Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23318 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23318 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23632-2023 proposto da:
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 896/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/10/2023 R.G.N. 793/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME
CASO.
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
R.G.N.23632/2023
COGNOME
Rep.
Ud13/05/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 2269/2023 che aveva respinto l’opposizione della COGNOME all’ordinanza dello ste sso Tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, pure aveva rigettato la sua impugnativa del provvedimento di destituzione/licenziamento a lei intimato dalla A.T.M. s.p.a. in data 21.5.2018.
Per quanto qui interessa, dopo aver dato estesamente conto di quanto considerato dal primo giudice in relazione a quanto dedotto dalla lavoratrice, la Corte riferiva in dettaglio i dodici motivi di reclamo di quest’ultima e respingeva anzitutto il primo con il quale la stessa deduceva la ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 53, allegato A), r.d. 148/1931, nonché ingiustizia della decisione, anche in relazione all’art. 112 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto irrilevante l’eventuale assenza della relazione di servizio ivi prescritta e per aver assorbito le contestazioni e istanze relative alla genuinità del doc. 134 prodotto da ATM’.
La Corte, altresì, reputava infondato il secondo motivo di reclamo, con il quale si contestava il capo della sentenza che aveva evidenziato la pretestuosità dell’eccezione della Polito secondo cui non le sarebbe stato messo a disposizione l’intero contenuto della sua casella di posta elettronica nel corso del procedimento disciplinare; e disattendeva l’ulteriore censura relativa alla mancata ammissione di una CTU informatica.
Giudicava infondate anche le censure in cui la reclamante aveva lamentato che la sentenza di primo grado
fosse carente della motivazione in quanto si sarebbe limitata a ripetere quanto già rilevato nell’ordinanza della fase sommaria.
La Corte, quindi, accertava la sussistenza del primo addebito disciplinare, inerente l’omessa contabilizzazione di cui alla prima contestazione disciplinare, già ritenuta dal Tribunale sufficiente a giustificare la destituzione; e riteneva il secondo addebito (confermato nella sua sussistenza materiale) sintomatico dell’agire della reclamante che, al fine di non farsi scoprire in sede ispettiva, aveva incaricato una sua sottoposta di provvedere nascostamente a contabilizzare con un giorno di ritardo le somme di denaro dalla stessa detenuta in palese violazione delle regole aziendali che imponevano di provvedere alla registrazione dei pagamenti in contanti entro la giornata lavorativa.
Inoltre, disattendeva anche il motivo con il quale la reclamante aveva censurato il capo della sentenza che aveva ritenuto sussistente l’addebito inerente alla culpa in vigilando ; condotta che il Tribunale aveva reputato che, singolarmente considerata, fosse in grado di giustificare la sanzione espulsiva.
Respingeva ancora il quarto motivo, a mezzo del quale la reclamante censurava la sentenza di primo grado per aver ritenuto legittima la destituzione dal servizio, nonostante l’assenza di condotte contestate, riconducibili alla casistica per cui il r.d. prevede la sanzione espulsiva (art. 45), e l’omessa individuazione da parte di ATM della ‘mancanza più grave’, sanzionabile nel regime del cumulo (previsto dall’art. 48), e per aver anzi provveduto la sentenza ad individuare arbitrariamente la ‘mancanza più grave’, ingiustamente ricondotta all’ipotesi,
mai contestata e mai invocata da ATM, della ‘indegnità alla pubblica stima’.
