Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8642 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8642 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3226-2023 proposto da:
COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, presso lo STUDIO LEGALE RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1387/2022 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/11/2022 R.G.N. 263/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 3226/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/12/2024
CC
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza in merito al licenziamento per giusta causa intimato a NOME NOME da Poste Italiane S.p.A., riconoscendo la validità della decisione di primo grado.
La Corte ha ritenuto specifica e tempestiva la contestazione disciplinare mossa al ricorrente, fondata sul disconoscimento dei documenti giustificativi dei permessi elettorali, fruiti nell’arco temporale compreso tra il 28/02/2014 ed il 26/09/2016 per l’es pletamento della carica di assessore comunale, per i quali Poste Italiane aveva inviato al Comune (su richiesta di quest’ultimo) diciotto documenti giustificativi (prodotti dal dipendente e cioè le attestazioni dell’ente riferiti a tali permessi), che il Comune poi ha disconosciuto.
Sul rilievo dunque che tali documenti non corrispondevano ad atti pubblici formalizzati dal Comune di Rota Greca, concordando con l’accertamento svolto in primo grado secondo cui il ricorrente, in qualità di responsabile finanziario del Comune, aveva tra l ‘altro emesso un mandato di pagamento di €16.412,17 senza autorizzazioni o giustificativi , la corte ha rinvenuto in tali condotte, reiterate nel tempo e basate su falsità documentale, la violazione dell’art. 79 del D.Lgs. 267/2000, e la irrimediabile compromissione del vincolo fiduciario con Poste Italiane, così confermando la legittimità del licenziamento per giusta causa.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso NOME COGNOME con cinque motivi, cui resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a.; il ricorrente ha depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il dep osito dell’ordinanza.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c., 2697 c.c., art. 94 disp. att. e art. 210 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in cui sarebbe i ncorsa la Corte d’Appello non accogliendo richieste istruttorie volte all’acquisizione di documenti specifici e indispensabili, come i contratti di mutuo e le delibere comunali, necessari per ricostruire i fatti e dimostrare la regolarità del pagamento di €16.412,17, nell’ambito di un mutuo autorizzato, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte. La mancata acquisizione di tali documenti, nonostante la richiesta di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., avrebbe impedito una corretta valutazione delle pr ove, incidendo sull’esito della causa.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 115 c.p.c. e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., sostenendo che la Corte avrebbe travisato le prove testimoniali e documentali. In particolare, la dichiarazione del Sindaco Albano sarebbe stata erroneamente interpretata, poiché lo stesso aveva affermato di essere a conoscenza del mandato di pagamento già nel 2014, anziché nel 2019. Tale errore avrebbe condotto a ritenere tempestiva una contestazione disciplinare tardiva. Inoltre, la Corte avrebbe ignorato le testimonianze e i documenti che dimostravano la regolarità dei permessi fruiti dal ricorrente, inclusi resoconti e delibere che comprovavano la sua partecipazione alle Giunte e Consigli Comunali. Il mancato esame di tali elementi, decisivi per la difesa, avrebbe violato il principio di corretta percezione delle prove, riconosciuto censurabile dalla giurisprudenza.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 132,
comma 2, n. 4 c.p.c., 116 c.p.c., e 111, comma 6, Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Avrebbe errato la corte omettendo di considerare importanti testimonianze e documenti, tra cui resoconti di Poste Italiane e delibere comunali, che avrebbero dimostrato la regolarità dei permessi fruiti e la presenza del ricorrente alle riunioni del Consiglio Comunale e della Giunta. Le dichiarazioni dei testimoni, in particolare quelle del ragioniere COGNOME confermavano che i pagamenti dei permessi avvenivano in conformità alle prassi amministrative e che il Comune aveva ricevuto regolarmente i resoconti di Poste Italiane. L’omessa valutazione di tali elementi ha condotto la Corte a ritenere erroneamente specifica e tempestiva la contestazione disciplinare, ignorando che i Sindaci Albano e De Monte fossero consapevoli della fruizione dei permessi già dal 2014.
