Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19374 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19374 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17919-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 390/2024 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 18/06/2024 R.G.N. 165/2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME
NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N.17919/2024
COGNOME
Rep.
Ud.09/04/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 1830/2022, che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato da detta società a Prearo NOME in data 23.2.2022 e, per l’effetto, aveva condannato la TPER alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro e nelle sue mansioni o in mansioni equivalenti, nonché al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni globali di fatto dovute e non erogate, dal giorno del licenziamento a quello della reintegra, nel limite di un anno, dedotto l’ aliunde perceptum , con interessi legali e rivalutazione monetaria secondo indici Istat dalla mora al saldo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che, con lettera del 31.12.2021, la società datrice di lavoro aveva, in sintesi, contestato al Prearo che nei cinque giorni ivi indicati (2 dicembre 2021, 6 dicembre 2021, 9 dicembre 2021, 10 dicembre 2021 e 13 dicembre 2021) il lavoratore aveva ‘messo in atto una reiterata violazione dell’obbligo di rendere la prestazione nell’intero turno di lavoro assegnato e che nelle stesse giornate’ egli aveva ‘fatto registrare prestazione straordinaria richiedendo l’accreditamento in ferie con pagamento della maggiorazione del 10%’.
Tanto, tra l’altro, premesso, la Corte riteneva: a) che il Giudice di primo grado non risultava affatto aver travisato e/o frainteso il nucleo fondante delle contestazioni disciplinari mosse nei confronti del lavoratore appellato; b) che le conclusioni cui era pervenuto lo stesso giudice apparivano
ampiamente suffragate da un articolato ragionamento logicogiuridico, di cristallina chiarezza; c) che, fatte proprie la Corte le esaustive e convincenti considerazioni del primo giudice, COGNOME, nel proprio atto di gravame, non aveva offerto alcun dirimente spunto di riflessione che potesse indurre a rimeditare le conclusioni cui era giunto il Tribunale; d) che tali conclusioni erano suffragate anche da ulteriori considerazioni; e) che in particolare, l’attività investigativa che aveva riguardato l’allora appellato non aveva mai interessato l’intera giornata lavorativa, ma solo alcune parti di essa e dunque non poteva dare conto delle effettive ore complessivamente lavorate; f) che nei 12 anni in cui lo stesso era stato applicato alle medesime mansioni, l’azienda non aveva mai regolamentato la durata massima della guida, né la necessità di effettuare più pause e non solo un’ora a metà giornata, per chi deve stare alla guida per più di 10 ore; g) che era poi indiscusso che, in tutti questi anni, la massima disponibilità del COGNOME ad effettuare estenuanti giornate di guida fosse stata ampiamente sfruttata dall’azienda e che nessuno dei suoi superiori aveva mai rilevato irregolarità o abusi delle consegne, verificando invece la correttezza del lavoratore nell’esecuzione degli incarichi ricevuti e l’assoluta congruità delle tempistiche di adempimento; h) che era ancora evidente che il trattamento del lavoratore -il quale svolgeva mansioni molto più usuranti rispetto a quelle d’ufficio non poteva essere deteriore rispetto a quello dei colleghi che rimanevano in sede i quali, oltre alla pausa pranzo prestabilita dalle ore 13:00 alle ore 14:00, ‘staccano’ più volte durante la giornata lavorativa, per accedere ai servizi igienici o per recarsi al bar aziendale o al distributore automatico; i) che, nel caso di guida che duri un’intera giornata di lavoro, l’azienda dovrebbe
applicare le tutele di cui al Regolamento CE n. 561/2006; l) che nel caso dell’allora appellato, pacificamente affetto da ipoglicemia, la fruizione di più pause, ancorché brevi, nel corso della giornata lavorativa per la consumazione di adeguate dosi di zucchero appariva altresì necessitata da ragioni di salute.
Alla luce di tutte le su riassunte considerazioni, per la Corte doveva escludersi che il lavoratore si fosse reso responsabile di condotte illecite in quanto i tempi che si assumevano da lui ‘non lavorati’ nelle cinque giornate oggetto di contestazione erano inferiori o di poco superiori all’ora a cui aveva pienamente diritto come pausa pranzo, da lui fruita in maniera frazionata in ragione delle mansioni svolte, e le eventuali eccedenze per un ammontare massimo contestato di 25 minuti, ad avviso della Corte, potevano ritenersi corrispondere al periodo di ‘tolleranza’ delle brevi pause effettuate anche dagli altri dipendenti di TPER per accedere alla toilette, al bar aziendale o al distributore automatico per consumare bevande, caffè, etc.
