Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16769 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 16769 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16680/2024 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOMERAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 566/2024 depositata il 03/06/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 3.6.24 la corte d’appello di Milano, in riforma di sentenza del tribunale di Sondrio, ha rigettato l’impugnativa del licenziamento intimato all’odierno ricorrente il 6.12.18 per giustificato motivo oggettivo (conclusione lavoro edile nel cantiere).
In particolare, mentre il tribunale aveva applicato la tutela reintegratoria (con le relative conseguenze sul piano economico) e aveva ritenuto irrilevante il rifiuto del lavoratore di riassunzione (offerta dal datore dopo due mesi dal recesso, in ragione della sopravvenienza di una commessa), la corte territoriale ha ravvisato un giustificato motivo oggettivo sulla base della prova testimoniale, perché vi era stata prova della fine lavoro nel cantiere cui era assegnato il lavoratore e non vi erano, al tempo del recesso, altri cantieri aperti o di prossima apertura.
Avverso la sentenza ricorre il lavoratore per sette motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso il datore. Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deduce violazione dell’articolo 37 decreto legislativo 149 del 22 per avere pronunciato secondo il rito di cui alla legge n. 92/12 nonostante la sua abrogazione.
Il motivo è infondato: ai sensi dell’art. 35, comma 1, D.Lgs. 149/2022, stante la pendenza del procedimento in questione alla data del 28 febbraio 2023 è doverosa la conseguente applicazione del c.d. rito Fornero. Come noto, la c.d. riforma Cartabia, nell’abrogare il rito Fornero ex art. 37 lett. e) D.lgs 149/22 con riferimento ai procedimenti instaurati dal 1°.3.23, ha previsto che: ‘Ai procedimenti pendenti alla datadel 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti’. La pendenza del giudizio deve essere valutata in relazione alla data della sua introduzione in primo grado, irrilevante essendo -invece – l’atto di instaurazione del giudizio di appello. E infatti, questa S.C. ha già avuto modo di statuire (v. Cass. n. 11344/25) che i procedimenti avviati secondo il rito Fornero prima del 28 febbraio 2023 continuano ad essere regolati, anche nella fase di impugnazione, dalle norme originarie della Legge n. 92 del 2012. In breve, l’abrogazione di queste norme, prevista dall’art. 37 del D.Lgs. n. 149 del 2022, vale solo per i procedimenti iniziati dopo quella data e fra questi ultimi non rientra il processo di cui oggi si tratta.
Il secondo motivo deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2 legge n.604/1966 in tema di immodificabilità della motivazione del licenziamento e agli artt. 1362, 1363 e 1324 c.c., in relazione all’art. 360, co.1, n.3 c.p.c.: sostiene il ricorrente che la corte di appello aveva argomentato la sussistenza del motivo di licenziamento violando la regola dell’immutazione del motivo comunicato al dipendente con la lettera di recesso che era inizialmente giustificato con la fine lavori, mentre, in seguito, erano stati introdotti anche altri elementi quali la mancanza di commesse/fine dell’attività edile.
Il motivo è infondato: non si ravvisa in tal caso alcun mutamento di ragioni in quanto, a fronte delle contestazioni mosse con il reclamo, la società ha semplicemente prospettato tutte le possibili difese per dimostrare l’effettiva sussistenza del motivo, poi
in concreto verificato dalla corte d’appello; dunque, il motivo di licenziamento non è mai stato modificato né dall’azienda né dalla corte territoriale e si è riferito alla fine del cantiere Sciaresina al quale il lavoratore era adibito in via esclusiva all’epoca del licenziamento; inoltre la sentenza impugnata ha verificato l’assenza di posizioni di lavoro vacanti cui il lavoratore potesse essere adibito.
Il terzo motivo deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n.604/1966 in tema di sussistenza del nesso causale tra la fine del cantiere ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e il licenziamento del reclamante in relazione all’art. 360, co.1 n.3 c.p.c. perché la corte avrebbe omesso di accertare la sussistenza del nesso causale tra il motivo di recesso e la posizione lavorativa dell’odierno ricorrente.