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto di specifici documenti e testimonianze relativi ai permessi contestati. In particolare, la Corte avrebbe erroneamente affermato che la documentazione prodotta dal ricorrente non era pertinente ai fini della fruizione dei permessi ex art. 79 del D.Lgs. 267/2000, ignorando che molte attestazioni provenivano da figure amministrative competenti, come il Segretario Comunale e il Responsabile Amministrativo. Inoltre, il ricorrente ha evidenziato come gran parte dei permessi fruiti riguardavano le giornate del giovedì, quando si svolgevano le riunioni di Giunta, come confermato da delibere e testimonianze. La Corte avrebbe omesso di circoscrivere il disconoscimento delle attestazioni ai soli documenti firmati da
COGNOME senza dimostrare che le firme irregolari fossero attribuibili al ricorrente. Questa omissione avrebbe impedito una corretta valutazione del carattere offensivo delle condotte contestate e della loro effettiva idoneità a giustificare il licenziamento.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme dei contratti collettivi e degli accordi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., contestando la proporzionalità della sanzione disciplinare applicata.
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, ritenendo che gli illeciti contestati fossero sufficientemente gravi da recidere il vincolo fiduciario mentre la sanzione espulsiva, prevista dall’art. 54, comma VI del CCNL, si applica esclusivamente a violazioni dolose di leggi o regolamenti che abbiano causato forte pregiudizio alla società o a terzi, circostanza che non sarebbe stata dimostrata nel caso di specie. Evidenzia in particolare, il ricorrente, anche nella memoria successiva, che non è stato provato alcun danno grave o pregiudizio significativo a carico di Poste Italiane S.p.A., né l’intenzionalità fraudolenta della sua condotta e che pertanto la condotta contestata sarebbe riconducibile a negligenze o inosservanze che, secondo il CCNL, sono punibili con sanzioni conservative, come la sospensione dal servizio.
Avrebbe ancora errato la Corte non adeguatamente valutando elementi rilevanti, tra cui il comportamento quiescente dell’ente comunale, la mancanza di precedenti disciplinari del ricorrente e la buona fede nell’esecuzione delle sue mansioni.
Il ricorso è inammissibile. La corte ha ritenuto che i fatti contestati devono ritenersi sussistenti, ‘essendo basati su chiare ed inequivoche dichiarazioni del Comune di Rota Greca,
dalle quali emerge la violazione costante e reiterata nel tempo del disposto dell’art. 79 D. Lgs. 267/2000, concludendo per la inequivocabile mancanza della necessaria attestazione dell’ente prevista dal comma 6 dell’articolo 79 in ordine alla attività ed ai tempi per l’espletamento del mandato, che è volta a garantire sia il datore di lavoro sia l’ente pubblico tenuto al pagamento finale delle giornate lavorative in cui il dipendente ha fruito dei permessi per partecipare alle attività istituzionali, consentendo ad entrambi di controllare che i permessi siano stati correttamente goduti in relazione agli specifici scopi per i quali sono stati previsti dalla legge’.
A fronte di tale ricostruzione tutti i motivi proposti, denunciando nullità della sentenza, vizi della motivazione, violazione di legge, mirano in realtà a proporre inammissibilmente una ricostruzione fattuale diversa rispetto a quella argomentata proposta dalla corte di merito in senso conforme al giudice di primo grado.
Il primo, il secondo e il quarto motivo, con cui il ricorrente si duole della nullità della sentenza perché la corte avrebbe omesso di acquisire documentazione essenziale ai fini probatori e avrebbe errato nella valutazione delle prove, possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logica e sono inammissibili.
