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Licenziamento giusta causa: onere della prova datoriale

La Corte di Cassazione conferma l’annullamento di un licenziamento per giusta causa per ‘radicale insussistenza dei fatti’ contestati a un addetto alla cassa. L’ordinanza ribadisce che il giudizio di legittimità non può rivalutare le prove e precisa l’onere del datore di lavoro di allegare circostanze specifiche per la riduzione del risarcimento del danno (cd. aliunde perceptum). La mancanza di prove solide e di contestazioni precise rende illegittimo il recesso e comporta la reintegrazione del lavoratore.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento per Giusta Causa: Quando la Prova Manca, il Lavoratore Va Reintegrato

Il licenziamento per giusta causa rappresenta la più grave sanzione espulsiva nel rapporto di lavoro, attivabile solo in presenza di fatti di gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario. Ma cosa succede se le accuse mosse al dipendente si rivelano infondate? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, offre chiarimenti cruciali sui limiti del potere del datore di lavoro e sul rigoroso onere della prova che su di esso incombe.

Il caso esaminato riguarda un addetto alla cassa di una grande azienda della distribuzione, licenziato sulla base di tre distinti episodi di presunta appropriazione indebita e omissione di scontrini. La Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano annullato il licenziamento per “radicale insussistenza dei fatti”, ordinando la reintegra del lavoratore.

I Fatti alla Base del Licenziamento Disciplinare

Al lavoratore erano state contestate tre diverse condotte, avvenute in giorni differenti:
1. Primo episodio: Presunta appropriazione di poche monetine ricevute da un cliente per l’acquisto di una busta, senza emettere il relativo scontrino.
2. Secondo episodio: In un altro giorno, il lavoratore avrebbe prelevato monete dalla cassa in un paio di occasioni e omesso di emettere scontrini per altrettante transazioni. La contestazione, tuttavia, era generica e non specificava gli orari precisi.
3. Terzo episodio: La lamentela di un cliente che sosteneva di aver ricevuto un resto inferiore di 90 euro rispetto a quanto dovuto.

Sulla base di queste accuse, l’azienda aveva proceduto con il licenziamento per giusta causa.

La Valutazione dei Giudici di Merito: l’Insussistenza dei Fatti

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha proceduto a una meticolosa rianalisi delle prove, inclusi i filmati di videosorveglianza. L’esito è stato un completo ribaltamento della prospettiva aziendale:

– Per il primo episodio, i giudici hanno accertato unicamente la mancata emissione dello scontrino per la busta, escludendo qualsiasi appropriazione di denaro.
– Per il secondo, la genericità della contestazione e la confusione delle prove testimoniali e video non hanno permesso di ritenere provate le condotte illecite.
– Per il terzo, la Corte ha ritenuto la versione del cliente illogica e ha stabilito che il rimborso effettuato dall’azienda era frutto di una scelta commerciale, non della prova di una condotta fraudolenta del dipendente.

La conclusione della Corte territoriale è stata netta: una “radicale insussistenza dei fatti contestati”, tale da giustificare l’applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

L’Analisi della Cassazione sul licenziamento per giusta causa

L’azienda ha impugnato la decisione in Cassazione, basando il proprio ricorso principalmente su un presunto “travisamento della prova” da parte dei giudici d’appello.

L’Inammissibilità delle Censure sulla Valutazione delle Prove

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso relativi alla valutazione dei fatti. Ha ribadito un principio cardine del nostro ordinamento: la Corte di Cassazione è giudice di legittimità, non di merito. Ciò significa che non può riesaminare le prove e sostituire la propria valutazione a quella del giudice d’appello. I ricorsi dell’azienda, di fatto, chiedevano una nuova e diversa lettura dei filmati e delle testimonianze, un’operazione preclusa in sede di legittimità. Il cosiddetto “travisamento della prova” può essere censurato solo quando il giudice di merito abbia affermato che un documento o una testimonianza dicono una cosa che palesemente non dicono (errore di percezione), non quando ne dà un’interpretazione che la parte non condivide (errore di valutazione).

L’Onere della Prova per la Riduzione del Risarcimento

Un altro motivo di ricorso riguardava il mancato accoglimento della richiesta di detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore quanto da lui eventualmente percepito o percepibile (aliunde perceptum e percipiendum) nel periodo successivo al licenziamento. Anche su questo punto, la Cassazione ha dato torto all’azienda, chiarendo che il datore di lavoro non può limitarsi a una richiesta generica. È suo onere allegare circostanze di fatto specifiche e concrete, relative alla situazione del mercato del lavoro e alla professionalità del dipendente, dalle quali sia possibile desumere, anche in via presuntiva, che il lavoratore abbia trovato o avrebbe potuto trovare un’altra occupazione. Una richiesta di esibizione di documenti generica e con finalità meramente esplorative è, pertanto, inammissibile.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda confermando integralmente la sentenza d’appello. Le motivazioni si fondano su due pilastri. In primo luogo, l’inammissibilità di una rivalutazione dei fatti in sede di legittimità: l’accertamento di come si sono svolti gli eventi è di competenza esclusiva dei giudici di merito, e la loro ricostruzione, se logicamente motivata, non è sindacabile. In secondo luogo, il rigetto della domanda relativa all’aliunde perceptum è stato motivato dal mancato assolvimento, da parte del datore di lavoro, del proprio onere di allegazione specifica. Il datore non si è limitato a chiedere la prova, ma non ha prima fornito al giudice gli elementi di fatto su cui basare tale richiesta, rendendola puramente esplorativa.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. Per i datori di lavoro, emerge la necessità di fondare un licenziamento per giusta causa su prove solide, precise e inequivocabili. Le contestazioni disciplinari devono essere dettagliate e non generiche, per permettere al lavoratore un’adeguata difesa. Per i lavoratori, la decisione rafforza il principio secondo cui, in assenza di prove concrete, un licenziamento basato su accuse gravi deve essere annullato, con applicazione della massima tutela prevista dalla legge, ovvero la reintegrazione nel posto di lavoro.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove, come video e testimonianze, in un caso di licenziamento?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non di merito. Non può effettuare una nuova valutazione delle prove, ma solo verificare che il giudice di grado inferiore abbia applicato correttamente la legge e abbia motivato la sua decisione in modo logico e non contraddittorio.

Cosa accade se un datore di lavoro licenzia un dipendente per diverse accuse e solo una, molto lieve, viene provata?
Se la condotta provata è così lieve da essere punita dal contratto collettivo con una sanzione conservativa (come una multa o una sospensione), il licenziamento è illegittimo. In questo caso, come stabilito per l’episodio della mancata emissione di scontrino, il giudice può disporre la tutela reintegratoria, poiché il fatto non è così grave da giustificare la perdita del posto.

Cosa deve fare un datore di lavoro per ottenere una riduzione del risarcimento dovuto al lavoratore illegittimamente licenziato?
Il datore di lavoro ha l’onere di allegare, cioè di indicare, circostanze fattuali specifiche che facciano presumere che il lavoratore abbia percepito altri redditi (aliunde perceptum) o che, per negligenza, non abbia cercato una nuova occupazione (aliunde percipiendum). Non è sufficiente una richiesta generica di esibizione di documenti fiscali, ma è necessario fornire elementi concreti al giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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