Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31433 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31433 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28120-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 515/2022 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 22/09/2022 R.G.N. 49/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 28120/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
Rilevato che
la Corte d’appello di Salerno, quale giudice del reclamo, ha confermato la sentenza di primo grado, di rigetto della opposizione di RAGIONE_SOCIALE all’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria con la quale era stata dichiarata la illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato a NOME COGNOME e la società datrice di lavoro condannata alla reintegrazione del lavoratore ed all’indennità risarcitoria in misura pari a cinque mensilità; con la lettera di contestazione al lavoratore era sta to addebitato l’omesso rientro al lavoro nel pomeriggio di domenica 17 giugno 2018, dopo che il COGNOME si era ripreso dal malore subito in mattinata per il quale si era recato in ospedale; tale condotta, secondo la società, configurava inadempimento degli obblighi e dei doveri previsti dal contratto collettivo e determinava la lesione del vincolo fiduciario per violazione dei doveri di correttezza e buona fede ai sensi degli artt. 220 e sgg. c.c.n.l. applicabile e degli artt. 1175 e 1375 c.c.;
la Corte di merito, premesso che al lavoratore era stato contestato unicamente il mancato rientro al lavoro nel pomeriggio e non quindi la simulazione della malattia e neppure l’avvenuto recupero già in mattinata della capacità lavorativa, che il fatto addebitato risultava sussistente alla stregua delle emergenze i n atti, ha ritenuto che in base alle norme collettive lo stesso era punito con la sola sanzione conservativa e che tale circostanza determinava l’applicabilità della tutela reintegratoria; h a respinto l’eccezione di aliunde perceptum e di aliunde percipiendum della società, per difetto di allegazione di precise circostanze fattuali, della quale era onerata l’eccipiente,
la cui carenza non consentiva l’attivazione dei poteri istruttori di ufficio;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e degli artt. 220 e ssg. del c.c.n.l. dei dipendenti aziende terziario distribuzione e servizi; sostiene, in sintesi, che per espressa previsione collettiva ed al di fuori delle ipotesi tipizzate nelle quali il comportamento del lavoratore è sanzionato con il licenziamento, l’art. 229 c.c.n.l. consente di recedere dal rapporto in presenza di una causa che non ne consenta neppure in via provvisoria la prosecuzione; rappresenta che nel caso specifico le caratteristiche della condotta tenuta dal dipendente, ed in particolare la premeditazione del mancato rientro connessa alla esibita insubordinazione alle direttive aziendali, configuravano violazione del dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c. in relazione al quale il contratto collettivo consentiva il recesso datoriale;
con il secondo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 .c.p.c. per motivazione apparente o inesistente; critica la sentenza impugnata in quanto fondata sull’errato convincimento che la contestazione mossa al lavoratore fosse stata giustificata con l’assenza dal luogo di
lavoro; rappresenta che, al contrario, sia la lettera di contestazione che la difesa spiegata dalla reclamante era motivata con il venir meno del rapporto fiduciario tra le parti; in questa prospettiva denunzia la omessa pronunzia in relazione alla difesa datoriale e cioè che, indipendentemente dalla mancata previsione dell’assenza dal luogo di lavoro tra le ipotesi sanzionate dall’art. 225 c .c.n.l. con il licenziamento, le modalità con le quali si era realizzata la condotta e la premeditazione, frutto di ingiustificabile insubordinazione, meritavano la sanzione espulsiva ; evidenzia come uno dei motivi di gravame fosse costituito proprio dalla recidiva imputata al dipendente;
il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con l’accertamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione dell’addebito oggetto di contestazione, rappresentato esclusivamente dal mancato rientro del dipendente al lavoro nel pomeriggio di domenica 17 giugno 2018, dopo che si era ripreso dal malore subito in mattinata per il quale si era recato in ospedale; la Corte distrettuale ha infatti evidenziato che al lavoratore non era addebitata anche la simulazione della malatt ia e neppure l’avvenuto recupero già in mattinata della capacità lavorativa;
