME -Presidente
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME -Consigliere
dr. NOME COGNOME COGNOMEConsigliere rel.
riunita in camera di consiglio ha pronunciato in grado di appello, all’esito dell’udienza del’11 novembre 2025, tenuta ex art. 127 ter c.p.c., la seguente la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 1867/25 rRAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE., vertente
TRA
in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difeso dall’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME, presso il quale elettivamente domicilia, in INDIRIZZO
APPELLANTE
E
rappresentato e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO ed NOME AVV_NOTAIO, presso i quali elettivamente domicilia, in INDIRIZZO
APPELLATA
CONCISA ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il ricorso in atti la ha proposto tempestivo appello avverso la sentenza n. 619 del 2025 del Tribunale di Avellino, in funzione di Giudice del lavoro, che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da aveva annullato la sanzione disciplinare a questi irrogata della sospensione dal servizio e dalla retribuzione dal 21 al 23 dicembre 2021, nonché dichiarato risolto il rapporto di lavoro, intercorso tra le parti, alla data del 9 marzo 2022, con condanna di essa espo nente al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a nove mensilità, ex art. , 3, comma 1, del d.l.vop n. 23 del 2015.
Censurava detta pronuncia, laddove il Tribunale aveva erroneamente posto a fondamento della sua decisone anche la documentazione da controparte prodotta solo in corso di causa.
Si lamentava, inoltre, che nella sentenza impugnata si era ritenuto che i fatti oggetto delle contestazioni non costituissero una fattispecie di recesso ricollegabile all’art. 69 del CCNL applicato o all’art. 2119 c.c..
Contestava, poi, l’affermazione del Tribunale, per la quale le condotte contestate dei giorni 21 novembre e 5 dicembre 2021 non fossero provate e idonee a esprimere una giusta causa di recesso, episodi peraltro confermati dalla prova testimoniale svolta e culminati in un provvedimento disciplinare non impugnato.
Parimenti, la sentenza era errata nella parte in cui riteneva non provate o comunque non di gravità tale da legittimare il recesso datoriale le contestate circostanze del 4, 11 e 18 febbraio 2022, anch’esse rigorosamente provate dalla prova testimoniale ammessa ed espletata in primo grado.
Si doleva, quindi, che il Tribunale avesse ritenuto l’assenza di recidiva, laddove il aveva già ricevuto quantomeno la sanzione disciplinare (sospensione di 3 giorni) per il rifiuto di ricevere una comunicazione aziendale, ipotesi validata dallo stesso Tribunale.
In ogni caso contestava che al ricorrente fosse stata riconosciuta un’indennità risarcitoria pari a nove mensilità, che teneva conto della sola anzianità di servizio, senza tener conto degli altri criteri ritenuti rilevanti dalla Corte Costituzionale.
Si lamentava, infine, e in ogni caso, della condanna alle spese nella rilevante misura di due terzi, senza alcuna motivazione di un tale regolamento.
Concludeva, pertanto, chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto del ricorso di primo grado proposto dalla controparte.
Si costitutiva che resisteva all’appello,
All’esito della trattazione scritta la causa veniva riservata per la decisione.
Parte appellante si duole in primo luogo della tardiva produzione documentale da parte della difesa attorea, ma immotivatamente.
Orbene, al riguardo va in primo luogo considerata, su un piano generale, la condivisibile giurisprudenza della S.C. (cfr., ad es., Cass, Sez. Lav., 29.9.2016 n. 19305), per la quale nel rito del lavoro il potere istruttorio d’ufficio ex artt. 421 e 437 c.p.c., non è meramente discrezionale, ma costituisce un potere-dovere da esercitare contemperando il principio dispositivo con quello della ricerca della verità, sicché il giudice (anche di appello), qualora reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati d’indagine, non può arrestarsi al rilievo formale del difetto di prova, ma deve provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati dal materiale
probatorio idonei a superare l’incertezza sui fatti in contestazione, senza che, in tal caso, si verifichi alcun aggiramento di eventuali preclusioni e decadenze processuali già prodottesi a carico delle parti.
In ogni caso parte appellante non spiega come la produzione assunta come tardiva abbia influenzato la decisione, tenendo conto che il materiale che si deduce intempestivamente acquisito al processo attiene alla comunicazione del RAGIONE_SOCIALE, ai pr ovvedimenti disciplinari coinvolti nella vicenda, alle giustificazioni fornite dal lavoratore, al suo certificato di nascita, alla richiesta di costituzione del collegio arbitrale, all’avvenuta revoca della funzione di ‘referente turno’.
