Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12082 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12082 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16590-2024 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1892/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/05/2024 R.G.N. 398/2024;
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N.16590/2024
COGNOME
Rep.
Ud.04/03/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/03/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello di NOME COGNOME confermando la sentenza di primo grado che, al pari dell’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria, aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla RAGIONE_SOCIALE il 19.4.22.
La Corte territoriale ha ritenuto dimostrato l’addebito, di uso non autorizzato del mezzo aziendale da parte del dipendente per realizzare uno scarico abusivo di rifiuti (accertato e sanzionato in via amministrativa), di natura personale anche se custoditi presso il capannone aziendale, con lesione dell’immagine della società, operante anche nel settore dei servizi ambientali e di raccolta e trasporto di rifiuti in base ad apposita convenzione con il Ministero delle Infrastrutture. Ha giudicato integrata la giusta causa di recesso e non sussumibile la condotta nelle fattispecie punite dal contratto collettivo con sanzione conservativa.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a undici motivi, illustrati da memoria. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
1 . Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 132, comma 1, n. 5 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 1 c.p.c. per nullità della sentenza in quanto emessa in data 18 maggio 2024, pubblicata tre giorni prima ovvero il 15 maggio
2024 e, sempre tre giorni prima (il 15 maggio 2024), comunicata al difensore del COGNOME via pec. La sentenza sarebbe nulla per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 5, per data impossibile.
2 . Con il secondo motivo è dedotta violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per errori in fatto e in diritto in relazione alle motivazioni della contestazione disciplinare e del conseguente licenziamento; si sottolinea che il datore di lavoro ha contestato al ricorrente la concreta lesione dell’immagine sociale, non la mera potenzialità lesiva, nonché il pericolo di cessazione della convenzione.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto sufficiente l’idoneità lesiva della condotta a giustificare il licenziamento là dove l’art. 54 citato richiede che il contegno del lavoratore determini in concreto una lesione morale o materiale e quindi leda effettivamente l’immagine aziendale.
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio in relazione all’omessa contestazione di violazione dell’elemento fiduciario, il quale comunque non è stato leso.
5 . Con il quarto motivo, lettera a), si deduce violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dal fatto che il verbale di contestazione di illecito amministrativo non è stato elevato nei confronti della società.
6 . Con il quarto motivo, lettera b), si deduce violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti,
rappresentato dal fatto che il contenuto dei sacchi neri gettati dal COGNOME era invisibile e il ricorrente è stato sanzionato solo per le dimensioni dei sacchi medesimi.
7 . Con il quarto motivo, lettera c), si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 2697 c.c. per essere i fatti indicati nella lettera di contestazione e in quella di licenziamento inesistenti e non provati.
8 . Con il quarto motivo, lettera d), si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio in quanto il lavoratore non ha commesso i fatti per motivi personali bensì per obbedire a un ordine datoriale, in ottemperanza ad una norma regolamentare, nell’esecuzione della prestazione di lavoro e senza che vi fosse bisogno dell’autorizzazione per usare il mezzo aziendale.
Con il quarto motivo, lettera e), si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio in quanto il fatto è stato commesso durante l’orario di lavoro.
10 . Con il quarto motivo, lettera f), si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio per insussistenza della gravità del comportamento ascritto al COGNOME.
11 . Con il quarto motivo, lettera g), si deduce violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla circostanza che il COGNOME aveva un’anzianità ventennale e non era mai stato destinatario di alcun provvedimento disciplinare.
12 . Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio perché il fatto non rientra tra le ipotesi suscettibili di licenziamento ma in quelle punibili con sanzioni conservative.
13 . Con il sesto motivo si deduce violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per ripetuta contraddittorietà della motivazione.
14 . Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio per avere il giudice d’appello errato nel ritenere i fatti commessi dal lavoratore non paragonabili ad una violazione del codice della strada per eccesso di velocità in quanto in realtà gli addebiti sono sovrapponibili ad un illecito amministrativo e ciò dimostra la gravissima sproporzione tra il comportamento ascritto al COGNOME e la sanzione espulsiva irrogata.
15 . Con l’ottavo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello posto a fondamento della decisione la sussistenza di prova della lesione dell’immagine aziendale benché la sentenza di primo grado avesse ritenuto mancante tale prova e non fosse stata proposta impugnazione sul punto. 16 . Con il nono motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio per omessa valutazione della scala valoriale. 17 . Con il decimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 54 CCNL Energia e Petrolio per errore di diritto per l’impossibilità di discostarsi dalle disposizioni del contratto collettivo che
prevedono espressamente, per il fatto addebitato al ricorrente, una sanzione conservativa.