La stessa doglianza viene fatta valere con il quarto motivo, questa volta come violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, co.1, n.4 c.p.c.
Il terzo e il quarto motivo di censura, da esaminarsi congiuntamente essendo analoghi, sono privi di pregio: premesso che la sentenza impugnata ha in concreto verificato il suddetto nesso causale, si noti che detti motivi, ad onta dei richiami normativi in essi contenuti, sostanzialmente mirano ad una rivisitazione del merito di causa, il che non è consentito in sede di legittimità.
Il quinto motivo lamenta, ex art. 360, co.1 n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 3 legge n.604/1966 e 1175 e 1375 e 18, comma 7, legge n. 300/1970 in relazione al comma 4, per violazione dell’obbligo di repechage: sostiene il ricorrente che la Corte di merito non avrebbe correttamente valutato le nuove assunzioni di personale effettuate dall’azienda due mesi dopo il licenziamento, nelle medesime mansioni del ricorrente.
La stessa doglianza viene fatta valere con il sesto motivo, questa volta come violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, co.1, n.5 c.p.c.
Anche tali motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati: questa Corte ha già affermato che l’ultimazione delle opere edili non è sufficiente a configurare un giustificato motivo di recesso, salvo che il datore di lavoro non dimostri l’impossibilità di utilizzazione dei lavoratori medesimi in altre mansioni compatibili, con riferimento alla complessità dell’impresa e alla generalità dei cantieri nei quali è dislocata la relativa attività (cfr. Cass. n. 22417 del 2009 e n. 1008 del 2003). Nel caso di specie, la ratio decidendi della pronuncia si fonda, con giudizio in fatto non sindacabile, sulla circostanza che il datore di lavoro non ha potuto ricollocare il dipendente in altre mansioni perché i lavori si erano esauriti (nel loro complesso) e perché non vi erano altre possibili riaperture di cantiere o acquisizione di nuove commesse: la sentenza ha poi dato espressamente atto dell’assenza -comprovata in via istruttoria di posizioni di lavoro vacanti nell’ambito aziendale cui il lavoratore potesse essere adibito all’epoca del licenziamento (assenza di lavori tanto in cantieri prettamente edili quanto in cantieri per opere di asfalto, mancata aggiudicazione di tutte le gare d’appalto cui la datrice di lavoro aveva partecipato, assenza di posizioni di lavoro vacanti), nonché della conferma – emersa sempre in via istruttoria che l’acquisizione del modico appalto commissionato dalla ditta Giadi in epoca successiva al licenziamento (peraltro accompagnato da offerta di riassunzione al lavoratore, che l’aveva poi respinta) non era prevedibile da parte aziendale all’epoca del recesso per cui è causa.
Risultano, quindi, rispettati i principi consolidati che impongono al datore di lavoro di dimostrare di avere tentato la ricollocazione in osservanza altresì di un generale dovere di
correttezza e di buona fede, (cfr. tra le tante, Sez. lav., Sentenza n. 29099 del 11/11/2019-Rv. 655704 – 01).
Il settimo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. comma 1, n.4, per essere la sentenza impugnata redatta con motivazione apparente e perplessa quanto alla prevalenza delle mansioni di muratore rispetto alla mancata assegnazione nello specifico cantiere e alla inoperatività della procedura di conciliazione ex art. 7 l.604/1966 in combinato con l’art. 2 comma 34 l. 92/2012 con riferimento all’art. 360, co,1, n.4 c.p.c.
Anche tale motivo va disatteso, essendovi una motivazione rispettosa del minimo costituzionalmente e legislativamente prescritto: la Corte ha infine rigettato anche l’eccezione di mancato rispetto della procedura preventiva di conciliazione ex art. 7 L. n. 604/1966, in quanto inapplicabile, per espressa previsione di legge, al caso del licenziamento per fine cantiere.
Per tutto quanto detto, il ricorso va rigettato.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 3.500,00 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto dellasussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 maggio 2025.