Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30531 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 30531 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso 2984/2024 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avvocati COGNOME, con domicilio digitale come da pec Registri giustizia;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALEPREDDA COGNOME‘ , in persona del Commissario
OGGETTO: PUBBLICO IMPIEGO
liquidatore pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale come da pec Registri giustizia;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 160/2023 della C orte d’Appello di Cagliari, Sezione distaccata di RAGIONE_SOCIALE, pubblicata in data 29/11/2023 R.G.N. 114/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1/10/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO COGNOME; udito il P .M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale; udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per delega AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per delega AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
1.Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 51 legge n. 92/2012 da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal medesimo Tribunale, con cui erano state respinte le sue domande, volte ad accertare la nullità, l’annullabilità o l’inefficacia del licenziamento intimatogli dal RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti RAGIONE_SOCIALE), ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento di tutte le retribuzioni maturate e maturande dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.
La Corte di Appello di Cagliari Sezione distaccata di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso la suddetta sentenza.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ritenuta la sussistenza di un rapporto di lavoro dirigenziale tra lo COGNOME e il RAGIONE_SOCIALE, ha riconosciuto la titolarità del potere disciplinare in capo al Commissario liquidatore.
Ha in particolare evidenziato che lo svolgimento degli atti di ordinaria gestione precludeva al Commissario liquidatore la costituzione di nuovi rapporti di lavoro e l’attribuzione di incarichi dirigenziali, ma non lo scioglimento delle collaborazioni professionali non necessarie, né l’esercizio del potere disciplinare nei confronti di dipendenti che con la loro condotta avrebbero potuto pregiudicare l’integrità e il valore del patrimonio consortile o ritardare la procedura di RAGIONE_SOCIALE.
Ha inoltre escluso che l’esercizio del potere disciplinare da parte del Commissario liquidatore abbia costituito violazione del divieto di modifica di piante organiche ed incarichi dirigenziali previsto dalla legislazione regionale ed ha evidenziato che la disciplina normativa regionale non aveva previsto alcun intervento dell’Assessorato competente o della giunta regionale a titolo di ratifica dell’operato del Commissario liquidatore nell’ambito dei rapporti di lavoro.
Il giudice di appello ha poi evidenziato che l’azzeramento degli organi amministrativi del RAGIONE_SOCIALE aveva determinato la concentrazione di tutti i poteri in capo al Commissario ed ha escluso la violazione della procedura di cui all’art. 55 bis d. lgs. n. 165/2001; ha inoltre ritenuto indimostrata l’asserita violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare in ordine all’episodio del 26.9.2017, oggetto della seconda contestazione (e considerato dal Tribunale sufficiente ad integrare la giusta causa di recesso).
Ha ritenuto fondato il relativo addebito, pur avendo rilevato la necessità di effettuare una ricostruzione in fatto parzialmente diversa rispetto al primo giudice, ed ha considerato superfluo l’esame delle ulteriori condotte contestate nelle date del 25 settembre e del 17 ottobre 2017.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati da memoria.
RAGIONE_SOCIALE, oltre a resistere con controricorso, ha proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, il ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, commi 38 e 41, della legge regionale Sardegna n. 3/2008, dell’art.2, comma 1, dell’art. 4 lett. h), degli artt. 3, 5, 6, comma 1 e dell’art. 9, dell’allegato alla deliberazione della Giunta regionale sarda n. 23/2017 del 16.4.2008, dell’art. 6, commi 1 e 8, della legge regionale n. 10/2008, della deliberazione cella Giunta regionale n. 44/31 del 6.8.2008, nonché dell’art. 50 bis della legge regionale Sardegna n. 1/2009, aggiunto dall’art. 11, comma 12, della legge regionale Sardegna n. 3/2009, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il potere di intimare licenziamenti disciplinari fosse ricompreso tra i poteri del Commissario liquidatore del RAGIONE_SOCIALE
Richiama la decisione n. 12/2016 della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale della Sardegna, confermata in grado di appello con sentenza n. 9/2018, sostenendo che il potere di gestione ordinaria affidato al liquidatore dalla Giunta regionale è limitato solo agli atti ordinari, meramente conservativi, mentre il potere di intimare i licenziamenti richiede un’espressa autorizzazione della Giunta, come risulta dalle delibere regionali.
