Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15370 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15370 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17845-2021 proposto da:
NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME CORTE, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N.17845/2021
COGNOME
Rep.
Ud.27/02/2025
CC
avverso la sentenza n. 377/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 18/12/2020 R.G.N. 719/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato da RAGIONE_SOCIALE ad NOME COGNOME sulla base di contestazione che ascriveva alla lavoratrice una serie di irregolarità nella compilazione delle note delle spese delle quali la COGNOME aveva chiesto il rimborso. Tali irregolarità consistevano: a) nell’avere la COGNOME inserito in tali note spese importi per costi del telepass personale per tragitti (essenzialmente casa/lavoro) estranei al percorso tra gli stabilimenti della società ed inoltre, in alcune occasioni, in relazione a giornate non lavorate; b) nell’avere chiesto, nonostante il diverso accordo tra le parti, rimborsi chilometrici, anche mediante duplicazione di richieste ovvero dichiarazioni di trasferte/tragitti mai percorsi, per oltre 9.000,00 euro, somma diversa e superiore a quella concordata pari a complessivi 2.400,00 euro annuali.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha depositato controricorso illustrato con memoria.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 300/1970 nonché degli artt. 1375, 2106, e 2119 c.c. censurando la sentenza impugnata in relazione alla ritenuta tempestività della
contestazione disciplinare; si duole della mancata considerazione dell’epoca in cui il datore di lavoro era venuto a conoscenza dei fatti addebitati e sostiene in particolare che, quanto al superamento del tetto di spesa, la datrice di lavoro avrebbe dovuto esserne venuta a conoscenza già al 31 dicembre 2013 di talché la contestazione del 31.7.2013 si appalesava come tardiva.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1455, 2104, 2106, 2119 c.c. e dell’art. 51 b) c.c.n.l. applicabile, derivante dal vizio di sussunzione della fattispecie concreta nella clausola generale della ‘giusta causa’ in riferimento a rapporti di lavoro a tempo determinato; censura la sentenza impugnata in relazione alla valutazione di gravità dell’inadempimento e di proporzionalità della sanzione espulsiva; denunzia infatti l’omesso rilievo della scarsa intensità dell’eleme nto soggettivo ed in particolare della buona fede della lavoratrice stante il legittimo affidamento riposto dalla stessa nella correttezza del proprio operato per il sostanziale difetto di iniziale contestazione da parte della società delle note spese presentate.
Con il terzo motivo deduce nullità della sentenza di appello per motivazione assente o meramente apparente in riferimento alla interpretazione del contenuto della specifica clausola del contratto individuale, ai sensi degli artt. 1362, 1366, 1368 e 1369 c.c. .
Con il quarto motivo deduce nullità della sentenza di appello per motivazione assente o meramente apparente in riferimento alla valutazione dell’intensità dell’elemento volitivo della condotta della lavoratrice come, viceversa, necessario ai
fini della valutazione della gravità della violazione del vincolo fiduciario e del giudizio di proporzionalità in relazione all’applicazione egli artt. 1455, 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c. .
Il primo motivo di ricorso è infondato.
5.1. La sentenza impugnata, richiamati i consolidati principi in tema di carattere relativo del principio di immediatezza della contestazione, in particolare con riferimento al momento della piena cognizione da parte del datore di lavoro della condotta disciplinarmente rilevante, ha ritenuto tempestiva la iniziativa datoriale sulla base di articolata ricostruzione della concreta fattispecie, alla luce delle circostanze a tal fine rilevanti, in particolare evidenziando come solo dal giugno 2013, a distanza di un anno dall’accordo concluso tra le parti, era plausibile porre il problema della verifica della correttezza dei rimborsi richiesti dalla dipendente, ulteriormente evidenziando che non era stata efficacemente dedotta la presenza di controlli amministrativi non formali in sede di liquidazione e pagamento dei rimborsi. Sulla scorta di tale accertamento, che non è oggi più suscettibile di essere rivisitato, stante la preclusione da <> ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. nel testo ratione temporis vigente, la Corte di merito ha concluso per la tempestività della contestazione, con valutazione ad essa esclusivamente riservata, coerente con gli enunciati principi giurisprudenziali in tema di verifica di tempestività della contestazione e di carattere relativo del relativo requisito.
5.3. Come ripetutamente chiarito dal giudice di legittimità, l’apprezzamento delle concrete circostanze alla stregua delle quali ritenere rispettato il requisito della immediatezza della contestazione, che per costante giurisprudenza di questa Corte
deve essere inteso in senso relativo (v. tra le altre, Cass. n. 16841/2018, Cass. n. 1248/2016, Cass. n. 281/2016, Cass. n. 13955/2014, Cass. n. 20719/2013), costituisce frutto di accertamento di fatto, riservato al giudice di merito (Cass. n. 16841/2018 cit., Cass. n. 281/2016 cit., Cass. n. 20719/2013 cit.), astrattamente incrinabile solo dalla deduzione di vizio di motivazione e quindi, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.c., di denunzia di omesso esame di fatto controverso e decisivo oggetto di discussione tra le parti ( ex plurimis , Cass. Sez. Un. n. 8053/2014), nello specifico tuttavia preclusa da ‘ doppia conforme’ ai sensi dell’art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ. nel teso all’epoca vigente. Invero, secondo l’orientamento già espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/ 2019, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014), come in concreto non avvenuto.