Tutto ciò considerato, la Corte riteneva: a) che ciascuno degli addebiti in precedenza esaminati appariva disciplinarmente rilevante e di gravità tale da giustificare la destituzione dal servizio della reclamante, integrando gli estremi della ‘giusta causa’ di licenziamento, trattandosi di condotte che rivestivano il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare quello fiduciario, idonee a minare l’affidamento che il datore di lavoro deve poter riporre sulla futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa; b) che non rilevava, perciò, che le condotte gravemente inadempienti non risultassero esattamente tipizzate dall’art. 48 r.d., in quanto trattavasi di un elenco esemplificativo, essendo invece rilevante che le condotte contestate integrassero la nozione legale di giusta causa; c) che in ogni caso non v’era dubbio che le condotte esaminate potessero farsi rientrare in tale elenco, tenuto conto che la mancata contabilizzazione e l’omessa vigilanza, che avevano causato grave pregiudizio economico all’azienda, potevano essere sussunte in varie casistiche contemplate dal cit. art. 45 e, in particolare, alle ipotesi tipizzate sub nn. 4, 5, 8 e 9.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Ha resistito l’intimata con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la ricorrente denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 ss. c.c., 214 e 222 ss. c.p.c., in relazione all’art. 53, allegato A) r.d. 148/1931, per avere la sentenza impugnata ritenuto che in mancanza di querela di falso non potesse mettersi in discussione la genuinità del doc. 134 avversario (qui doc. 10), copia informatica asseritamente costituente la relazione di servizio prescritta dalla legge e dalla cui omissione derivava la nullità del procedimento disciplinare, il cui contenuto era stato tempestivamente ed espressamente contestato dalla ricorrente’.
Con un secondo motivo, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., deduce ‘omesso esame di fatti decisivi, per avere affermato l’esistenza di fatti (processuali e sostanziali) la cui inesistenza risulta dagli atti di causa, quali il fatto che RAGIONE_SOCIALE (non) avesse affatto offerto di produrre l’originale della relazione di servizio ex art. 53, all. A, r.d. 148/1931, e che la ricorrente (non) avesse investito della vicenda disciplinare il Consiglio di disciplina di cui al r.d. 148/1931, contrariamente a quanto si leg ge sorprendentemente nella sentenza impugnata’.
Con un terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., denuncia: ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 53, allegato A), r.d. 148/1931, per avere la sentenza impugnata ritenuto che l’inesistenza della relazione di servizio ivi prescritta non inf ici la legittimità del procedimento disciplinare’.
Con un quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., denuncia: ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 42 -45 e 48, all. A del r.d. 148/1931, per avere la sentenza impugnata
ritenuto gli addebiti mossi alla ricorrente sanzionabili con la destituzione dal servizio, sebbene esulanti dalla casistica per cui è prevista tale sanzione espulsiva (art. 45) e rientranti piuttosto in quella per cui sono applicabili sanzioni conservative (artt. 4244)’.
Con un quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., denuncia: ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 51 ss., e falsa applicazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c. al giudizio di secondo grado, per avere la sentenza impugnata ritenuto congruamente motivata la sentenza di primo grado resa mediante mero rinvio testuale alle motivazioni di cui all’ordinanza della fase sommaria e senza dare luogo a ulteriore istruttoria sulle nuove circostanze dedotte’.
Possono essere congiuntamente esaminati i primi tre motivi, che, sebbene siano in parte basati su mezzi di ricorso diversi (quello di cui al n. 3) dell’art. 360, comma primo, c.p.c., il primo ed il terzo, e quello di cui al n. 5) del medesimo comma, il secondo motivo), sono tutti riferiti a questioni relative alla relazione prevista dall’art. 53, comma terzo, del Regolamento di cui all’All. A) al r.d. n. 148/1931.
Ebbene, con precipuo riferimento al primo motivo di ricorso, esso non è del tutto aderente alla ratio decidendi della Corte di merito, la quale -diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente non ha seccamente ‘ritenuto che in mancanza di querela di falso non potesse mettersi in discussione la genuinità del doc. 134 avversario’.
7.1. Piuttosto, la Corte ha considerato anzitutto che ‘ATM ha prodotto sub doc. 134 la predetta relazione, offrendone in produzione l’originale’.
Quindi, in relazione al documento prodotto in copia, sulla scorta di precedenti di legittimità, ha ritenuto che nella specie fosse ammissibile, e non necessaria, la querela di falso (cfr. pag. 35 della sua sentenza).
Ha, poi, osservato che: .