Evidenzia che secondo le suddette delibere regionali, i poteri dei Commissari dei consorzi sono improntati ad una logica di RAGIONE_SOCIALE e, al contempo, di conservazione dell’integrità del patrimonio consortile.
Evidenzia che il Commissario liquidatore aveva chiesto la ratifica del licenziamento dello COGNOME all’Assessorato o alla giunta regionale e che la ratifica non era stata concessa.
Con il secondo motivo, il ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 55, comma 1, e 55 bis, commi 2 ss., del d. lgs. n. 165/2001, e dell’art. 97 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Evidenzia che a fronte della mancata costituzione dell’UPD, il procedimento disciplinare non è stato istruito né concluso da un organo terzo e imparziale.
Lamenta che è stata posta in essere una grave ed effettiva compromissione del diritto alla difesa, tanto più che il procedimento disciplinare è stato portato a
compimento e istruito dallo stesso soggetto rispetto al quale sarebbero state commesse le infrazioni poste a base del licenziamento.
Con il terzo motivo, il ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione del principio di immutabilità della contestazione desumibile dall’art. 55 bis del d. lgs. n. 165/2001 e dell’art. 7 legge n. 300/1970, nonché della regola concernente la corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ. , per avere la Corte territoriale escluso la violazione del principio di immutabilità della contestazione.
Critica la sentenza impugnata per avere ravvisato la giusta causa di licenziamento reputando comprovati fatti diversi e ulteriori rispetto a quelli rappresentati nella contestazione disciplinare.
Con il quarto motivo, il ricorso principale denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
Addebita alla Corte territoriale di non avere esaminato l’eccezione relativa alla dedotta violazione del diritto alla difesa e alla violazione del principio di immutabilità della contestazione.
Con il quinto motivo, il ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 2104, 2105, 2106 e 2119 cod. civ., nonché dell’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che i fatti posti a fondamento del licenziamento integrassero una giusta causa di licenziamento.
Sostiene l’insussistenza degli elementi indispensabili per la qualificazione della condotta in termini di insubordinazione tanto grave da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, in quanto lo COGNOME non aveva mai posto in essere condotte aggressive, moleste, minacciose, ingiuriose, o comunque lesive dell’onore e della dignità personale.
Evidenzia che lo COGNOME non aveva utilizzato parole offensive né toni ingiuriosi, non aveva posto in essere una condotta oggettivamente offensiva né atta a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle disposizioni del Commissario, non aveva attribuito al Commissario liquidatore qualità
manifestamente disonorevoli, né aveva contestato in modo arrogante l’operato del medesimo.
Con il sesto motivo, il ricorso principale denuncia violazione e/o falsa applicazione, dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.; nullità della sentenza e/o mancanza di motivazione ovvero motivazione apparente ovvero contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
Lamenta la carenza e la contraddittorietà della motivazione in ordine alla compensazione parziale delle spese di lite.
Sostiene che a fronte della reciproca soccombenza, la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.
Con l’unico motivo, il ricorso incidentale denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19 e 35 del d. lgs. 165/2001; violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2440/1923 e dell’art. 97 Cost., anche in relazione agli artt. 1418 e 1226 cod. civ.; nullità del rapporto di lavoro del ricorrente, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 1, cod. proc. civ.
Evidenzia che con deliberazione del Commissario straordinario n. 2/2008 lo COGNOME non era stato assunto, ma solo nominato direttore del RAGIONE_SOCIALE in data 9.1.2008 ai sensi dell’art. 19, comma 6, d. lgs. n. 165/2001, e che il medesimo non aveva mai assunto qualifiche dirigenziali.
Assume che in forza di tale disposizione l’incarico non poteva eccedere la durata di 5 anni e che era pertanto scaduto alla data del 10.1.2023.
Sostiene che l’effettivo datore di lavoro dello NOME, almeno fino alle dimissioni del medesimo, era sempre stato il Comune di RAGIONE_SOCIALE.
