Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33737 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33737 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18416-2022 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo Studio dell’avvocato NOME COGNOME (RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 460/2022 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 01/06/2022 R.G.N. 86/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 18416/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 20/11/2024
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Messina, con la sentenza in atti, pronunciando sul reclamo proposto da Poste italiane S.p.A avverso la sentenza del giudice del lavoro del tribunale di Messina ha accolto il reclamo e rigettato le domande di impugnazione del licenziamento intimato a Costa Michelangelo per giusta causa in data 9/6/2015 a seguito della contestazione disciplinare del 12 maggio 2015 con la quale gli era stata addebitata la mancata corresponsione a due clienti – Lo Giudice NOME e COGNOME NOME – di somme loro spettanti a seguito di operazioni di rimborso di BFP (buoni postali) dallo stesso curate in qualità di direttore pro-tempore dell’Ufficio postale di Antillo, nonché l’irregolare attuazione della procedura per il discarico delle operazioni di trascrizione degli avvenuti rimborsi sul relativo registro Bs.
La Corte ha ritenuto che alle risultanze probatorie emerse nel corso della fase cautelare e di opposizione, dalle quali già emergevano concreti elementi di sussistenza dei fatti addebitati, si erano poi aggiunti gli esiti del giudizio penale che consentivano una esaustiva ricostruzione dei fatti.
Dalla sentenza penale di primo grado emergeva che COGNOME era stato ritenuto responsabile del reato di peculato commesso in relazione ai suddetti fatti, nonché ad altri analoghi e consistiti proprio nell’essersi indebitamente appropriato della complessiva so mma di 15.000 € trattenendo le relative somme ai danni dei privati risparmiatori in occasione dei rimborsi dei buoni postali fruttiferi agli stessi intestati; detta sentenza e le prove testimoniali e documentali in essa richiamate costituivano prove atipiche valutabili dal giudice in sede civile.
Contro la sentenza ha proposto il ricorso per cassazione COGNOME COGNOME con un motivo di ricorso al quale ha resistito Poste Italiane S.p.A. con controricorso. Il collegio ha riservato la
motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 54 e 80 del CCNL di categoria del 2011, nonché degli articoli 1362, 2119 e 2697 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. per avere la Corte d’appello ritenuto legittimo il licenziamento laddove, invece, l’articolo 80 CCNL, in combinato disposto con l’articolo 54, consente alla società di irrogare il licenziamento per giusta causa se oggetto della contestazione non sia la sentenza penale non definitiva di condanna in sé ma i fatti e la loro gravità tali da incidere irrimediabilmente sul rapporto fiduciario. L’articolo 54, comma VI CCNL prevede che i comportamenti del lavoratore costituenti reato possono determinare l’adozione della sanzione espulsiva se i fatti ascritti al lavoratore siano previamente accertati dal giudice penale con sentenza definitiva di condanna e siano così gravi da ledere la fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel suo dipendente.
Nel caso di specie la Corte d’appello aveva ritenuto che dalla sentenza penale non definitiva emergesse la prova della responsabilità del reato di peculato per essersi il Costa appropriato della somma di euro 15.000,00; per la Corte, la sentenza e le prove testimoniali e documentali in essa richiamate costituivano prove valutabili in questa sede; però la sentenza penale era stata impugnata con atto di appello depositato il 31/3/2022, mentre ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare non rilevava la valutazione penalistica del fatto, né la sua punibilità in sede penale avendo dovuto effettuarsi una valutazione autonoma in ordine alla idoneità del fatto ad integrare gli estremi della giusta causa giustificato motivo del recesso.
1.1.- Il ricorso è inammissibile perché non coglie e non censura ritualmente le distinte rationes decidendi della gravata sentenza; atteso che la Corte d’appello ha effettuato un autonomo accertamento in merito alla esistenza della giusta causa addebitata al ricorrente sia sulla scorta degli elementi probatori acquisiti nella fase cautelare e di opposizione, sia in base alle prove assunte nel corso del giudizio penale, oltreché in base alla medesima sentenza penale di condanna in primo grado.
1.2. Vengono ad esempio richiamate a dimostrazione della mancanza di effettivo pagamento dell’importo di euro 2733,89, le testimonianze rese nel processo del lavoro di primo grado dalla signora COGNOME e dal marito COGNOME NOME presente all’operazione di rimborso; avendo entrambi riferito che il pagamento della somma in questione non era mai avvenuto pur attestando il modulo firma l’avvenuto rimborso del titolo, senza però contenere alcun riferimento all’effettivo pagamento.
1.3. Inoltre anche il secondo fatto addebitato – ovvero quello relativo all’operazione di rimborso dei buoni postali intestati a COGNOME NOME – secondo la Corte territoriale trovava già nel primo grado del presente procedimento un importante elemento di prova trascurato dal tribunale, costituito dal documento in possesso della cliente da cui si evinceva il mancato rimborso della somma di 1000 euro.
1.4. A fronte degli anzidetti motivati accertamenti ed apprezzamenti, in punto di fatto non è dunque ammissibile alcun sindacato in sede di legittimità da parte di questa Corte spettando in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle
ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).
1.5.- Il motivo di ricorso è altresì inammissibile nella parte in cui reclama l’omessa valutazione di fatti decisivi, posto che il ricorrente denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022).
2.- Il ricorso deve essere quindi dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 20.11.2024