Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13385 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13385 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 536-2023 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 614/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 31/10/2022 R.G.N. 423/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto
Licenziamento individuale
R.G.N. 536/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 27/02/2024
CC
In data 8.7.2020 la RAGIONE_SOCIALE contestava al dipendente NOME COGNOME, con mansioni di guardia giurata, che, a seguito di alcune segnalazioni riguardanti soste ingiustificate, era emerso che durante il turno di lavoro (di ore 7,25 elevate a seconda delle zone assegnate con autorizzazione della società ad effettuare un’ora e tre quarti o mezz’ora di straordinario, su espressa richiesta del lavoratore motivata dalla ampiezza delle zone stesse), dal 1° giugno (inizio turno) al 3 luglio (inizio turno), il lavoratore aveva sostato, rimanendo spesso dentro l’autovettura di servizio, con il motore e le luci interne accese, per 17 volte (debitamente indicate).
Gli addebiti erano stati contestati a seguito di una attività di indagine investigativa della RAGIONE_SOCIALE investigazione incaricata dalla datrice di lavoro nel maggio del 2020.
Dopo l’irrogazione della sospensione cautelare e acquisite giustificazioni, il 18 luglio 2020 veniva intimato licenziamento per giusta causa.
Il Tribunale di Padova, sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava l’impugnazione del recesso proposta dal COGNOME.
Presentato reclamo, la Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 614/2022, confermava la pronuncia di primo grado.
I giudici di seconde cure ritenevano che: a) i controlli disposti dalla società erano legittimi collocandosi sul piano dei controlli difensivi, poiché indotti dalla condotta del COGNOME che, ex ante , poteva integrare gli estremi di un illecito penale (danno patrimoniale e condotta truffaldina del dipendente che aveva mantenuto il diritto al lavoro straordinario non necessario); b) l’archiviazione del procedimento penale instaurato per gli stessi fatti, nei confronti del dipendente, non rilevava in quanto disposto per la ‘particolare tenuità del fatto’; c) non vi era stata violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare atteso che la precisazione, contenuta in una memoria difensiva della società, secondo cui gli addebiti dovevano essere riferiti alla notte compresa tra il giorno di inizio turno e quello successivo, non incideva sui fatti contestati che erano stati ben compresi dal
lavoratore; d) la sanzione irrogata era proporzionata e non rientrava nella ipotesi di negligenza grave (sanzionata dalla contrattazione collettiva con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione) ma semmai in quella di mero addormentamento in servizio punita con il licenziamento.
Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidato a sei motivi cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
Le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 St. lav., 2 legge n. 604/1966 e 2119 cc, nonché dell’art. 112 cpc, per avere la Corte territoriale omesso l’esame di un motivo determinante del gravame e per avere violato il principio di immutabilità della contestazione disciplinare dal momento che, a differenza di quanto ritenuto, non era stato in alcun modo contestato che le soste asseritamente ingiustificate fossero state dirette a creare l’apparenza della necessità di lavoro straordinario per completare il turno: ciò che era stato, invece, addebitato, era l’avere eseguito soste ingiustificate e di avere, in tal modo, indebitamente percepito la retribuzione anche per lavoro straordinario.
Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 lett. d) del CCNL di categoria, per avere la Corte territoriale equiparato la condotta contestata al mero addormentamento in servizio, con recidiva, quando invece tale comportamento non era stato mai oggetto di addebito.
Con il terzo motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc nonché degli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 300 del 1970, per avere la Corte distrettuale ritenuto utilizzabili le relazioni
investigative, nonostante le stesse fossero finalizzate a verificare la giustificatezza del mancato completamento dell’attività di RAGIONE_SOCIALE nell’orario previsto per i vari turni e, quindi, il corretto adempimento delle prestazioni lavorative, in assenza di un giustificato sospetto circa la realizzazione di condotte illecite del lavoratore.
Con il quarto motivo si eccepisce la nullità della sentenza per motivazione solo apparente, in violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, per non avere la Corte distrettuale reso una valida argomentazione sul danno patrimoniale, patito dalla società, solo apoditticamente affermato e il cui sospetto avrebbe potuto legittimare i controlli difensivi, sul perché l’eseguire soste, ancorché ingiustificate, durante il turno, costituisse finzione di non riuscire a completare il turno stesso (anziché un mero inadempimento della prestazione) e sul perché tale finzione costituisse condotta fraudolenta.
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 651, 651 bis e 654 cpp, per avere la Corte di appello attribuito efficacia extra-penale ad un decreto di archiviazione del giudice penale, non rivestendo tale provvedimento, autorità di cosa giudicata nel giudizio civile, come una sentenza penale di condanna che può rilevare ai fini della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e in ordine all’affermazione che era stato l’imputato a commetterlo.