7.2. E’ pertanto evidente che i giudici di secondo grado non hanno annesso valore dirimente al dato che la lavoratrice non avesse formulato querela di falso in ordine al documento prodotto in copia dalla datrice di lavoro, tanto che, pur in assenza di tale apposita querela, hanno comunque affermato la genuinità del documento in questione, desumendone l’esistenza in originale in base ad altre fonti di prova documentale.
In relazione al secondo motivo, che fa esclusivo riferimento al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., occorre ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto
argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dal quinto comma dell’articolo 348 -ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indic are le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
La ricorrente sostiene che, ‘sebbene la sentenza d’appello abbia in generale confermato le conclusioni raggiunte nella decisione di primo grado, sulla questione specifica inerente al rilievo del doc. 134 avversario le due decisioni si fondano su ragioni ben diverse, avendo il primo Giudice deciso nel senso della irrilevanza dell’eventuale omissione della relazione di servizio (assorbendo quindi le contestazioni circa la genuinità del documento), mentre il giudice di secondo grado ha, per la prima volta, ritenuto erroneamente che del documento fosse stato offerto in produzione l’originale, mentre l’investitura del Consiglio di disciplina è frutto autonomo della fantasia della Corte d’appello, non essendosi il primo Giudice avventurato nella ricerca (per non dire nella creazione) di elementi fattuali del tutto inesistenti’ (così a pag. 14 del ricorso).
Tali deduzioni, tuttavia, difettano anzitutto di autosufficienza, perché in ricorso non si trascrivono, né si richiamano in modo puntuale, i passi della decisione di primo grado dai quali si dovrebbe trarre che il Tribunale, nella
sentenza resa in sede d’opposizione, si era espresso nel senso dalla ricorrente sostenuto.
Erra, inoltre, la stessa nel sostenere che ‘il giudice di secondo grado ha, per la prima volta, ritenuto erroneamente che del documento fosse stato offerto in produzione l’originale’, in quanto, come si è visto nell’esaminare il primo motivo, la Corte ha piuttosto ritenuto che la relazione sub doc. 134 fosse stata prodotta in copia (rispetto alla quale sarebbe stata ammissibile querela di falso di fatto non proposta), ma che la datrice di lavoro si era offerta di produrne l’originale.
Tanto considerato, rileva ancora il Collegio che la Corte distrettuale aveva premesso quello che il Tribunale aveva osservato circa tale relazione (cfr. pag. 3 della sua sentenza) ed aveva, altresì, diffusamente riferito il contenuto del primo motivo di reclamo della lavoratrice (cfr. pagg. 17-19 della stessa sentenza); motivo che ha poi esaminato e integralmente respinto (cfr. pagg. 35-37). Ed entrambe le decisioni di primo e secondo grado finiscono col concludere a riguardo che alla lavoratrice era stato comunque assicurato di poter prendere visione degli allegati alla relazione.
11.1. In definitiva, la Corte d’appello ha solo aggiunto argomenti ulteriori per giungere alla medesima conclusione cui era pervenuto il Tribunale, sicché ricorre la preclusione di cui sopra in caso di c.d. doppia conforme.
Soggiunge il Collegio che, con la recente sentenza n. 5792 del 2024, le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che ‘ Il travisamento del contenuto oggettivo della prova -che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione
probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre -se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti -il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4 o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale ‘.
12.1. Orbene, la formulazione del secondo motivo, per come in precedenza esposta dalla stessa ricorrente, riproduce in realtà lo schema dell’errore di fatto revocatorio di cui all’art. 395 n. 4) c.p.c.; il che pure porta all’inammissibilità di tale censura.
Il terzo motivo, poi, attinge una parte di motivazione in cui la Corte d’appello ha osservato che: ‘L’eventuale assenza della relazione in contestazione non inficia la legittimità della procedura disciplinare come delineata dall’art. 53, …’ (v. in extenso terzo cpv. a pag. 37 della sua sentenza).
Ebbene, osserva il Collegio che la parte in questione integra una mera argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam dalla Corte; il che rende ex se inammissibile il motivo ora in esame, secondo un consolidato orientamento di questa Corte di legittimità (cfr. ex plurimis Cass. n. 18429/2022; n. 9474/2022; n. 7995/2022; n. 23885/2021; Sez. un. n. 23418/2020; n. 9298/2020; n. 8676/2009).