Ferme tali considerazioni ritenute assorbenti, rilevava ad abundantiam che, quand’anche si volesse ravvisare un qualche profilo di illiceità disciplinare nelle condotte ascritte all’appellato, era indubbio trattarsi di comportamenti al più punibili con sanzione conservativa, con conseguente applicabilità in favore del lavoratore, anche sotto questo profilo, dell’art. 18, comma 4, l. 300/1970 novellato.
Avverso tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimato resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli articoli 2094, 2104 e 2105 c.c.’. Premesso un passaggio motivazionale tra la pag. 13 e la pag. 14 dell’impugnata sentenza, la ricorrente sostiene che, . Per la ricorrente, anzitutto, ‘Tale ultima affermazione, peraltro, è in contrasto con le tesi difensive esposte da controparte’ nella sua memoria di costituzione in appello. E sulla ‘questione giuridica da risolvere, ossia se un lavoratore subordinato possa decidere, autonomamente, di dedicare una parte della giornata lavorativa per assolvere a questioni private e personali, la Corte di Appello di Bologna ha ritenuto di poter fornire risposta affermativa, in palese violazione agli articoli 2094, 2104 e 2105 cod. civ.’.
Con il secondo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli articoli 112 e 115 c.p.c.’. Secondo la ricorrente, essa società aveva fornito la prova ex art. 5 l. n. 604/1966 della sussistenza dei fatti oggetto della contestazione disciplinare, e a fronte di ciò sarebbe stato onere del lavoratore fornire la prova (cd. fatto impeditivo), ex art. 2697 cod. civ., che i fatti, pur sussistenti,
non avevano rilevanza disciplinare. Richiamato quindi quanto, secondo la ricorrente, la sua controparte aveva ribadito, assume che: ‘Non è dato comprendere come sia possibile rendere, giuridicamente, sostenibile, nel senso di escludere l’inadempimento contestato al lavoratore, l’accertamento svolto dagli investigatori privati (e, si ribadisce, non oggetto di contestazione), – e dunque le attività chiaramente personali e private -con non meglio precisati incarichi da parte dei superiori gerarchici di svolge re le attività … che sono pacificamente private! A fronte di ciò, anche in ragione delle allegazioni della controparte, la Corte di Appello di Bologna non avrebbe potuto decidere la controversia, introducendo questioni neppure dedotte a difesa dal lavoratore. Di qui la violazione degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ.’.
Con il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione del RD 148/1931, degli articoli 2106 e 2119 codice civile e dell’art. 18 della legge n. 300/1970’. Individuata altra parte della sentenza oggetto di censura, evidenzia altro ‘errore commesso dalla Corte di Appello di Bologna nell’aver ‘sminuito’ la gravità della condotta’.
Il primo motivo è inammissibile.
La censura, pur in difetto d’indicazioni di parte, è da ricondurre al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c., essendovi dedotta la violazione delle norme di diritto (sostanziale) citate in rubrica.
5.1. Essa attinge una parte iniziale della motivazione dell’impugnata sentenza, in cui la Corte ha considerato: ‘… va, innanzitutto, chiarito che il Giudice di prime cure non risulta affatto aver travisato e/o frainteso il nucleo fondante delle
contestazioni disciplinari mosse nei confronti dell’odierno appellante (sopra riportate per esteso) -ossia l’aver dedicato, nelle specifiche giornate oggetto di contestazione, in orario lavorativo, parte del suo tempo ad attività personali, senza alcuna autorizzazione in merito e senza nulla comunicare al riguardo a TPER e, per di più, segnalando in correlazione alle medesime giornate lo svolgimento di lavoro straordinario -ma semplicemente, ha ritenuto, in sintesi, che il tempo ‘non lavorato’ corrisponde sse a brevi pause che il lavoratore ha legittimamente effettuato in buona fede, al fine di portare regolarmente a termine gli incarichi ricevuti e che sono state necessarie per motivi di salute, fisiologici e personali’.