Deduce che la deliberazione del Commissario liquidatore n. 11 del 22.3.2012 era stata adottata sul falso presupposto che il ricorrente fosse stato assunto in ruolo con contratto di lavoro a tempo indeterminato in data 10.1.2008; aggiunge che l’assunzione a tempo indeterminato avrebbe richiesto una procedura selettiva.
Evidenzia che tale delibera rappresenta la mera convalida di un contratto nullo, peraltro in violazione dei criteri concorsuali per l’accesso alla dirigenza.
Argomenta che nel dicembre 2017 il Commissario liquidatore aveva chiesto al Comune di RAGIONE_SOCIALE di chiarire la posizione lavorativa dello COGNOME e che il Comune dapprima aveva negato l’accesso agli atti in quanto lo COGNOME non era transitato al RAGIONE_SOCIALE con procedura di mobilità, mentre a seguito di una seconda istanza il Comune aveva trasmesso la determina di collocazione in aspettativa senza assegni ed il provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro con il Comune n. NUMERO_DOCUMENTO del 17.11.2016 con decorrenza dal 8.2.2008, in esito alle asserite dimissioni dello COGNOME in data 7.2.2008, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO. Rimarca che tale ultima comunicazione aveva chiarito che l’incarico dirigenziale di direzione del RAGIONE_SOCIALE era a tempo determinato e che la cessazione del rapporto con il Comune di RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto determinare la cessazione automatica per sopravvenuto difetto dei requisiti di cui all’art. 19, comma 6, d. lgs. n. 165/2001.
8. Il ricorso incidentale, che per ragioni di priorità logica va trattato per primo, è inammissibile.
La Corte territoriale ha accertato la sussistenza di un rapporto dirigenziale a tempo indeterminato, rilevando che con deliberazione n. 2/2008 del Commissario Straordinario, lo COGNOME era stato era stato nominato direttore del RAGIONE_SOCIALE con chiamata diretta ai sensi dell’art. 3 del CCNL Dirigenti RAGIONE_SOCIALE di Sviluppo RAGIONE_SOCIALE, con applicazione del trattamento giuridico ed economico previsto dal suddetto CCNL (v. pag. 3 della sentenza impugnata).
Ha inoltre evidenziato che lo COGNOME all’epoca dirigente del Comune di RAGIONE_SOCIALE, in data 9.1.2008 aveva chiesto il collocamento in aspettativa e si era poi dimesso con comunicazione del 7.2.2008 (le dimissioni erano state accettate con provvedimento del 7.11.2016, ma con decorrenza dal 8.2.2008); ha pertanto ritenuto sussistente il rapporto di lavoro dirigenziale, di cui era consapevole lo stesso RAGIONE_SOCIALE, avendo il medesimo intimato il licenziamento.
La Corte territoriale ha dunque ritenuto la sussistenza di un rapporto dirigenziale, affermando che è stato costituito e regolato da un CCNL di diritto privato.
La sentenza impugnata è sul punto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui consorzi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 36 della legge n.
317/1991 sono enti pubblici economici e che, in difetto di una previsione contraria, il rapporto di lavoro del personale di tale ente resta assoggettato al regime dei rapporti di diritto privato ai sensi degli artt. 2093 e 2129 cod. civ. (Cass. n. 21990/2016, la quale ha richiamato Cass. S.U. n. 6179/1983, Cass. n. 5210/1998 e Cass. n. 5595/1999), mentre non trova applicazione il d. lgs. n. 165/2001.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
L’art. 7, comma, 38 della legge regionale Sardegna n. 3/2008, che ha stabilito lo scioglimento degli organi dei consorzi soppressi e la nomina di un Commissario liquidatore, si è limitato a prevedere che la Giunta regionale con propria deliberazione, su proposta dell’AVV_NOTAIO regionale dell’industria, impartisce al Commissario liquidatore apposite direttive sui tempi e sulle modalità delle procedure liquidatorie.