14.1. Come s’è visto nell’esaminare il primo motivo e il secondo motivo di ricorso, la Corte in precedenza aveva concluso: che la copia della relazione prodotta in giudizio fosse
genuina; che la relazione in originale esistesse, in base ad una serie di considerazioni, e che la lavoratrice fosse stata posta in grado di prendere visione degli atti allegati alla stessa (cfr. pagg. 36-37 della sua sentenza). E nel successivo passaggio motivazionale censurato dalla ricorrente nel terzo motivo la Corte, infatti, dà solo per ‘eventuale’ l’assenza della stessa relazione.
Il quarto motivo è complessivamente infondato, presentando taluni profili d’inammissibilità.
La ricorrente, tra l’altro, sottolinea che ‘RAGIONE_SOCIALE non ha mai ritenuto di formulare accuse di sottrazione e/o di appropriazione indebita’.
16.1. Non considera la ricorrente che la Corte a riguardo aveva giudicato ‘irrilevante … che nella lettera di contestazione la lavoratrice non fosse stata espressamente accusata di essersi appropriata delle somme di denaro, atteso che la gravità della cond otta risiedeva comunque a monte, ossia nell’aver posto in essere (o quantomeno avallato) una prassi che, rendendo poco agevole all’azienda ricostruire le operazioni di approvvigionamento del Point Centrale, abbia di fatto reso possibili (se non anche agevolato) le eventuali azioni di appropriazione indebita delle somme di denaro di dipendenti o terzi. Tale conseguenza deriva logicamente dalle mancate corrette contabilizzazioni nel sistema operativo di ATM’ (così a pag. 45 dell’impugnata sentenza).
Assume ancora la ricorrente che: (così a pag. 19 del ricorso).
17.1. Ma anche queste deduzioni non collimano assolutamente con l’accertamento operato dalla Corte distrettuale che -anche limitatamente ai principali addebiti su cui si è soffermata -ha constatato ben più che mere ‘irregolarità’.
Tanto rilevato, inesatto è l’assunto della ricorrente, secondo il quale ‘La sanzione espulsiva è riservata, a mente dell’art. 45, a fattispecie in cui emerga una condotta dolosamente preordinata al conseguimento di un illecito vantaggio (per sé o per a ltri)’. È sufficiente, infatti, una attenta lettura di tale articolo per avvedersi che in esso sono punite con la ‘destituzione’ una serie di ipotesi per le quali non è previsto alcun dolo (cfr. nn. 12, 14) o comunque il dolo specifico intravisto dalla ricorrente quale connotato comune delle condotte considerate nello stesso art. 45
Ma soprattutto è assertivo, oltre che non corrispondente all’accertamento fattuale dei giudici di merito, l’assunto che: ‘Nella molteplicità di contestazioni che ATM ha elevato nei confronti della ricorrente, non ve n’è una che superi la soglia di grav ità stabilita dall’art. 45 r.d. 148/1931 per l’applicazione del provvedimento della destituzione del servizio, esaurendosi l’impianto disciplinare costruito da ATM sul diverso
piano della negligenza, per la quale il r.d. prevede sanzioni conservative, sia pure assai incisive’.
19.1. Pervero, la Corte territoriale ha anzitutto accertato ‘la sussistenza del primo addebito inerente alla omessa contabilizzazione di cui alla prima contestazione disciplinare’ (cfr. pagg. 41-44 della sentenza).
Ma ha anche accertato un’ulteriore e connessa condotta di natura all’evidenza dolosa. Ha, infatti, osservato che: ‘… il secondo addebito (confermato nella sua sussistenza materiale) è sintomatico dell’agire della reclamante che, al fine di non farsi scoprire in sede ispettiva, ha incaricato la sua sottoposta di provvedere nascostamente a contabilizzare con un giorno di ritardo le somme di denaro dalla stessa detenute in palese violazione delle regole aziendali che imponevano di provvedere alla registrazione dei pagamenti in contanti entro la giornata lavorativa’ (v. in extenso pagg. 44-45).