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto le censure articolate, pur formalmente veicolate attraverso la deduzione di violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratto collettivo, tendono in realtà a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di concrete circostanze già esaminate e considerate dal giudice di merito nel ritenere integrata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, la sussistenza della giusta causa di licenziamento; in questi termini sollecitano un sindacato estraneo al giudice di legittimità, secondo quanto già sopra osservato ( v. paragrafo 5.3.). Infine, la denunzia di
vizio di sussunzione risulta inammissibile in quanto prospettata non con riferimento al rapporto tra la norma applicabile e la concreta fattispecie quale ricostruita dal giudice di merito, come corretto (Cass. n. 19651/2024, Cass. n. 6035/2018), ma sulla base di diversa ricostruzione fattuale incentrata in particolare sull’asserita sussistenza della buona fede della COGNOME nel formulare le richieste di rimborso alle quali ha fatto seguito il procedimento disciplinare.
7. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
7.1. La sentenza impugnata, riprodotto nelle parti di pertinenza il contenuto dell’accordo relativo ai chilometri rimborsabili su base annua (sentenza, pag. 15, primo cpv.), ha ritenuto priva di riscontro anche alla luce delle emergenze di causa la censur a incentrata sull’assunto che l’accordo presupponeva un ben diverso e ridotto impegno sulla percorrenza (sentenza, pagg. 17 e sgg.), così come l’assunto che la clausola non si riferiva all’anno civile ma al periodo intercorrente tra il maggio e dicembre 2012 (sentenza, pag. 15). La Corte di merito, nei limiti del devoluto, ha quindi mostrato di valorizzare il tenore testuale dell’accordo evidenziando la implausibilità e comunque l’assenza di riscontri alla interpretazione sostenuta dalla odierna ricorrente. Non sussiste la denunziata apparenza di motivazione in quanto le argomentazioni del giudice di secondo grado consentono la piena comprensione, anche nei relativi presupposti fattuali, del percorso logico giuridico alla base della decisione. In concorrente profilo, convergente nel senso della infondatezza del motivo, deve evidenziarsi che il risultato ermeneutico attinto dalla Corte poteva essere inficiato solo dalla corretta deduzione di violazione della regole legali ermeneutiche e di vizio di motivazione sotto il
profilo della incongruità e illogicità dell’interpretazione alla base del decisum mentre nello specifico le censure articolate si sostanziano in una mera contrapposizione valutativa alle conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza impugnata nell’interpretazione dell’accordo inter partes , contrapposizione intrinsecamente inidonea alla valida censura della decisione .
7.2. Come noto, l’interpretazione contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione. In questa prospettiva è stato, infatti, puntualizzato che ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato mentre la denuncia del vizio di motivazione dev’essere, invece, effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché
quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra ( Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione; Cass. n. 4178/2007 ) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. n. 14318/2913, Cass. n. 23635/2010.
8. Il quarto motivo di ricorso è da respingere in quanto pur formalmente veicolato sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norma di diritto e di ‘error in procedendo’ (per apparenza di motivazione) si sostanzia nella richiesta di un diverso apprezzamento di elementi destinati a circostanziare in concreto la condotta della dipendente. A riguardo deve innanzitutto escludersi la apparenza di motivazione posto che il percorso della Corte di merito nei suoi presupposti fattuali e nello sviluppo giuridico è ampiamente percepibile, avendo in particolare il giudice di merito valorizzato il carattere sistematico delle condotte integranti violazione di regole basilari per il corretto svolgimento di un rapporto lavorativo, la posizione di quadro della Trevisan e, sotto il profilo soggettivo, il fatto che le concrete emergenze escludevano la possibilità di un affidamento della lavoratrice sulla spettanza dei rimborsi richiesti. Le ulteriori ragioni di doglianza sono inammissibili in quanto le critiche formulate tendono a contrastare la valutazione di proporzionalità del licenziamento sotto il profilo della mancata considerazione di alcune circostanze di fatto che, si sostiene, avrebbero condotto ad escludere l’applicabilità della sanzione es pulsiva. In altri termini, ciò che viene in concreto criticato è l’apprezzamento di
fatto delle circostanze del caso concreto ai fini del giudizio di proporzionalità, censurabile in sede di legittimità solo ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (v. tra le altre, Cass. n. 8293/ 2012, Cass. n. 21965/2007) e quindi, trovando applicazione, ratione temporis , il testo attualmente vigente dell’art. 360 comma primo, n. 5 cod. proc. civ., solo mediante la denunzia dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, oggetto di discussione tra le parti, neppure formalmente dedotta e comunque preclusa dalla esistenza di <> ai sensi dell’art. 348, ter, ultimo comma cod. proc. civ., non avendo parte ricorrente dimostrato che le ragioni di fatto alla base della sentenza di primo grado e quelle alla base della sentenza di appello erano fra loro diverse, come prescritto (Cass. n. 28492 del 2018, Cass. n. 7426 del 2018, Cass. n. 25144 del 2010, Cass. n. 7838 del 2005).
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, 27 febbraio 2025