Tali disposizioni non precludono dunque al Commissario liquidatore l’esercizio del potere disciplinare per garantire la conservazione e l’integrità del patrimonio consortile e per evitare ritardi nella procedura di RAGIONE_SOCIALE, considerato che tali obiettivi caratterizzano in sé l’attività liquidatoria; né risultano disposizioni normative regionali che abbiano previsto la necessità di una ratifica dei provvedimenti disciplinari adottati dal Commissario liquidatore da parte della Giunta o dell’AVV_NOTAIO competente.
La Corte territoriale ha peraltro evidenziato con statuizione incensurata che l’AVV_NOTAIO regionale competente, attraverso plurime direttive, aveva invitato i commissari liquidatori ad adottare i provvedimenti necessari e le conseguenti segnalazioni agli organi competenti qualora fossero state rilevate irregolarità gestionali, e che nel caso di specie il Commissario liquidatore si era attenuto a tali direttive avviando e concludendo il procedimento disciplinare nei confronti dello COGNOME.
La sentenza impugnata ha infatti evidenziato che allo COGNOME era stato contestato che: a) nella mattina del 26.9.2017, sebbene fosse stato cautelarmente sospeso dal servizio, contravvenendo ad un ordine di servizio si era presentato presso gli uffici del RAGIONE_SOCIALE e si era rifiutato di allontanarsene nonostante gli fosse stato consegnato e letto esplicito ordine di servizio che si
era rifiutato di sottoscrivere, il tutto dopo che aveva richiesto l’intervento della Polizia per tentare ci costringere il Commissario ad ammetterlo negli uffici; b) nella medesima occasione aveva proibito al sig. COGNOME di aprire le porte dell’Ufficio Protocollo, costringendolo a chiedere l’intervento della Guardia RAGIONE_SOCIALE, solo dopo l’intervento della quale aveva ordinato al sig. COGNOME di aprire la porta chiusa a chiave; c) nonostante il suddetto ordine di servizio gli avesse fatto divieto di prelevare qualunque documento del RAGIONE_SOCIALE, aveva dapprima tentato di allontanarsi dagli uffici con un faldone di documenti originali custoditi presso il suo ufficio – tra i quali il contratto originale della RAGIONE_SOCIALEcostringendo il Commissario a bloccarlo fisicamente con l’ausilio del Lgt.COGNOME presente sul posto; d) nonostante la ferma opposizione del Commissario Liquidatore, aveva fatto effettuare e prelevato numerose fotocopie dei documenti contenuti nel faldone, portandole con sé all’uscita dall’ ufficio; e) alle rimostranze del Commissario Liquidatore, aveva più volte apostrofato il medesimo urlando frasi quali: ‘Lei non mi rappresenta nessuno. Io sono il Direttore e non rispondo a lei’, per giunta dinanzi ad alcuni colleghi di lavoro (COGNOME e COGNOME) e al Lgt. COGNOME e al M.NOME COGNOME della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE intervenuti; f) si era rifiutato di consegnare al Commissario le credenziali per l’accesso al computer a lui assegnato e collocato presso il suo ufficio, impedendo al Commissario di accedere ai documenti ivi contenuti, verosimilmente indispensabili per la gestione ordinaria del RAGIONE_SOCIALE durante la sua assenza dal servizio; g) nel contempo aveva acceduto al suo computer effettuando operazioni non meglio identificabili, ma che gli erano state comunque interdette durante la sospensione dal lavoro; h) all’atto dal suo allontanamento dagli uffici, aveva esplicitamente negato la consegna al Commissario delle chiavi della cassaforte, affermando di non esserne in possesso, nonostante risultasse che gli erano state consegnate e che avesse recentemente e personalmente aperto la medesima cassaforte; i) dall’esame di alcuni dei documenti originali che stava tentando di asportare dal RAGIONE_SOCIALE, era emerso che senza alcun potere al riguardo, aveva arbitrariamente e ingiustificatamente consentito alla RAGIONE_SOCIALE di operare in regime di proroga tacita del contratto di appalto del
21.5.2008, ben oltre la proroga fino al 21.6.2014, concessa dal DottAVV_NOTAIO COGNOME, precedente Commissario.