Ha, altresì, confermato la sussistenza dell’ ‘addebito inerente alla culpa in vigilando ‘, osservando conclusivamente che questa Suprema Corte ha stabilito che l’art. 45, r.d. n. 148/31, ai sensi del quale il lavoratore può essere destituito se consapevolmente si appropri o contribuisca che altri si approprino di beni dell’azienda, sia applic abile anche in caso di omessa vigilanza e denuncia da parte del responsabile circa gli ammanchi, dovuti alla condotta fraudolenta di altri lavoratori, non richiedendo un concorso doloso nella commissione del fatto (Cass., 10-22015, n. 2552)’ (v. in extenso pag. 45-47 della sentenza).
19.2. Quando, successivamente, la Corte di merito ha esaminato e disatteso il quarto motivo di reclamo, analogo al
motivo di ricorso ora in esame (cfr. pagg. 21-23 e 48 della sentenza), ha ribadito, tra l’altro che: ‘ … l’aver imposto e mantenuto una prassi generalizzata non standardizzata che non lasciasse tracce dei movimenti di denaro né del trasferimento dei biglietti, predisponendo le condizioni per rendere irrintracciabili le operazioni ed occultare i versamenti in denaro non può essere sussunta in una mera condotta colposa e negligente, in quanto è evidente (tanto più ad un funzionario responsabile) che la mancata contabilizzazione rende impossibile all’azienda l’esatta ricostruzione dei movimenti di denaro tanto più se non rimane traccia -in assenza di bolle di consegna -dei biglietti venduti, i quali, stornati dall’anomala dotazione fiduciaria di una sottoposta, siano successivamente ripristinati con la dotazione fiduciaria di una sottoposta, siano successivamente ripristinati con la dotazione fiduciaria della stessa responsabile in modo da occultare apparentemente la loro mancanza.
Trattasi evidentemente di una condotta intenzionale (finalizzata, cioè, a rendere ‘invisibili’ all’azienda i corrispettivi ricavati dall’approvvigionamento dello sportello della Stazione Centrale) che esula, quindi, dalla mera negligenza’ (così alla pag. 50).
19.3. E’ perciò indiscutibile che la Corte di merito ha acclarato condotte di natura prevalentemente dolosa, ed anzi caratterizzate da intenzionalità.
Nello svolgimento della censura in esame la ricorrente assume anche che: ‘nel nostro caso non si verte in una generica ipotesi di recesso per giusta causa (art. 2119 c.c.), ma nella
specifica ipotesi della destituzione dal servizio ex art. 45, all. A, r.d. 148/1931.
20.1. Ma anche questo assunto è errato perché nella giurisprudenza tutta di questa Corte è jus receptum che la destituzione ex art. 45 cit., in quanto sanzione espulsiva senza preavviso, costituisca una forma di licenziamento per giusta causa.
20.2. Condivisibilmente, perciò, la Corte d’appello, nell’ambito delle sue conclusive valutazioni, aveva richiamato il principio di diritto secondo cui ‘l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi o nella legge ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica e del comune vivere civile sia idoneo a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (vedi ex plurimis , Cass. 15-102021, n. 28368; Cass., 6/8/2020 n. 16784)’.
La stessa Corte, quindi, ha concluso che: ‘ciascuno degli addebiti sopra esaminati appare disciplinarmente rilevante e di gravità tale da giustificare la destituzione dal servizio della reclamante, integrando gli estremi della ‘giusta causa’ di licenziamento, trattandosi di condotte che rivestono il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, idonee a minare l’affidamento che il datore di lavoro deve poter riporre sulla futura co rrettezza dell’adempimento della prestazione lavorativa’.
