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Licenziamento giustificato motivo oggettivo: oneri

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22186/2024, ha rigettato il ricorso di un’azienda, confermando la decisione della Corte d’Appello che aveva dichiarato illegittimo un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’onere di provare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore (obbligo di repêchage) grava interamente sul datore di lavoro, senza che il dipendente debba indicare preventivamente le posizioni alternative disponibili. L’ordinanza affronta anche importanti questioni procedurali, come la specificità dei motivi d’appello e gli effetti del mutamento di rito processuale.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Giustificato Motivo Oggettivo: La Cassazione sull’Onere della Prova del Repêchage

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, consolidando principi cruciali riguardo l’onere della prova e le questioni procedurali. La decisione sottolinea che spetta esclusivamente al datore di lavoro dimostrare l’impossibilità di ricollocare il lavoratore, il cosiddetto obbligo di repêchage, senza che quest’ultimo debba suggerire posizioni alternative. Analizziamo nel dettaglio questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Un lavoratore impugnava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimatogli da una società. In primo grado, il Tribunale dichiarava la domanda inammissibile, ritenendo che fosse stata proposta con un rito processuale errato (rito speciale ex legge 92/2012 anziché rito ordinario).

La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione. Accogliendo il ricorso del lavoratore, i giudici di secondo grado disponevano il mutamento del rito da speciale a ordinario, dichiaravano illegittimo il licenziamento per difetto di motivazione e per mancata prova dell’impossibilità di repêchage. Di conseguenza, la società veniva condannata al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione.

Contro questa sentenza, la società proponeva ricorso per Cassazione, articolato in sei motivi.

I Motivi del Ricorso e le Difese

La società ricorrente lamentava diversi vizi della sentenza d’appello:
1. Omessa motivazione sull’inammissibilità dell’appello: Si sosteneva che l’atto d’appello del lavoratore fosse generico e non indicasse specificamente le violazioni di legge contestate alla sentenza di primo grado.
2. Improcedibilità per tardiva notifica: Si eccepiva la tardività della notifica del ricorso e del decreto di fissazione d’udienza in appello.
3. Nullità per violazione delle norme sul rito: La società contestava la legittimità del mutamento di rito, sostenendo che avrebbe dovuto essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso originario.
4. Violazione delle norme sul licenziamento giustificato motivo oggettivo: Il datore di lavoro affermava di aver dimostrato la non ricollocabilità del dipendente e che quest’ultimo non avesse allegato elementi sufficienti in senso contrario.
5. Vizio di ultra petita: Si deduceva che la Corte d’Appello si fosse pronunciata oltre le richieste del lavoratore.
6. Errata valutazione delle prove: Infine, si contestava la valutazione delle testimonianze relative alla durata del rapporto di lavoro.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la sentenza della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno smontato uno per uno i motivi del ricorso, fornendo importanti chiarimenti sia sul piano procedurale che sostanziale.

Analisi dei Profili Procedurali

La Corte ha ritenuto infondati i motivi di carattere processuale. In primo luogo, ha stabilito che l’appello non era affatto generico, poiché esponeva chiaramente i punti della controversia sottoposti a riesame, mettendo il giudice in condizione di comprendere la natura e la portata della critica.

In secondo luogo, ha chiarito che l’improcedibilità del gravame si verifica solo in caso di omissione totale della notifica, non di semplice tardività, la quale può essere sanata. Infine, ha confermato che l’adozione di un rito errato non comporta di per sé la nullità della sentenza, a meno che la parte che se ne duole non dimostri di aver subito un concreto e specifico pregiudizio al proprio diritto di difesa.

Il Cuore della Questione: Il Licenziamento Giustificato Motivo Oggettivo e l’Obbligo di Repêchage

Il punto centrale della decisione riguarda il quarto motivo, relativo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La Cassazione ha ribadito con fermezza un principio consolidato: l’onere della prova in materia di repêchage grava interamente sul datore di lavoro. Non è il lavoratore a dover indicare i posti alternativi in cui potrebbe essere ricollocato.

È l’azienda che deve allegare e dimostrare in giudizio:

a) L’effettiva soppressione del posto di lavoro, legata a scelte organizzative reali e non pretestuose.
b) L’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre mansioni presenti in azienda, anche di livello inferiore, per la salvaguardia del posto di lavoro.

La Corte ha specificato che la prova può essere fornita anche tramite presunzioni, ma resta un onere esclusivo del datore di lavoro. La sentenza impugnata aveva correttamente accertato in fatto la carenza di tale prova, una valutazione non sindacabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione, nel motivare la sua decisione, ha fatto riferimento a una solida giurisprudenza. Sul piano procedurale, ha sottolineato che le norme sui riti processuali sono funzionali a garantire il diritto di difesa e il contraddittorio, e la loro violazione assume rilevanza solo quando questi principi vengono concretamente lesi. Nel caso di specie, il passaggio dal rito speciale a quello ordinario non aveva causato alcun pregiudizio difensivo alla società.

Sul piano sostanziale, la motivazione si fonda sulla tutela costituzionale del lavoro. L’obbligo di repêchage, seppur non esplicitato a livello normativo, discende dalla necessità di rendere effettivo e non pretestuoso il potere di recesso del datore di lavoro. Il licenziamento deve essere l’extrema ratio. Di conseguenza, è onere del datore di lavoro, che possiede la conoscenza completa della propria organizzazione, dimostrare di aver esplorato ogni possibile soluzione alternativa prima di procedere con il recesso.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 22186/2024 rafforza un pilastro del diritto del lavoro in materia di licenziamenti economici. Per le aziende, la lezione è chiara: non è sufficiente addurre una generica ragione organizzativa per giustificare un licenziamento. È necessario condurre una rigorosa e documentabile verifica interna sulla possibilità di ricollocare il dipendente. La mancata o insufficiente prova di questo sforzo rende il licenziamento illegittimo, con le conseguenti condanne risarcitorie. Per i lavoratori, la sentenza conferma che la tutela del posto di lavoro impone al datore un onere probatorio stringente, alleggerendo la loro posizione difensiva in giudizio.

A chi spetta l’onere di provare l’impossibilità di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di allegare e provare l’impossibilità di repêchage del dipendente licenziato spetta interamente e unicamente al datore di lavoro. Non incombe sul lavoratore alcun onere di indicare i posti di lavoro alternativi.

L’utilizzo di un rito processuale errato rende automaticamente inammissibile la domanda?
No. L’inesattezza del rito non determina di per sé la nullità della sentenza. La violazione della disciplina sul rito assume rilevanza solo se la parte che la eccepisce dimostra di aver subito uno specifico e concreto pregiudizio processuale, come una lesione del diritto di difesa o del contraddittorio.

Quali sono i requisiti per un licenziamento per giustificato motivo oggettivo?
Sono necessari tre presupposti: a) la soppressione effettiva del settore lavorativo, del reparto o del posto di lavoro; b) la riferibilità di tale soppressione a scelte datoriali effettive e non simulate, dirette a incidere sull’organizzazione dell’impresa; c) l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore in altre mansioni, anche inferiori, presenti in azienda (obbligo di repêchage).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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