5.2. Nota, peraltro, il Collegio che la motivazione dei giudici di secondo grado sullo stesso tema prosegue: .
Ciò premesso, la censura in esame non è aderente alla motivazione effettivamente resa dalla Corte territoriale, la quale, contrariamente a quanto opina la ricorrente, non ha dato risposta affermativa alla questione giuridica secondo la stessa da risolvere, ossia, se un lavoratore subordinato possa
decidere, autonomamente, di dedicare una parte della giornata lavorativa per assolvere a questioni private e personali.
6.1. Diversamente, la Corte di merito, dopo aver escluso, come ora si è visto, il fraintendimento della contestazione disciplinare in limine attribuito dalla società appellante al primo giudice (cfr. punto 2) a pag. 12 dell’impugnata sentenza), secondo quanto già accennato in narrativa, in primo luogo ha completamente condiviso e fatto proprio il ragionamento decisorio del Tribunale (che ha quasi integralmente trascritto nella propria decisione: v. pagg. 14-18 della sua motivazione).
E a quelle considerazioni, come pure accennato in narrativa, ha aggiunto ulteriori proprie, parimenti estese (v. pagg. 19-21 della stessa sentenza).
Ebbene, il punto di partenza, comune all’accertamento anzitutto fattuale dei giudici del doppio grado di merito, è che il lavoratore in concreto svolgeva ‘con assoluta prevalenza’ non ‘mansioni di ufficio in sede’, bensì un’attività ‘di addetto alle consegne esterne, presso gli uffici ed i magazzini di RAGIONE_SOCIALE sparsi nel territorio regionale, attività che viene richiesta abitualmente senza alcun preavviso dal diretto superiore gerarchico COGNOME MaurizioCOGNOME per esigenze improvvise, con una permanenza all’este rno anche pari a quasi tutta la giornata, con conseguente impossibilità di fruire della pausa pranzo strutturata dalle 13.00 alle 14.00, che viene conseguentemente fruita dal ricorrente quando può, nel corso dei viaggi, anche con spezzettamento e parziale fruizione dell’ora di pausa, con la conseguenza che l’attività investigativa svolte, non ha accertato né verificato tale dato fattuale, ed il suddetto errore ha inciso sul calcolo delle complessive ore lavorate, come operato dall’Azienda in
particolare con riferimento alla pausa pranzo’ (così tra la pag. 14 e la pag. 15 dell’impugnata sentenza che ivi trascrive quella di primo grado).
7.1. E questo punto di partenza è stato condiviso ed approfondito dalla Corte, che ha, altresì, evidenziato che il trattamento del lavoratore, il quale ‘svolgeva mansioni molto più usuranti rispetto a quelle d’ufficio’, non poteva essere deteriore rispetto a quelle dei suoi colleghi che rimanevano in sede, i quali potevano godere della pausa pranzo prestabilita, oltre a quelle intermedie d’uso (v. in extenso tra la pag. 19 e la pag. 20 dell’impugnata sentenza).
In definitiva, la valutazione del caso da parte della Corte di merito, come quella del Tribunale (che ha comunque compreso un puntuale esame delle risultanze processuali per ognuna delle cinque giornate oggetto di contestazione), si fonda, non già sull’assunto che il lavoratore si fosse concesso di propria iniziativa delle ‘brevi pause’ per far fronte a proprie esigenze private e personali, bensì s’incentra sulla constatazione che, stante la peculiare e differente posizione lavorativa dello stesso sopra vista, egli avesse fatto tali pause, necessarie per bisogni, secondo i casi, di salute, fisiologici e personali, in tempi in complesso quasi pari ai tempi di pausa di cui potevano regolarmente e complessivamente beneficiare i suoi colleghi impiegati in mansioni d’ufficio.
Dunque, anche tutte le ulteriori considerazioni svolte dalla ricorrente nel primo motivo (cfr. pagg. 13-14 del ricorso) sono aliene dall’effettiva e principale ratio decidendi della Corte distrettuale.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
Anche questa censura è priva di richiamo espresso ad una delle ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, c.p.c.
