Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18299 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18299 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso13601-2021 proposto da:
COGNOME NOME , domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1284/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/03/2021 R.G.N. 1462/2020;
Oggetto
Licenziamento disciplinare
RNUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, già accertata in primo grado, intimato a COGNOME NOME, dipendente di Deutsche Bank dall’agosto 2003, con inquadramento, da ultimo, come Quadro Direttivo, con lettera del 15 maggio 2017 a seguito della contestazione disciplinare del 27.3.2017;
la Corte territoriale, in estrema sintesi e per quanto qui ancora rileva, ha premesso in fatto che: ‘Gli addebiti contestati al COGNOME attengono a due diversi ambiti fattuali e temporali. Nel primo ambito gli addebiti sono riconducibili all’accesso no n autorizzato effettuato dal reclamante nel periodo dal gennaio al luglio 2016 ai sistemi informatici della Banca per l’esame e l’approvazione di pratiche di finanziamento derivanti dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (approvazione poi rivelatasi irregolare in quanto inficiata da dati non veritieri). Il secondo ambito riguarda la condotta collegata a fatti successivi agli accessi informatici e in particolare all’apertura della cassetta di sicurezza appartenente al reclamante, avvenuta il 20.10.2016, in esito alla quale, nonostante il COGNOME avesse chiesto di accedere alla detta cassetta onde ritirare ‘effetti personali ‘o comunque oggetti di contenuto valore economico, venivano rinvenute alla presenza della PG banconote di diverso taglio, racchius e in 37 involucri per l’ammontare di euro 311.080,00, somma poi sottoposta a sequestro preventivo da parte dell’A.G.
penale procedente quale profitto di reato in forza di decreto del 9.11.2016’;
la Corte, quindi, sulla base degli elementi istruttori acquisiti al giudizio, ha condiviso quanto già ritenuto in primo grado circa il raggiungimento della prova dei fatti addebitati e della idoneità degli stessi a costituire giusta causa di licenziamento, anche in considerazione della particolare natura fiduciaria del rapporto di lavoro nel settore bancario;
circa la dedotta natura ritorsiva del licenziamento, la Corte ha argomentato che la ‘presenza di un licenziamento di cui processualmente è stata acclarata la sussistenza della giusta causa’ costituiva circostanza sufficiente ‘per elidere l’esclusività del motivo illecito’;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il soccombente con tre motivi; ha resistito con controricorso la società;
entrambe le parti hanno comunicato memorie; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito; 1.1. col primo motivo si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1839 c.c. ai sensi dell’art. 360 comma I n. 3 Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 e dell’art. 2119 c.c. ai sensi dell’art. 360 comma I n. 3 – Violazione e/o falsa ap plicazione dell’art. 24 Cost. ai sensi dell’art. 360 comma I n. 3 – Nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 comma I n. 4 c.p.c. – Vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 comma I n. 5 c.p.c.’; si critica la sentenza
impugnata per avere ritenuto sussistenti i fatti addebitati e idonei a compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario; 1.2. con il secondo motivo si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 61 e 191 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 comma I n. 3 – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 437 e 421 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 comma I n. 3 – Vizio di motivazio ne ai sensi dell’art. 360 comma I n. 5 c.p.c.’; si lamenta, in particolare, che la Corte territoriale non abbia dato ingresso alla richiesta CTU;
1.3. con il terzo motivo si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1345 c.c. ai sensi dell’art. 360 comma I n. 3 Vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 comma I n. 5 c.p.c.’; si contesta il rigetto della domanda di accertamento della null ità del licenziamento per motivo illecito perché ‘nel caso che ci occupa per le violazioni e false applicazioni di legge sopra richiamate, non è possibile considerare provata la causa lecita del licenziamento’;
2. il ricorso è inammissibile;
2.1. il primo motivo lo è per plurime e concorrenti ragioni; esso innanzi tutto contiene promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di plurime disposizioni di legge, sostanziale ma anche processuale, nonché di vizi di motivazione, senza alcuna adeguata indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo una adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesi mo motivo di ricorso, ‘di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità’ (Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 14317 del 2016; Cass. n. 3141 del 2019, Cass.
n. 13657 del 2019; Cass. n. 18558 del 2019; Cass. n. 18560 del 2019);
inoltre, si deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019); in ogni caso denuncia il vizio di cui alla richiamata disposizione processuale al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014;
nella sostanza, poi, la doglianza contesta l’accertamento dei fatti operato dai giudici del merito e la loro valutazione, sollecitando un sindacato estraneo alla funzione di questa Corte di legittimità;
le Sezioni unite civili hanno più volte ribadito l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
2.2. parimenti inammissibile è il secondo motivo;
oltre a presentare i medesimi profili di promiscuità della censura e ad evocare il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa, il motivo contesta il mancato ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio, avendo i giudici basato il loro convincimento esclusivamente su atti e documenti di provenienza datoriale;
tuttavia è noto che la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice (Cass. n. 15219 del 2007; Cass. n. n. 9461 del 2010; Cass. n. 326 del 2020);
nella specie la Corte territoriale ha ampiamente spiegato le ragioni del convincimento espresso, peraltro in piena adesione con quanto acclarato in primo grado, con motivazione che largamente valica la soglia del cd. ‘ minimum costituzionale’;
2.3. anche il terzo motivo è inammissibile;
si fonda, infatti, su di un presupposto che si palesa chiaramente errato, e cioè che non sarebbe stata provata la causa lecita del licenziamento, che, invece, è stata accertata da tutti i giudici del merito, con accertamento che, alla luce di quanto precede, ha superato il vaglio di legittimità;
conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel suo complesso, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n.
228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 24 aprile 2024 .