Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34667 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34667 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15156-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 276/2021 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 07/12/2021 R.G.N. 111/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento
–
rapporto privato
R.G.N. 15156/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 30/10/2024
CC
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Genova ha rigettato l’appello della società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, nell’ambito di una controversia anche con altra società, con la quale la causa era stata poi conciliata, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a NOME COGNOME dipendente dal 2003 come impiegata, con lettera 26.6.2019 ‘ per giusta causa in via cautelativa ‘ , e condannato il datore di lavoro a corrispondere alla lavoratrice indennità pari a 3 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, indennità di mancato preavviso pari a 4 mensilità, e la retribuzione sino alla data del licenziamento;
2. per la cassazione della sentenza d’appello propone ricorso la società con 7 motivi; resiste la lavoratrice con controricorso, illustrato da memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso per cassazione, la società deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.; sostiene che la Corte d’Appello ha fatto malgoverno delle regole sull’interpretazione dei contratti, non riconoscendo alla transazione intercorsa in causa tra la lavoratrice e la società che aveva revocato il mandato di subagenzia alla sua datrice di lavoro valore e effetto di accertamento negoziale dell’avvenuto passaggio del rapporto di lavoro;
2. con il secondo motivo, deduce nullità della sentenza o del procedimento (art. 360, n. 4, c.p.c.), per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento dell’avvenuto passaggio del
rapporto di lavoro in capo alla società che aveva revocato il mandato di subagenzia alla datrice di lavoro della ricorrente, domanda alla quale la stessa non aveva rinunciato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
con il terzo motivo, deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.), in relazione alla censura di subordinazione tra le domande articolate, in via principale e in via subordinata, dalla lavoratrice, limitandosi a motivazione per relationem ;
con il quarto motivo, deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.); sostiene che la Corte d’Appello ha omesso l’esame di un fatto estintivo del rapporto, precedente al licenziamento cautelativamente impugnato, ancorché costituente eccezione in senso stretto;
5. con il quinto motivo, deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 416 c.p.c., 2697 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.); lamenta l’omessa pronuncia su ll’eccezione di cui al motivo che precede, nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. , nella misura in cui entrambe le parti hanno allegato l’avvenuto passaggio del rapporto di lavoro in capo ad altra società antecedentemente al licenziamento;
con il sesto motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.) , per avere la lavoratrice impugnato un licenziamento improduttivo di effetti giuridicamente rilevanti ed inidoneo ad averle arrecato danno;
con il settimo motivo, deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2119, 1460, 2086, 2104 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.); sostiene che la Corte d’Appello ha ritenuto che il
lavoratore possa autonomamente decidere se andare a lavorare o meno, valutando da sé se vi sia lavoro da svolgere o meno;
i primi due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, in quanto riguardanti entrambi l’ interpretazione di atti negoziali (lettera di licenziamento e verbale di conciliazione con ASSI 90), non sono accoglibili;
l’interpretazione degli atti negoziali – che è riservata al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove rispettosa dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e sorretta da motivazione immune da vizi – va condotta sulla scorta di due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, nell’ambito non già di una priorità di uno dei due criteri, ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi d’interpretazione, i quali debbono fondersi ed armonizzarsi nell’apprezzamento dell’atto negoziale (cfr. Cass. n. 701/2021; n. 11666/2022, n. 33425/2022);
va ulteriormente precisato che la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, posto che, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra; per il principio di autonomia del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, si deve escludere l’ammissibilità di una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame,
inammissibile in sede di legittimità (v. Cass. n. 27702/2020, n. 16368/2014, n. 24539/2009, n. 10131/2006, nonché, sulla conclusione che l’interpretazione del contenuto di verbale di conciliazione postula un’indagine sulla volontà delle parti e si risolve in un accertamento di fatto, Cass. n. 10981/2020, n. 14911/2007);
a tali principi risulta conforme la sentenza gravata, che pertanto resiste alle censure espresse con i motivi in esame;
il terzo e quarto motivo sono inammissibili, ricorrendo nel caso di specie ipotesi di pronuncia cd. doppia conforme;
il quinto motivo non è fondato;
esso è basato sugli stessi argomenti dei due motivi precedenti sotto altra angolazione;
la sentenza impugnata ha chiaramente spiegato (v. in particolare p. 14), con argomenti condivisibili, la distinzione e l’autonomia delle domande nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (accertamento del passaggio del rapporto di lavoro) e nei confronti dell’odierna ricorrente (accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giusta causa), oggetto pertanto di distinta e autonoma trattazione indipende nte dall’esito transattivo della controversia con l’altra società;
il sesto motivo risulta inammissibile;
esso non si confronta compiutamente con le conclusioni di controparte e con la motivazione della sentenza impugnata, perché richiama giurisprudenza in materia di doppio licenziamento, non pertinente al caso di specie; in questa controversia, invero, è in esame un unico licenziamento, dalla stessa società definito cautelativo, in assenza di altro titolo valido di recesso (cfr. ricostruzione in fatto a p. 3 della sentenza impugnata);
18. il recesso ha avuto quale esplicito presupposto un comportamento della dipendente prospettato dal datore di lavoro come illegittimo, cioè la presunta ingiustificata assenza dal posto di lavoro nelle giornate indicate nella relativa lettera di licenziamento (cosi pp. 10- 11 della sentenza impugnata), giusta causa individuata dalla società e ritenuta, in fatto, non sussistente;
il settimo motivo non è meritevole di accoglimento;
20. secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in generale, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.; l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale; dunque, l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (cfr. Cass. n.13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020, n. 7029/2023, n.
23287/2023, n. 26043/2023, n. 30663/2023, n. 107/2024, n. 5596/2024, n. 12787/2024, n. 21123/2024, n. 24523/2024);
21. le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del procuratore di parte controricorrente dichiaratosi antistatario;
22. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 30 ottobre 2024