Nota, comunque, il Collegio che in essa la ricorrente profila una sorta di extrapetizione in violazione dell’art. 112 c.p.c., e quindi un error in procedendo , da far valere ex art. 360, comma primo, n. 4), c.p.c.; tuttavia, per questa Corte, pur non essendo indispensabile che il ricorrente faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui a quest’ultima previsione, il motivo deve recare univoco riferimento alla nullità della decisione derivante da tale vizio processuale (cfr. in tal senso, tra le altre, Cass. n. 41790/2021; n. 9478/2020); laddove nel motivo in esame neanche è dedotta per implicito la nullità della sentenza impugnata.
In ogni caso, quello che, secondo la ricorrente, ‘Non è dato comprendere …’ non trova il benché minimo riscontro in chiave di extrapetizione nell’impugnata sentenza. In sintesi, infatti, la ricorrente assume che il lavoratore aveva ‘negato di essersi dedicato a questioni private durante l’orario di lavoro’; ma -come si è visto nell’esaminare il primo motivo praticamente proprio questo ha confermato la sentenza di secondo grado.
Quest’ultima, come la sentenza del Tribunale, ha preso in considerazione e valutato le emergenze probatorie circa tutti e cinque i giorni oggetto di addebito, soffermandosi la Corte sulla ‘contestazione disciplinare relativa al 09/12/2021’ (cfr. tra la pag. 20 e la pag. 21 della sua sentenza); laddove nel motivo in esame si deduce solo circa quattro dei cinque giorni contestati (cfr. tra la pag. 15 e la
pag. 16 del ricorso).
La ricorrente, come si è visto, nello svolgimento del secondo motivo accenna a ‘non meglio precisati incarichi da parte dei superiori gerarchici’, mentre nell’esaminare il primo motivo si è dato conto che i giudici del doppio grado di merito hanno accertato e valorizzato la peculiarità della posizione lavorativa del Prearo, le cui mansioni erano in via del tutto prevalente, e su ordine del diretto superiore gerarchico, quelle sostanzialmente di un corriere, per esigenze improvvise, che nondimeno comport avano una sua permanenza all’esterno anche per quasi tutta la giornata.
Insomma, anche il secondo motivo, di là dagli anteposti rilievi formali d’inammissibilità, non è assolutamente pertinente rispetto alla motivazione dell’impugnata sentenza ed alla sua prima ratio decidendi (come si vedrà innanzi, essa non è l’unica).
E’ infine inammissibile anche il terzo motivo.
Nota il Collegio che in tale censura sono attinti taluni passaggi motivazionali presenti a pag. 21 dell’impugnata sentenza.
Ebbene, preliminarmente osserva il Collegio che la parte in questione non integri una mera argomentazione della sentenza impugnata svolta effettivamente ad abundantiam , come pur dichiarato dalla Corte; il che renderebbe ex se inammissibile il motivo ora in esame, secondo un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. n. 18429/2022; n. 9474/2022; n. 7995/2022; n. 23885/2021; Sez. un. n. 23418/2020; n. 9298/2020; n.
8676/2009).
18.1. I giudici di secondo grado, infatti, si sono in realtà soffermati diffusamente sulla questione della riconducibilità dei comportamenti addebitati ad una sanzione conservativa (v. in extenso pagg. 2123 dell’impugnata sentenza); ma, al di là del mero dato estrinseco dell’estensione grafico -redazionale di questa parte di motivazione, appare dirimente il rilievo che, mentre nella prima lunga parte della stessa motivazione, essenzialmente adesiva e di rinforzo a quella del primo giudice, la Corte di merito aveva escluso in radice che il lavoratore si fosse reso responsabile di condotte illecite, nella parte successiva ha invece considerato ‘che, quand’anche si volesse ravvisare un qualche profilo di illiceità disciplinare nelle condotte ascritte all’odierno appellato, è indubbio trattarsi di comportamenti al più punibili con sanzione conservativa, con conseguente applicabilità in favore del lavoratore, anche sotto questo profilo, dell’art. 18, 4° comma della Legge 300/1970 nel testo novellato dalla Legge 92 /2012’; affermazioni, queste, cui segue la spiegazione del come e perché le stesse condotte fossero appunto punibili con sanzione conservativa.
18.2. E, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione, il quale sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi , né contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum , insuscettibile di trasformarsi in giudicato. Detta sentenza, invece, configura
una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi , ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione (così, ex multis , Cass. n. 17182/2020; n. 18046/2023; n. 10815/2019).