Con il sesto motivo si obietta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 CCNL per i dipendenti da Istituti e da Imprese RAGIONE_SOCIALE e servizi fiduciari e dell’art. 18 commi 4 e 5 della legge n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012, per avere la Corte distrettuale ritenuto erroneamente applicabile la sanzione espulsiva, senza considerare che il fatto contestato integrava una delle fattispecie punite con sanzione conservativa omettendo, al riguardo, la doverosa verifica, cioè l’esecuzione del lavoro senza la necessaria diligenza ovvero una sua esecuzione con negligenza grave o, ancora, una omissione parziale di esecuzione della prestazione.
Il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
In primo luogo, infatti, va sottolineato che la Corte territoriale si è pronunciata sul motivo (secondo) del reclamo che concerneva la asserita violazione del principio di immutabilità della contestazione e che riguardava il problema della specificazione degli orari specifici corrispondenti a giornate determinate: precisazione che, secondo l’assunto dell’allora reclamante, sarebbe avvenuta solo con la memoria difensiva della società ove era stato indicato che trattavasi ‘della notte a cavallo tra la prima giornata di inizio turno ed il giorno successivo’.
Questa era l’unica doglianza, prospettata rite et recte , con il reclamo relativamente alla problematica sollevata e su questa la Corte territoriale si è pronunciata.
Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre infatti quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308/2017; Cass. n. 7653/2012).
La questione riferita alla mancata contestazione che le soste asseritamente ingiustificate fossero o meno dirette a creare l’apparenza della necessità del lavoro straordinario non aveva costituito specifico oggetto di gravame circa la dedotta violazione del principio di immutabilità e la sua prospettazione era stata effettuata, nell’atto di impugnazione, solo per riferire quella che era stata la statuizione del primo giudice circa la ritenuta impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro.
Alcuna omessa pronuncia è, pertanto, addebitabile alla sentenza impugnata nei sensi sopra descritti e giova ribadire che, ai fini della contestazione, ciò che rileva è che siano chiari e
specifici i fatti su cui è chiamato a difendersi il lavoratore (Cass. n. 21912/2010): tale esigenza, nella fattispecie è stata osservata.
Il secondo ed il sesto motivo, da esaminarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, non sono fondati.
La Corte territoriale, infatti, non ha proceduto ad alcuna indebita modificazione della contestazione né ha applicato una sanzione espulsiva senza effettuare alcuna verifica circa il fatto che il comportamento era previsto e punito con sanzione conservativa.
Anzi, proprio nel rispetto dei principi statuiti dalla sentenza di questa Corte (Cass. n 11665/2022) i giudici di seconde cure hanno ritenuto, con motivazione esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, che la condotta contestata e dimostrata non era equiparabile ad una ipotesi di negligenza grave nella mancata esecuzione del servizio ma, anzi, per gravità, era paragonabile ad un mero addormentamento in servizio ripetuto.
La Corte territoriale ha, quindi, svolto proprio quella operazione di interpretazione e di eventuale sussunzione della fattispecie concreta in una previsione contrattuale collettiva, con clausola generale ed elastica, onde selezionare il tipo di tutela applicabile. E ciò lo ha fatto considerando ogni aspetto, soggettivo e oggettivo, della condotta addebitata, con un accertamento di merito motivato e, in quanto tale, non sindacabile in sede di legittimità.
Anche il terzo ed il quarto motivo, da scrutinare congiuntamente perché interferenti, sono infondati.
Il vizio di motivazione può essere ormai censurato in Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 cpc solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. S. U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018): ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico- giuridico della impugnata pronuncia.
Infatti, la Corte di appello ha sottolineato che il COGNOME aveva mantenuto il diritto allo straordinario non necessario, attraverso una condotta fraudolenta (finzione di non riuscire a completare il turno) e aveva conseguito una retribuzione aggiuntiva che altrimenti non avrebbe percepito: il tutto in un contesto in cui, dai fogli di marcia compilati dallo stesso lavoratore, era emerso che non aveva neppure completato il giro di ispezione, mentre era stato accertato che in molte occasioni il COGNOME sostava all’interno dell’auto, con le luci interne ed il motore acceso, con gli occhi chiusi.
Quanto, invece, alla utilizzabilità delle relazioni investigative, la decisione di secondo grado è conforme ai principi statuiti da questa Corte (per tutte Cass. n. 15694/2018) proprio perché è stato ritenuto che la società avesse disposto controlli difensivi in quanto i comportamenti del COGNOME, ex ante , avrebbero potuto integrare gli estremi di un illecito penale o essere sintomatici di una condotta truffaldina.
Le censure di cui al quinto motivo, infine, sono inammissibili perché eccentriche rispetto alla ratio decidendi della gravata sentenza.
La Corte territoriale non ha attribuito alcuna efficacia extra-penale al decreto di archiviazione; ha richiamato tale provvedimento solo per escludere una interferenza tra i due giudizi, penale e civile, e per sottolineare che quello penale, comunque non si era concluso con una affermazione di insussistenza del fatto.
In realtà, il comportamento del dipendente è stato ritenuto provato nel giudizio civile attraverso le risultanze processuali (documentali ed orali) ivi acquisite e non facendo riferimento all’esito del procedimento penale, in ossequio al principio della autonomia delle due valutazioni.
Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
27. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 27 febbraio 2024