21.1. E la riferita conclusione è stata diffusamente argomentata (cfr. pagg. 49-51).
In particolare, rispetto all’ipotesi, evocata dall’allora reclamante, della sanzione conservativa (retrocessione) sub art. 44 r.d. cit. ‘per trascuratezza abituale nell’esercizio delle proprie mansioni che rechi danno all’azienda, o per trascuratezza che a bbia recato grave danno all’azienda’, la Corte d’appello ha considerato che anche il solo inadempimento relativo all’omessa vigilanza degli sportellisti non si esauriva ‘in una mera trascuratezza perché l’omessa vigilanza integra il carattere di grave nega zione dell’elemento essenziale della fiducia in quanto la condotta della dipendente è idonea a porre in dubbio la futura affidabilità della lavoratrice, alla quale è stato affidato il ruolo apicale di responsabile. Il giudizio di valore, infatti, sulla gravità dell’illecito deve rapportarsi alla qualità e all’importanza delle mansioni proprie del lavoratore, ed è perciò più negativo per i soggetti (come la COGNOME) collocati in elevata posizione funzionale nel quadro generale dell’organizzazione aziendale (v edi, ex plurimis , Cass., 18/04/2023, n. 10236)’.
Correttamente, allora, la Corte ha concluso che: ‘non rileva tanto che le condotte gravemente inadempienti non risultino esattamente tipizzate dall’art. 45 RD, in quanto come sopra detto -trattasi di un elenco esemplificativo, essendo invece rilevante che le condotte contestate integrino la nozione legale di giusta causa’, pur non mancando di accostare le condotte esaminate a talune delle ipotesi contemplate dal cit. art. 45 (cfr. pag. 51).
Deve allora essere disattesa la proposta della ricorrente di sussumere ognuno dei principali addebiti mossi alla lavoratrice nell’una o nell’altra ipotesi di sanzioni conservative
previste dall’art. 42 o dall’art. 44 dell’All. A) al r.d. cit. (v. pagg. 23-25 del ricorso). Del resto, una di queste ipotesi (quella della ‘trascuratezza’ nei termini sopra specificati) è stata esplicitamente considerata e motivatamente esclusa dalla Corte territoriale. La ricorrente, peraltro, richiama l’ipotesi di ‘ritardato versamento’, ma l’art. 42 n. 17) del r.d. recita: ‘per ritardato versamento o consegna di valori od oggetti derivanti da colpevole negligenza o da altra causa non dolosa’, e, secondo quanto già visto, la Corte distrettuale ha invece accertato una condotta senz’altro dolosa della lavoratrice ‘che, al fine di non farsi scoprire in sede ispettiva, ha incaricato la sua sottoposta di provvedere nascostamente a contabilizzare con un giorno di ritardo le somme di denaro dalla stessa detenute in palese violazione delle regole aziendali che imponevano di provvedere alla registrazione dei pagamenti in contanti entro la giornata lavorativa’.
24. Infine, è inammissibile il quinto motivo.
25. Secondo la ricorrente, a fronte della sua doglianza circa la motivazione della sentenza di primo grado, la Corte d’appello si sarebbe limitata ‘a richiamare i principi relativi ai limiti di censurabilità del vizio di motivazione nel giudizio di legittimità, affermando che la sentenza di primo grado non sarebbe nulla (p. 40), contestazione che tuttavia la ricorrente non aveva mai mosso’, e ‘La Corte territoriale ha di fatto applicato i (rigorosi) limiti di censura motivazionale di cui al novellato art. 360, n. 5, c.p.c. (limiti propri di un gravame parzialmente devolutivo a critica vincolata quale il giudizio di cassazione), ad un procedimento, quale quello di reclamo, che è invece un gravame interamente devolutivo a critica libera’.
Ebbene, la ricorrente non considera che la Corte di merito non si è limitata a richiamare i principi cui si riferisce ora la ricorrente, ma ha considerato che: ‘Nella specie, la sentenza impugnata non risulta affatto carente della motivazione, in quanto il primo Giudice ha riprodotto, con richiamo di ampi stralci, l’iter argomentativo dell’ordinanza sommaria redatta dallo stesso Giudice, affrontando, quando esistenti, i motivi ‘nuovi’ evidenziati nella fase a cognizione piena’.
La ricorrente, in quanto soccombente dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 13.5.2025.
La Presidente
NOME COGNOME