Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34543 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 34543 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 11154-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale condizionato-
R.G.N. 11154/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 04/12//2024
PU
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE – ricorrente principale -controricorrente incidentale – avverso la sentenza n. 235/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/03/2023 R.G.N. 1279/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale con assorbimento di quello incidentale condizionato.
FATTO
Con sentenza 6 marzo 2023, la Corte d’appello di Milano ha liquidato le spese del giudizio di primo grado, in favore di NOME COGNOME appellante incidentale, in misura di € 4.200,00 oltre accessori (anziché di € 3.000,00 oltre accessori, come invece dal Tribunale), così parzialmente riformandone la sentenza e rigettando l’appello principale dell’RAGIONE_SOCIALE avverso di essa, di illegittimità del licenziamento intimato con lettera 11 gennaio 2022 dalla seconda alla prima per giusta causa, con la condanna della società datrice alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro ed al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.f.r. dal licenziamento alla reintegrazione effettiva.
Preliminarmente disattesa la violazione dell’art. 7 legge n. 300/1970, per mancato recapito della contestazione disciplinare al proprio indirizzo di residenza né di domicilio, denunciata dalla lavoratrice, siccome smentito dalla
documentazione di controparte, essa ha ritenuto non provato (in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie) ‘l’addebito posto alla base del licenziamento senza preavviso’ : ossia, di avere autorizzato, non avendone titolo e contravvenendo alle disposizioni di legge ed aziendali, l’accesso ai locali dell’istituto a persona esterna sprovvista di certificazione verde Covid-19.
Sicché, la Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado, ‘anche con riferimento alla tutela riconosciuta’ (prevista dall’art. 3, comma 2 d.lgs. 23/2015), ‘non sussistendo la giusta causa del recesso, opera’ ndo ‘la norma di legge applicata’ .
Con atto notificato il 5 maggio 2023, la società ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui la lavoratrice ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato con un unico motivo.
Il P.G. ha comunicato conclusioni scritte nel senso del rigetto del ricorso principale, con assorbimento del condizionato.
Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale l’inutilizzabilità della dichiarazione resa da un terzo estraneo al giudizio sui fatti addebitati alla lavoratrice, prodotta in giudizio dalla società ricorrente, nonostante il tenore delle dichiarazioni dei testimoni escussi nel giudizio di primo grado.
Esso è inammissibile.
Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’, sussistente nel caso di specie e prevista (già dall’art. 348 ter , comma 5 c.p.c. ed ora,
per i giudizi introdotti con ricorsi notificati dal 1° gennaio 2023, a norma dell’art. 35, comma 5 d.lg. 149/2022 come sostituito dall’art. 1, comma 380, lett. a ) legge n. 197/2022) dall’art. 360, comma 4, applicabile ratione temporis , il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994; Cass. 13 aprile 2021, n. 9656); ma ciò la ricorrente non ha fatto.
Con il secondo motivo, essa ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2 d.lgs. 23/2015, per non corretta applicazione della tutela reale, sull’erronea equiparazione dell’asserita inesistenza della giusta causa (per mancato assolvimen to dell’onere probatorio datoriale) al requisito prescritto dalla norma denunciata, di diretta dimostrazione in giudizio dell’insussistenza del fatto materiale contestato, con estraneità di ogni valutazione di sproporzione del licenziamento, dovendo la prova di insussistenza essere non meramente indiziaria, ma piena ed essere a carico del lavoratore, continuando quella di legittimità del licenziamento a gravare sul datore di lavoro.
Esso è infondato.
Occorre premettere che, ai fini della pronuncia di cui all’art.
3, comma 2 d.lgs. 23/2015, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione in ordine alla sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare (Cass. 8 maggio 2019, n. 12174).
Ed infatti, in base ai principi di diritto affermati da questa Corte in relazione alla novella apportata dalla legge n. 92/2012 all’art. 18 Legge n. 300/1970, applicabili tout court anche all’art. 3, comma 2 d.lgs. 23/2015, la tutela reintegratoria c.d. attenuata si applica non solo nel caso in cui il fatto non sia dimostrato nella sua materialità, ma altresì nel caso in cui il fatto, pur sussistente nella sua materialità, sia privo di quella connotazione di illiceità, offensività o antigiuridicità tale e necessaria da renderne apprezzabile la rilevanza disciplinare (Cass. 2 novembre 2023, n. 30469, in motivazione sub lett. A).
6.1. Preliminarmente rilevata la palese contraddittorietà, oltre che erroneità in diritto, dell’affermata esistenza di un onere probatorio datoriale di legittimità del licenziamento, ma non di insussistenza del fatto materiale contestato (che ovviamente esclude la legittimità del licenziamento, nell’onere appunto datoriale), nel caso di specie, la Corte d’appello ha correttamente applicato il regime di ripartizione dell’onere della prova, a carico datoriale e nettamente escluso il suo adempimento ( ‘tale one re non può dirsi assolto’ : così al primo capoverso di pg. 6 della sentenza), in esito ad argomentato scrutinio delle risultanze istruttorie (dal secondo al sesto capoverso di pg. 6 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità.
Con il terzo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per inosservanza del principio di non contestazione e delle regole relative all’onere probatorio, tenuto conto della mancata offerta di giustificazioni dalla lavoratrice nel procedimento disciplinare, del tenore delle allegazioni del ricorso introduttivo della lavoratrice e del mancato disconoscimento o contestazione della documentazione prodotta dalla società ricorrente, decisiva in ordine alla legittimità del recesso.
Esso è inammissibile.
Non si configurano le violazioni di legge solo formalmente denunciate, non ricorrendo error in iudicando in relazione: né all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395); né all’art. 115 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. S.U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016; Cass. 17 maggio 2023, n. 13518).
9.1. La censura si risolve, nella sostanza, nella diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e della ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), esclusivamente spettanti al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e
adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione.
10. Pertanto il ricorso principale deve essere rigettato, con assorbimento dell’unico motivo di ricorso incidentale condizionato della lavoratrice controricorrente (violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3, comma 2 d.lgs. 23/2015 e 9 ter. 2, comma 3 d.l. 52/2021, conv. dalla legge n. 87/2021, per non avere la Corte d’appello ritenuto disciplinarmente irrilevante l’addebito contestato alla lavoratrice di aver ‘unilateralmente e deliberatamente autorizzato -peraltro senza averne titolo -l’accesso ai locali dell’Istituto’ a persona esterna sprovvista di certificazione COVID-19 -ossia di una formale autorizzazione all’ingresso -e non di una condotta fattuale volta a superare con la forza il diniego opposto dalla dipendente di Gecom, titolare del potere di verifica delle certificazioni; con la conseguente irrilevanza disciplinare di un’eventuale autorizzazione da soggetto privo del relativo potere) e regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.
Al rigetto del ricorso segue altresì il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto, nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato; condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 4 dicembre 2024