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Licenziamento giusta causa: social e reintegro

La Corte di Cassazione ha confermato il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che, subito dopo aver ottenuto un ordine di reintegrazione, aveva pubblicato contenuti diffamatori contro l’azienda sul proprio profilo social. La Corte ha stabilito che il rapporto di lavoro si considera legalmente ripristinato dal momento dell’ordine del giudice, rendendo il lavoratore immediatamente soggetto agli obblighi di lealtà. La condotta del dipendente è stata ritenuta una grave violazione del rapporto fiduciario, tale da giustificare il recesso immediato.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento Giusta Causa: quando i post sui social costano il posto dopo il reintegro

L’era digitale ha introdotto nuove sfide nel mondo del lavoro, specialmente riguardo ai confini tra vita privata e obblighi professionali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico: un licenziamento giusta causa inflitto a un lavoratore per aver pubblicato contenuti denigratori sui social network subito dopo aver ottenuto un ordine di reintegrazione. Questa decisione chiarisce importanti principi sulla ricostituzione del rapporto di lavoro e sui limiti del diritto di critica.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un dipendente che, dopo essere stato licenziato una prima volta, aveva impugnato il provvedimento ottenendo dal Tribunale un ordine di reintegrazione nel posto di lavoro. Tuttavia, immediatamente dopo la decisione favorevole e prima ancora di riprendere fisicamente servizio, il lavoratore ha pubblicato sul proprio profilo di un noto social network una serie di video e foto dal contenuto palesemente diffamatorio nei confronti dell’azienda. La società datrice di lavoro, venuta a conoscenza di tali pubblicazioni, ha proceduto con un secondo licenziamento per giusta causa, ritenendo che la condotta del dipendente avesse irrimediabilmente compromesso il rapporto fiduciario.

Il Percorso Giudiziario e il licenziamento per giusta causa

Il lavoratore ha impugnato anche il secondo licenziamento. La Corte d’Appello ha però dato ragione all’azienda, confermando la legittimità del recesso. Secondo i giudici di secondo grado, la pubblicazione di materiale denigratorio eccedeva i limiti del diritto di critica, configurando un’aperta violazione degli obblighi di lealtà e correttezza. Il caso è quindi approdato in Corte di Cassazione, con il lavoratore che sosteneva, tra le altre cose, la carenza di potere disciplinare dell’azienda, non essendosi ancora effettivamente ricostituito il rapporto di lavoro.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha respinto il ricorso del lavoratore, fornendo chiarimenti cruciali su due aspetti fondamentali.

1. La Ricostituzione del Rapporto di Lavoro è Immediata e “De Iure”

Il punto centrale della decisione riguarda il momento in cui il rapporto di lavoro si considera ripristinato a seguito di un ordine di reintegrazione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: il rapporto di lavoro è ripristinato de iure, ovvero per effetto diretto della legge, fin dal momento della pronuncia del giudice. Non è necessario un atto formale di riassunzione da parte del datore di lavoro. Di conseguenza, dal momento dell’ordine giudiziale, il lavoratore è a tutti gli effetti nuovamente soggetto a tutti gli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, incluso l’obbligo di fedeltà, e il datore di lavoro riacquista pienamente il suo potere disciplinare.

2. La Diffamazione sui Social Network come Violazione del Rapporto Fiduciario

I giudici hanno qualificato la condotta del lavoratore come una grave violazione del rapporto fiduciario. La pubblicazione di contenuti denigratori non è stata considerata una legittima espressione del diritto di critica, ma un’azione con un palese intento diffamatorio, finalizzata a ledere l’immagine e la reputazione dell’azienda. Tale comportamento, avvenuto in un momento così delicato come quello successivo a una reintegrazione, ha dimostrato l’assenza della lealtà e della fiducia necessarie per la prosecuzione del rapporto, giustificando pienamente il licenziamento giusta causa.

Conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione lancia un messaggio chiaro: l’ordine di reintegrazione non costituisce uno ‘scudo’ che autorizza comportamenti lesivi nei confronti del datore di lavoro. Il rapporto di lavoro, con tutti i suoi doveri, rinasce giuridicamente con la sentenza del giudice. I lavoratori devono quindi essere consapevoli che le loro azioni, anche sui social media personali, possono avere conseguenze disciplinari gravi, fino al licenziamento, se superano i limiti del rispetto e della correttezza professionale. La tutela del posto di lavoro va di pari passo con il rispetto degli obblighi contrattuali, primo fra tutti quello di lealtà.

Quando si considera ripristinato il rapporto di lavoro dopo un ordine di reintegrazione?
Il rapporto di lavoro si considera ripristinato ‘de iure’, cioè legalmente, dal momento stesso della pronuncia del giudice che ordina la reintegrazione, senza che sia necessario un successivo atto formale di riassunzione da parte del datore di lavoro.

Un lavoratore può essere licenziato per ciò che pubblica sui social media dopo essere stato reintegrato?
Sì. Se i contenuti pubblicati sui social network superano il legittimo diritto di critica e hanno un chiaro intento diffamatorio nei confronti dell’azienda, tale condotta può ledere in modo insanabile il rapporto di fiducia e costituire una giusta causa di un nuovo licenziamento.

Il datore di lavoro ha potere disciplinare su un dipendente che è stato reintegrato ma non è ancora tornato fisicamente al lavoro?
Sì. Poiché il rapporto di lavoro è giuridicamente ricostituito dall’ordine del giudice, il lavoratore è immediatamente soggetto a tutti gli obblighi contrattuali, compreso quello di fedeltà. Di conseguenza, il datore di lavoro ha pieno potere di sanzionare eventuali comportamenti illeciti commessi in questo lasso di tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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