18 . Con l’undicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su alcuni motivi di appello.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Questa Corte ha statuito che la data di pubblicazione di un provvedimento redatto in modalità digitale coincide con quella di attestazione dell’avvenuto deposito da parte del cancelliere che, mediante il sistema informatico, attribuisce al provvedimento il numero identificativo e la data, poiché è da tale momento che il provvedimento diviene ostensibile agli interessati; tale attestazione costituisce un atto pubblico, che fa piena prova fino a querela di falso, ed è pertanto dalla data ivi indicata che decorre il termine “lungo” per l’impugnazione (Cass. n. 2829 del 2023; n. 2362 del 2019). Nel caso di specie, la data di pubblicazione della sentenza, riportata nella stampigliatura in alto a destra, è il 15.5.2024 e ciò è coerente con lo svolgimento della camera di consiglio il 14.5.24, come indicato nell’intestazione della sentenza medesima, là dove la data (18.5.2024) riportata in calce al provvedimento, frutto evidente di errore materiale, non ha rilievo ai fini della determinazione del momento di pubblicazione della sentenza e l’errore nella stessa non è idoneo a determinare conseguenze in termini di nullità della pronuncia.
I restanti motivi di ricorso sono inammissibili per più profili. Anzitutto, e in ragione della disciplina della cd. doppia conforme, sono inammissibili le censure formulate ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. ed esattamente quelle oggetto del quarto motivo, lettere a, b), g).
Sono parimenti inammissibili le censure che investono l’accertamento in fatto della condotta del lavoratore, tra cui le motivazioni a base della stessa, l’uso del mezzo aziendale, l’orario di lavoro, trattandosi di aspetti che attengono all’accertamento fattuale, spettante al giudice di merito, e non revisionabile nel giudizio di legittimità, se non ai sensi e nei limiti del citato art. 360 n. 5 c.p.c., nella specie precluso.
Anche i motivi di ricorso con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. sono inammissibili. L’ottavo motivo perché il ricorrente non ha in alcun modo trascritto, neanche solo per estratto, né depositato gli atti processuali (sentenza di primo grado e ricorso in appello) su cui la censura si fonda. L’undicesimo motivo perché la Corte d’appello non ha affatto omesso di pronunciarsi sulla valutazione di gravità della condotta alla luce della scala valoriale descritta dal contratto collettivo nell’ art. 54.
Le rimanenti censure involgono la valutazione di gravità della condotta e di proporzionalità della sanzione espulsiva che il ricorrente critica invocando la riconducibilità dell’addebito ad una delle ipotesi punite con sanzione conservativa e, specificam ente, all’ipotesi di abbandono del posto di lavoro oppure di utilizzo degli strumenti di lavoro non conforme alle procedure aziendali.
Come costantemente affermato anche da questa Corte, dalla natura legale della nozione di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa e giustificato motivo contenuta nei contratti collettivi abbia valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito (Cass. n. 2830 del 2016; Cass. n. 4060 del 2011; Cass. n. 5372 del 2004; v. pure Cass. n. 27004 del 2018), al quale
spetta, non essendo vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, la valutazione di gravità del fatto e della sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie (tra le recenti v. Cass. n. 33811 del 2021). La scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce solo uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cass. n. 17321 del 2020; n. 16784 del 2020) e in tal senso depone l’art. 30 della legge 183 del 2010 in base al quale il giudice, ‘nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ‘.
25. Nel caso in esame, i giudici di appello hanno sottolineato come la condotta addebitata al lavoratore si sia concretizzata in un uso non autorizzato del veicolo aziendale per la commissione consapevole di un illecito, ovvero lo scarico abusivo di rifiuti, idoneo a ledere l’immagine della società operante proprio nel settore della tutela ambientale, dei servizi di raccolta e trasporto di rifiuti in base ad una specifica convenzione con il Ministero delle Infrastrutture. E se è vero che l’illecito amministrativo è stato contestato personalmente al COGNOME, tuttavia la natura dell’illecito, commesso dal dipendente della società durante l’orario di lavoro ma per fini personali e consistito nel riversare materiale ingombrante in luogo diverso dagli appositi centri di raccolta autorizzati, è idonea di per sé a danneggiare e compromettere l’immagine aziendale. La sentenza impugnata ha quindi valorizzato la complessità dell’addebito mosso al dipendente, complessità non riducibile a nessuna delle singole
fattispecie contrattuali punite con sanzione conservativa, nessuna idonea a comprendere l’intera condotta di rilievo disciplinare. La sentenza d’appello osserva come non sia utile il riferimento all’art. 54 nella parte in cui punisce l’utilizzo di strumenti di lavoro in modo non conforme alle procedure aziendali per negligenza del lavoratore in quanto presuppone, comunque, un utilizzo di beni aziendali in occasione e per motivi di lavoro, mentre nel caso di specie il veicolo aziendale è stato utilizzato, senza autorizzazione alcuna, per fini esclusivamente personali. Parimenti, la condotta illegittima non si è esaurita nell’abbandono del posto di lavoro ma si è caratterizzata per molteplici aspetti ulteriori, tra cui l’uso non autorizzato del veicolo aziendale e la consapevole commissione di un illecito amministrativo, atto a svelare il disprezzo dei valori che l’attività della cooperativa persegue e quindi a ledere, già per questo, l’immagine aziendale.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 4 marzo 2025