18.3. Occorre, inoltre, considerare che la seconda ratio decidendi esposta dalla Corte, come, del resto, evidenziato dalla stessa, sorregge sempre la medesima soluzione anche in punto di concreta tutela accordata, perché sia il difetto d’illiceità della condotta contestata che il suo rientrare ‘tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili’ inducono la c.d. tutela reintegratoria debole di cui all’art. 18 , comma quarto, L. n. 300/1970 novellato.
Ebbene, mentre i primi due motivi di ricorso, salvi i rilievi d’inammissibilità di cui sopra, sono riferibili alla prima ratio decidendi , il terzo ora in esame -pur non avendo la ricorrente pienamente colto la presenza di una seconda ratio -attinge sì quest’ultima, ma, come si è anticipato, sempre con esiti d’inammissibilità.
19.1. Invero, la tesi della ricorrente, secondo la quale la Corte d’appello erroneamente avrebbe ‘sminuito’ la gravità della condotta addebitata al lavoratore, si fonda su un accertamento fattuale diverso da quello operato dai giudici del doppio grado di giudizio di merito (nella specie, identico nei due gradi).
La ricorrente, infatti, propone una propria rivisitazione
delle risultanze processuali circa i giorni oggetto di contestazione disciplinare (cfr. in particolare, pagg. 18-19 del ricorso), e richiama talune delle proprie deduzioni contenute nella memoria di costituzione di primo grado e parte della contestazione disciplinare del 31.12.2021 (cfr. pagg. 20-21 del ricorso).
19.2. Inoltre, la ricorrente critica la singola affermazione della Corte secondo cui ‘nel caso specifico RAGIONE_SOCIALE non solo non ha provato, ma neppure mai contestato, né l’elemento soggettivo doloso, né alcun danno subito’ (cfr. pag. 22 del ricorso). Tuttavia, non considera completamente come i giudici d’appello hanno basato il proprio subordinato ragionamento decisorio.
19.3. Più in particolare, dopo una serie di argomentate considerazioni, la Corte di merito ha osservato: ‘Nella valutazione del disvalore delle condotte ascritte al sig. COGNOME bisogna considerare quindi:
la mancanza di intenzionalità del comportamento, tenuto conto del buon esito di tutti gli incarichi ricevuti;
la scarsa rilevanza degli obblighi violati, tenuto conto del maggior vantaggio ricevuto dall’Azienda, grazie alla disponibilità del lavoratore, nonostante le condizioni e la situazione di emergenza pandemica;
-l’inesistenza di qualunque danno all’Azienda e alla sua organizzazione;
-l’esistenza di circostanze attenuanti, con particolare riguardo al comportamento del lavoratore, privo di precedenti disciplinari nell’ambito del biennio previsto dalla legge’.
19.4. Tutto ciò considerato, ha rilevato la Corte ‘che in realtà non è rinvenibile una sanzione tipizzata nella quale possa essere sussunta la fattispecie in oggetto’, ma ha fatto riferimento all’orientamento di questa Corte di legittimità secondo il quale, in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla l. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, commi 4 e 5, come novellato dalla l. 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali ed elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo, richiamando in tal senso Cass. n. 11665/2022 e n. 20780/2022.
19.5. Orbene, rilevato che tale indirizzo si è ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. n. 13744/2022; n. 13065/2022; n. 13063/2022; n. 10435/2023), la Corte d’appello ha concluso che: ‘considerato anche che le ore che TPER ritiene ‘non lavorate’ non arrivano neppure a 5 ore complessive, si ritiene che l’eventuale sanzione massima applicabile nella specie potrebbe essere la multa di 4 ore della normale retribuzione, sanzione prevista dal CCNL nei casi in cui il lavor atore ritardi nell’inizio del lavoro senza giustificazione; – esegua con negligenza il lavoro affidatogli; – si assenti dal lavoro fino a tre giorni
nell’anno solare senza comprovata giustificazione’.
Conclusivamente, il terzo motivo, da un lato, si basa su una valutazione delle emergenze processuali differente da quella operata dai giudici di merito, dall’altro lato, considera molto parzialmente la seconda ratio decidendi che autonomamente sorregge la soluzione adottata nell’impugnata sentenza.
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del difensore del controricorrente, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge, con distrazione in favore del difensore del controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 9.4.2025.
Il Presidente
NOME COGNOME