La Corte d’Appello ha correttamente valutato le prove disponibili, basandosi sulle dichiarazioni dei rappresentanti del Comune, che hanno disconosciuto l’autenticità della documentazione presentata dal ricorrente. In particolare, ha evidenziato che ‘il Com une di Rota Greca ha disconosciuto le attestazioni poste dal ricorrente a base dei permessi ed ha altresì chiesto la restituzione a Poste Italiane S.p.A. della somma di €. 16.412,17 per il periodo settembre 2009/27.2.2014, liquidata con mandato di pagamento n. 642 del 6.11.2014 a firma dello stesso ricorrente in mancanza di
autorizzazione di determina di liquidazione e di qualsiasi atto amministrativo del Comune, con messa in mora della società datrice di lavoro per la restituzione della somma medesima.’ Il disconoscimento, osserva la corte, è stato confermato in sede istruttoria, poiché il teste COGNOME COGNOME presidente del Consiglio Comunale di Rota Greca ed, all’epoca dei fatti, Sindaco dell’ente, ha affermato: ‘Comunicavo a Poste Italiane che il mandato di pagamento era stato fatto direttamente dal Sig. COGNOME responsabile del servizio e chiedevo di specificarmi le date dei permessi a cui si riferivano i pagamenti e comunque di non aver mai autorizzato i permessi secondo la legge… Si parla di permessi per la carica di assessore che io non ho mai autorizzato. Io e il Sindaco attuale NOME COGNOME il vice sindaco Calabria e l’assessore COGNOME abbiamo denunciato i fatti alla Procura della Repubblica di Cosenza poiché Poste Italiane ci ha inviato della documentazione sui permessi con autocertificazione del ricorrente, con firme del Sig. COGNOME e di Calabria che sono state disconosciute e con dei numeri di protocollo che non corrispondevano al numero di protocollo del Comune. I numeri di protocollo si riferivano ad altri tipi di atti… Non è stato deliberato alcun pagamento che è stato disposto dal
Sig. COGNOME nella qualità di responsabile del servizio’.
La corte ha poi ripercorso la testimonianza del COGNOME -Sindaco del Comune di Rota Greca al momento della deposizione e soggetto che ha formalmente disconosciuta la propria sottoscrizione su alcuni documenti forniti dal ricorrente -che ha affe rmato : ‘Dopo essere diventato Sindaco, Poste Italiane rispose alla missiva del mio predecessore con cui venivano chiesti i documenti giustificativi dei permessi. Allegò dei file che riproducevano dei documenti su carta intestata del Comune con firme anche mie che ho provveduto a disconoscere. Abbiamo riscontrato che il numero del protocollo non
corrispondeva a quello dell’Ente, nel senso che il numero del protocollo corrispondeva ad altri atti dell’Ente. Quindi, complessivamente, i documenti non erano autentici… Ho depositato alla Procura della Repubblica di Cosenza un report dettagliato ed appro fondito… Confermo la missiva a mia firma del 30/7/2019 inviata alle Poste Italiane. Per il primo pagamento ho rinvenuto in atti solo il mandato di pagamento del ricorrente come responsabile del servizio’.
La Corte, dopo aver correttamente riportato e analizzato le testimonianze dei rappresentanti comunali, ha rilevato come le dichiarazioni rese fossero coerenti e prive di contraddizioni.
Nessuna nullità della sentenza, del pari, si rinviene quanto all’omessa ammissione di prove e valutazione di documenti volti a provare la presenza del ricorrente presso il comune, per superare i disconoscimenti documentali sopra richiamati. Sul punto, infatti, la corte ha chiarito, in merito alle ulteriori richieste di prove testimoniali e valutando la documentazione prodotta dal ricorrente a sostegno della legittima fruizione dei permessi, come tale documentazione si riferisse a incarichi ricoperti presso il Comune di Rota Greca, qua li ‘Responsabile Servizi Finanziari’, ‘Responsabile Servizi Amministrativi’ e membro di varie Commissioni, attività che non rientravano tra quelle oggetto dei permessi retribuiti di cui all’art. 79 del D.Lgs. 267/2000.
Ha quindi ritenuto superfluo lo svolgimento di una prova orale volta a dimostrare lo svolgimento di attività lavorativa, la partecipazione al Consiglio comunale tra il 2009 e il 2016 e la convocazione per le riunioni di Giunta ogni giovedì del mese nel medesimo periodo, in presenza di affermazioni dello stesso ricorrente che riconosceva di essere stato presente in quei giorni per diverse ragioni ( ‘è indubbio e indiscusso che nei giorni per i quali richiedeva i permessi, il Sig. COGNOME era presente al Comune
di Rota Greca per consentire il regolare funzionamento della macchina amministrativa’, cfr. pag. 10 sentenza impugnata).
Pertanto ha correttamente applicato le disposizioni contrattuali e il CCNL, individuando una grave violazione dei doveri fiduciari del lavoratore.
