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Licenziamento Green Pass: quando è sproporzionato?

La Cassazione ha esaminato un caso di licenziamento per Green Pass usato in modo fraudolento. Nonostante la gravità del fatto, riconosciuto dal lavoratore, la Corte ha confermato la decisione di merito che riteneva la sanzione del licenziamento sproporzionata, convertendola nel pagamento di un’indennità risarcitoria.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Green Pass: l’uso fraudolento non sempre lo giustifica

L’obbligo del Green Pass sui luoghi di lavoro ha sollevato complesse questioni giuridiche, in particolare riguardo alle sanzioni disciplinari. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico di licenziamento per Green Pass, analizzando la condotta di un lavoratore che ha tentato di accedere all’azienda utilizzando il certificato di un’altra persona. La decisione chiarisce i confini tra condotta fraudolenta e proporzionalità della sanzione.

I fatti del caso: un tentativo di accesso fraudolento

Il caso ha origine dal licenziamento di un dipendente che, privo del proprio Green Pass, aveva tentato di entrare in azienda esibendo il certificato appartenente a un’altra persona. Il lavoratore aveva ammesso i fatti, che integravano un comportamento illecito e fraudolento. A seguito di ciò, la società datrice di lavoro aveva proceduto con il licenziamento per giusta causa, ritenendo irrimediabilmente compromesso il vincolo di fiducia.

La questione è approdata in tribunale, dove la Corte d’Appello, pur riconoscendo la gravità della condotta, ha ritenuto la sanzione del licenziamento sproporzionata. Di conseguenza, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro ma ha condannato l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a venti mensilità, in applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’analisi della Cassazione sul licenziamento per Green Pass

Sia il lavoratore che l’azienda hanno impugnato la decisione della Corte d’Appello davanti alla Corte di Cassazione. Il lavoratore sosteneva che il suo comportamento non dovesse avere conseguenze disciplinari, mentre l’azienda insisteva sulla legittimità del licenziamento.

Il ricorso del lavoratore: la differenza tra assenza e frode

Il dipendente ha basato la sua difesa sull’idea che la normativa emergenziale considerasse i lavoratori senza Green Pass come assenti ingiustificati, senza retribuzione e senza conseguenze disciplinari. La Cassazione ha respinto questa tesi, sottolineando una distinzione fondamentale: un conto è essere semplicemente assenti perché sprovvisti di certificato, un altro è porre in essere un comportamento fraudolento per eludere i controlli ed entrare comunque sul luogo di lavoro. Quest’ultima condotta ha una rilevanza disciplinare autonoma e ben più grave.

Il ricorso dell’azienda: il principio di proporzionalità

L’azienda, dal canto suo, ha contestato la valutazione di sproporzionalità della sanzione fatta dalla Corte d’Appello. La Cassazione ha però rigettato anche questo ricorso, ribadendo un principio consolidato: la valutazione sulla proporzionalità tra l’infrazione commessa e la sanzione applicata è un giudizio di merito, che spetta al giudice delle prime fasi del processo. La Corte di Cassazione può sindacare tale valutazione solo se viziata da palesi errori logici o giuridici, cosa che in questo caso non è avvenuta. La Corte territoriale aveva, infatti, esaminato compiutamente tutti gli aspetti della condotta, oggettivi e soggettivi, giungendo a una conclusione corretta e non sindacabile in sede di legittimità.

Le motivazioni della decisione

La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri. In primo luogo, il comportamento del lavoratore non era una semplice assenza, ma un atto fraudolento finalizzato a violare le normative sulla sicurezza sanitaria. Tale condotta è disciplinarmente rilevante. In secondo luogo, la valutazione sulla giusta proporzione della sanzione (in questo caso, il licenziamento) è prerogativa del giudice di merito. Se tale giudice, analizzando tutti gli elementi, ritiene che, nonostante la gravità del fatto, il licenziamento sia una misura eccessiva, la sua decisione è legittima e non può essere messa in discussione dalla Cassazione se non per vizi di legittimità.

Conclusioni: cosa insegna questa ordinanza

Questa ordinanza offre un importante insegnamento: anche di fronte a una condotta grave e ammessa come l’uso di un Green Pass altrui, il licenziamento non è una conseguenza automatica. Il sistema giuridico impone sempre una valutazione di proporzionalità, che tiene conto di tutte le circostanze del caso concreto. Per le aziende, ciò significa che è fondamentale non solo provare l’inadempimento del lavoratore, ma anche dimostrare che tale inadempimento sia così grave da ledere irreparabilmente il rapporto di fiducia, giustificando la sanzione più severa.

L’uso di un Green Pass altrui per entrare al lavoro giustifica sempre il licenziamento?
No. Secondo questa ordinanza, sebbene sia un comportamento fraudolento e grave, la sanzione del licenziamento deve essere proporzionata alla specifica situazione. La corte di merito ha ritenuto in questo caso la sanzione sproporzionata, convertendola in un’indennità, e la Cassazione ha confermato questa valutazione.

Qual è la differenza tra essere assente senza Green Pass e tentare di entrare con un Green Pass falso o altrui?
Essere assente senza Green Pass era considerato ‘assenza ingiustificata’ senza conseguenze disciplinari. Tentare di entrare (o entrare) al lavoro con un certificato non proprio è un comportamento fraudolento attivo, che ha rilevanza disciplinare e può portare a sanzioni, incluso il licenziamento, previa valutazione di proporzionalità.

Può la Corte di Cassazione riesaminare se un licenziamento è proporzionato o meno?
Generalmente no. La valutazione della proporzionalità della sanzione disciplinare è un giudizio ‘di merito’, spettante ai tribunali di primo e secondo grado. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la decisione del giudice di merito presenta vizi di legittimità, come un’errata applicazione della legge, ma non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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