Trattasi di documenti che servono solo a contestualizzare la vicenda, già essenzialmente riportati nel ricorso introduttivo e del tutto pacifici. Non hanno, in ogni caso, in alcun modo diversamente connotato il merito della vicenda, che peraltro vede onerata della prova dei fatti la parte datoriale e non il lavoratore.
Per il resto l’appello è in gran parte ai limiti dell’ammissibilità. Infatti, laddove si contesta il merito della decisone, sulla sussistenza e la proporzionalità dei fatti, al di là di un’apparente abbondanza dell’esposizione, più che altro il gravame si limita a riprodurre la sentenza e la contestazione, per poi operare una contestazione solo tautologica.
Così, il secondo motivo di appello, sulla proporzionalità e l’idoneità di quanto contestato a rescindere il vincolo fiduciario che sempre deve assistere il rapporto di lavoro non è sviluppata alcuna organica confutazione degli argomenti spesi nella sentenza impugnata, alla luce della ricostruzione operata.
Come insegna la S.C. (cfr. Cass., III; 28.1.2013 n. 1891) il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
Parte appellante, poi, in relazione alla contestazione concernente i fatti del 21 novembre e 5 dicembre 2021, oggetto del terzo motivo di appello, riproduce le dichiarazioni dei testi e , senza tuttavia censurare, se non per apoditticamente negarne la validità, il ragionamento probatorio del primo Giudice, che ha considerato tali deposizioni, in parte attribuendole un significato diverso da quello voluto dall’impugnante, unitamente a quella del , per inferirne, con un argomentare motivato, che i fatti oggetto della contestazione in parte non trovavano alcun riscontro, in parte non
erano provati (in particolare, sulla responsabilità della rottura di un vetro del muletto), in parte (un generico saltuario uso del telefonino durante l’orario di lavoro) non tale da giustificare provvedimenti espulsivi.
Il Tribunale, dunque, ha coordinato testimonianze diverse interpretandone il senso complessivo e delineando una ricostruzione che da parte appallante non ha ricevuto alcuna specifica censura né in fatto né sui criteri ermeneutici adottati.
Va, comunque sottolineato, in linea con la S.C. (cfr. Cass., Sez. Lav., 24.9.2013 n.21820), che è devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua motivazione del criterio adottato
Va anche richiamata, sul punto, quella (arg. ex Cass., I, 19.3.2009 n. 6697) per la quale, ferma la possibilità che una prova sia ritenuta prevalente, perché più attendibile, sull’altra, non è corretto condurre un esame isolato di singoli elementi istruttori, dovendo il relativo giudizio derivare da una organica e complessiva valutazione di essi nel quadro unitario dell’indagine probatoria.
Il Tribunale, altresì, senza che ciò abbia costituito oggetto di rilievo alcuno, ha anche decisivamente considerato l’assenza di manuali operativi o disposizioni per l’utilizzo delle varie macchine e, in particolare, l’assenza del ‘modulo mod. 09.010.05’ p er il controllo preliminare dei livelli di gas.
Quanto alla contestazione sui fatti del 4, 11 e 18 febbraio 2022, l’unica effettiva contestazione concerne l’accertata condotta del , che aveva invitato un collega a non utilizzare un macchinario, perché ritenuto non sicuro.
Al riguarda parte appellante sussume la vicenda in una fattispecie di insubordinazione, della qula tuttavia non vi è, non è provato, quantomeno l’elemento soggettivo.
Infatti, è vero, come ci ricorda sempre la S.C. (cfr., Cass, Sez. lav., 1.7.2020 n. 13411), che in tema di licenziamento disciplinare la nozione di insubordinazione è costituita dal rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori e ricomprende qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.
Tuttavia, è sempre la (arg. anche ex Cass., Sez. Lav., 4.7.2024 n. 18296) a puntualizzarci che l’ipotesi in discorso presenta, sotto il profilo soggettivo, un comportamento articolato e complesso, di natura commissiva ed omissiva, che non può inquadrarsi nel mero rifiuto ad adempiere alle direttive dell’impresa ovvero in una correlata condotta finalizzata unicamente a pregiudicare il corretto svolgimento delle disposizioni aziendali, dovendo invece risolversi in un
atteggiamento volutamente ostruzionistico, non ragionevole e non disponibile, potenzialmente foriero di conseguenze pericolose. Ai fini della sua integrazione, allora, va analizzata la portata soggettiva del fatto stesso, quindi vanno considerate le circos tanze del suo verificarsi, i motivi e l’intensità dell’elemento intenzionale e quello colposo.