Né può ritenersi che la contestazione disciplinare fosse tardiva, come affermato dal ricorrente, avendo anche su tale punto la corte diffusamente motivato, correttamente applicando la giurisprudenza di questa corte, ed evidenziando come la contestazione disciplinare non solo fu specifica, ma anche tempestiva ‘ in quanto la società ha avuto conoscenza dei fatti addebitabili al ricorrente solo quando ha avuto notizia dell’informativa resa dal Sindaco del Comune di Rota Greca nelle comunicazioni del 22.5.2019 e del 30.7.2019.’ avendo solo in quel momento il datore di lavoro acquisito ‘in concreto la piena conoscenza del fatto, non essendo sufficienti a tal fine meri sospetti’ (cfr. Cass. civ., sez. lav., 3/01/2017, n. 50)., considerando anche che il ricorrente non ha mai negato di avere emesso il mandato di pagamento nel suo interesse in mancanza di titoli giustificativi e autorizzazione amministrativa, nel suo ruolo di responsabile del servizio finanziario e amministrativo dell’ente, così esponendo il datore di lavoro alla richiesta di restituzione (cfr. pag.10 della sentenza impugnata).
E’ evidente, allora che non appaiono sussistenti gli errores in procedendo, censurati con i tre motivi in esame, peraltro impropriamente evocati nei generici motivi che, pur formalmente denunciando la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. r isultano a ben vedere tesi a contrapporre una diversa valutazione a quella correttamente svolta dalla corte del materiale probatorio e documentale.
Va ricordato, peraltro, che questa corte ha da tempo evidenziato come il principio del libero convincimento in tema di valutazione
delle prove, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360,comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012.Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. sez. 3, 10 giugno2016» n. 11892, che, a proposito dell’articolo 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre”; sulla modalità di deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. v. pure, in motivazione, S.U. 5 agosto 2016 n.16598; e in tema cfr. altresì Cass. sez.3, 11 ottobre 2016 n. 20382 e Cass. sez. 1, ord.28 febbraio 2018 n.4699);ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da
cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
Il terzo motivo di ricorso, con cui il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, ossia la propria partecipazione alle attività amministrative del Comune durante i giorni di permesso, è del pari inammissibile, vertendosi in un caso di cd. doppia conforme. Ed infatti, ai sensi dell’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c., il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. non è deducibile in Cassazione quando la sentenza d’appello conferma integralmente quella di primo grado, salvo che il ricorrente dimostri che le due pronunce si fondano su rationes decidendi differenti, dimostrazione nel caso di specie neppure dedotta (cfr. ex multis Cass. n. 22208 del 2021)
Inammissibile infine il quinto motivo con cui si deduce la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte confermando la legittimità del licenziamento nonostante l’assenza di proporzionalità della sanzione rispetto alle condotte.
Ed infatti la corte ha svolto adeguatamente il giudizio di proporzionalità (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata) giudicando proporzionata la sanzione espulsiva, considerando che gli illeciti sono stati commessi per lungo tempo, includono falsità documentale e violazione dolosa di leggi e doveri d’ufficio, ed hanno causato un significativo danno economico alla società di circa €27.000, recidendo il vincolo fiduciario nel rapporto di lavoro, giustificando la sanzione espulsiva ex art. 2119 c.c., come emerge anche dalla lettera di licenziamento per giusta causa ove sono menzionate le lettere c e k dell’art. 54 comma
VI CCNL, che prevedono il recesso senza preavviso per violazioni dolose causanti grave pregiudizio.
Tale giudizio appare rispettoso della giurisprudenza di questa corte che, in materia di proporzionalità ha osservato che la valutazione della proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto alla gravità dell’illecito contestato rientra tra i compiti esclusivi del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti affetta da evidente illogicità o contraddittorietà della motivazione (Cass. n. 19240 del 2018; Cass. n. 1926 del 2017).
Si tratta, del resto, di un accertamento, basato su una ricostruzione logica e coerente dei fatti, rientra nell’ambito del potere discrezionale del giudice di merito e non può essere rivalutato dalla Corte di Cassazione.
Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.