3.1. in contrasto con la ricognizione del contenuto della lettera di addebito quale ricostruito dal giudice di merito, parte ricorrente svolge, infatti, le proprie deduzioni in punto di sussistenza della giusta causa di licenziamento facendo riferimento a profili, quali l’insubordinazione e la violazione del dovere di fedeltà, che esulano dall’ambito della condotta oggetto di addebito ricostruita dal giudice di merito; parimenti inammissibili le deduzioni fondate su una pretesa premeditazione della condotta illecita, questione attinente
all’accertamento di fatto, incrinabile solo dalla deduzione, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. di omesso esame di fatto controverso e decisivo, neppure formalmente prospettata e comunque in concreto preclusa, ai sensi dell’art. 348 ter , ultimo comma c.p.c., ricorrendo un’ipotesi di <> e non avendo l’odierna ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, come suo onere (Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/ 2019, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014);
3.2. parte ricorrente, in sintesi, nel criticare la ricognizione del fatto oggetto di addebito, quale risultante dalla lettera di contestazione, si limita ad esprimere rispetto alla stessa un mero dissenso valutativo; non viene, infatti, neppure formalmente dedotta violazione e falsa applicazione delle regole legali di interpretazione, applicabili anche agli atti unilaterali, onde incrinare l’approdo ermeneutico del giudice di merito nella individuazione dello effettivo illecito imputato al dipendente nella lettera di contestazione; analogamente, non vengono evidenziati profili di illogicità e incongruità nella ricostruzione del contenuto di tale lettera da parte del giudice di merito;
il secondo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi profili;
4.1. innanzitutto, la denunzia di error in procedendo ai sensi dell’art. 112 c.p.c., richiede che il giudice di merito sia investito di una domanda o di un’eccezione ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo
contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi (Cass., n. 5344/2013, Cass. Sez. Un. 15781/2005), onere non adempiuto dalla odierna parte ricorrente;
4.2. in secondo luogo, per come concretamente formulate le ragioni di doglianza, sembrano in realtà denunziare la mancata considerazione delle prospettazioni difensive della società riguardo alle modalità attraverso le quali si era manifestato il comportamento del dipendente, frutto – si asserisce- di ingiustificabile insubordinazione, giustificativa della sanzione espulsiva; in tal modo, tuttavia, parte ricorrente svolge valutazioni meramente contrappositive a quelle alla base della sentenza impugnata, invocando un apprezzamento in termini di maggiore gravità della condotta del dipendente, con modalità intrinsecamente inidonee a dare contezza dell’errore in tesi ascritto al giudice di merito;
4.3. infine, non sussiste apparenza di motivazione con riferimento alla recidiva; la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante -sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico destinato a sorreggere il decisum ( Cass., n. 9105/2017, Cass. Sez. Un., n. 22232/2016, Cass., n. 20112/2009) rimettendo all’interprete, come non
consentito (Cass., n. 22232/2016 cit.), il compito di integrare la motivazione con le più varie, ipotetiche congetture;
4.4. tale situazione non è nello specifico ravvisabile in quanto le ragioni della decisione -consistenti, in estrema sintesi, nella circostanza che il fatto addebitato risultava punito con sanzione conservativa- risultano agevolmente percepibili nei loro presupposti fattuali e nelle conseguenze giuridiche; in merito alla deduzione relativa alla recidiva, formulata quale motivo di gravame alla sentenza di primo grado, premesso che parte ricorrente non allega e dimostra che la recidiva costituiva oggetto di contestazione, la necessità di relativa valutazione è stata evidentemente ritenuta assorbita dalla considerazione della punibilità con mesa sanzione conservativa dell’illecito ascritto sulla base delle norme collettive;
le considerazioni che precedono assorbono il profilo concernente la eccepita improcedibilità del ricorso per cassazione per violazione dell’onere, ex art. 369, comma 1 n. 4 c.p.c. di integrale produzione del contratto collettivo alla base delle censure Cass., n. 4350 /2015 Cass., n. 6255/ 2019);
all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali ed pagamento, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 1 3, comma quater d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre
spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 16 ottobre