Al riguardo il Tribunale ricostruisce con grande chiarezza l’atteggiamento del nel formulare quell’invito, non ravvisando alcun indizio che avesse usato modi sconvenienti o fosse animato da uno spirito di sfida alla società. La Corte condivide tale ricostruzione, d’altronde non direttamente censurata da parta parte appellante, che si limita a contrapporre la sua diversa interpretazione.
Dal rigetto dei motivi precedenti risulta del tutto depotenziato quello attinente alla recidiva, oggetto del quinto motivo, in quanto due delle tre contestazioni coinvolte nel presente procedimento sono appunto venute meno, non rilevando la loro mancata immediata impugnazione dopo i relativi fatti. In quest’ambito, la valutazione di mancanza di proporzionalità profilata dal Tribunale viene recepita in toto dalla Corte.
Così confermata l’illegittimità del licenziamento, si rivela del tutto infondato il sesto motivo di appello, concernente l’eccessività dell’indennità risarcitoria fissata, ex art. 3, comma 1, d.l.vo n. 23 del 2015, in nove mensilità, quindi in una misura di poco superiore al minimo di sei mensilità.
Al riguardo la Corte Cost. n. 194 del 2018, rimodellando la norma ed escludendo qualsivoglia meccanismo forfetizzato, ha rilevato che il licenziamento ingiustificato è caratterizzato da una pluralità di fattori, tra i quali l’anzianità, certamente rilevante, è solo uno dei tanti, dovendosi aver riguardo anche ad altri profili, tra i quali quelli e nucleati dall’art. 8 della l. n. 604/1966. In tale contesto il Tribunale non ha considerato, appunto, solo l’anzianità ma anche il complessivo tenore dell’illegittimità del licenziamento ed è proprio questa valutazione complessiva che consente di pervenire, appunto, a una misura parametrata verso il basso, pur se non corrispondente al minimo, che appare una determinazione ragionevole e da conservare.
Del tutto priva di pregio, infine, è la doglianza sulle spese, secondo l’appellante ingiustamente compensate nella sola misura di un terzo.
Va considerato, infatti, che la parte datoriale risulta sostanzialmente interamente soccombente (il primo Giudice ha ravvisato una marginale reciproca soccombenza nel fatto che una delle sanzioni presupposto, quella attinente al rifiuto di ricevere una comunicazione aziendale, era fondata, ma tale profilo non ha inciso sul bene della vita richiesto e ottenuto), per cui di fatto l’unica deroga compiuta al principio delle ‘spese che seguono al soccombenza’ è stata a favore dell’appellante, laddove si è disposta la parziale compensazione Va considerato, in tale ambito, che in virtù del principio generale enunciato all’art. 91 c.p.c., la condanna alle spese a carico della parte soccombente non va
specificamente motivata; al contrario, è la compensazione, in quanto eccezione alla regola, richiede sempre adeguata motivazione (così Cass., I, 5.8.2024 n. 22081).
In ogni caso, l’impugnata statuizione sulle spese appare del tutto ragionevole, e anzi comunque generosa verso l’impugnante parte datoriale, anche nell’ottica della parziale reciproca soccombenza nel senso ritenuto dal Giudice di prime cure.
A quanto esposto consegue l’integrale rigetto dell’appello e, per l’effetto, il consolidamento della pronuncia gravata.
Le spese di lite del grado seguono la soccombenza, liquidandosi nella misura, reputata congrua, alla luce delle tabelle di cui al d.m. n. 55 del 2014, come aggiornate con d.m. n. 147 del 2022, riportata in dispositivo.
Va, infine, dato atto che ricorrono, per l’appellante principale, le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’art.13, comma 1 bis, del d.p.r. n.115/2002, se il medesimo dovuto.
P.T.M.
La Corte, così provvede:
rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
condanna l’ in persona del legale rappresentante p.t. a corrispondere a le spese di lite del grado, liquidate, per compenso, in euro 3.500,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, iva e cpa.
Dà atto che ricorrono le condizioni per il pagamento dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’art.13, comma 1 bis, del d.p.r. n.115/2002, se il medesimo dovuto.
IL CONSIGLIERE REL. EST. IL PRESIDENTE
(dr. NOME COGNOME) (dr. NOME COGNOME)