All’esito dell’istruttoria, il giudice di appello ha ritenuto che si era configurata l’ipotesi dell’insubordinazione ed ha pertanto ed ha ritenuto legittimo il licenziamento dello NOME.
Ciò premesso, non può ritenersi violato il divieto di modifica delle piante organiche e degli incarichi dirigenziali previsto dall’art. 7, comma 41, della legge regionale Sardegna n. 3/2008, atteso che l’organigramma del RAGIONE_SOCIALE è rimasto invariato (come ritenuto dalla Corte territoriale con statuizione incensurata) e che il rapporto dirigenziale è cessato con un licenziamento disciplinare irrogato in ragione di condotte idonee ad ostacolare, se non a precludere, il corretto esercizio dell’attività liquidatoria.
La sentenza impugnata è dunque conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui dalla qualificazione di enti pubblici economici attribuita dall’art. 36 della legge n. 317 del 1991 ai consorzi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, discende che dal campo privatistico imprenditoriale restano escluse le attività di natura pubblicistica (v. Cass. n. 21990/2016, la quale ha richiamato Cass. SU. n. 781/1999 e Cass. SU n. 14293/2010), tra le quali non rientra il potere disciplinare, e secondo cui ai liquidatori sono preclusi solo gli atti di gestione che non si giustificano con lo scopo di RAGIONE_SOCIALE, non già quelli diretti alla definizione dei rapporti in corso (v. Cass. n. 741/2004; Cass. n. 1037/1999 e Cass. n. 11393/1997).
10. Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile, in quanto la critica proposta si fonda sull’erroneo presupposto che alla fattispecie trovi applicazione il d.lgs. n. 165/2001.
Deve in questa sede ribadirsi che ai rapporti di lavoro del personale dei RAGIONE_SOCIALE non trova applicazione il d. lgs. n. 165/2001 (v. Cass. n. 21990/2016, la quale ha richiamato Cass. S.U. n. 6179/1983, Cass. n. 5210/1998 e Cass. n. 5595/1999 citt.); nel caso di specie non è dunque configurabile la violazione degli artt. 55 bis d.lgs. n. 165/2001 e 97 Cost.
Le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, secondo cui il rapporto di lavoro intercorso tra le parti rientra nella previsione del d.lgs. n. 165/2001 (pagg. 10 e 11) vanno dunque corrette ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.
11. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile, in quanto non prospetta una difformità tra la contestazione e il licenziamento, né lamenta che i fatti posti a fondamento del recesso siano indimostrati, ma si limita a criticare la sentenza impugnata per avere ritenuto provati fatti diversi da quelli oggetto di contestazione accedendo ad una ricostruzione del fatto diversa da quella fatta propria dal giudice di primo grado.
Inoltre il motivo lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. senza denunciare la nullità della sentenza impugnata.
Deve in proposito rammentarsi che secondo le Sezioni Unite di questa Corte, ‘Nel giudizio per cassazione – che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c.- il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia, da parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate, non è indispensabile che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purché nel motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge’ (Cass. S.U. n. 17931/2013).
12. Il quarto motivo del ricorso principale è del pari inammissibile, in quanto l’omesso esame di eccezioni non rientra nel paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ., che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa
circostanza in senso storico naturalistico, la cui esistenza risulti dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, avente carattere decisivo (Cass. n. 13024/2022 e Cass. n. 14082/2017).
La censura è inammissibile anche a volerla ritenere riferita alla violazione dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., in quanto non denuncia la nullità della sentenza impugnata.
Anche il quinto motivo del ricorso principale è inammissibile.
La Corte territoriale ha infatti evidenziato che lo COGNOME ha platealmente negato e contestato i poteri ed il ruolo del Commissario liquidatore; ha in particolare valorizzato le circostanze che tale contestazione era avvenuta in presenza di appartenenti alla Guardia RAGIONE_SOCIALE e di altri dipendenti, che lo COGNOME era il dirigente con la mansione più elevata dopo il Commissario liquidatore e che il comportamento dello COGNOME era stato preceduto da iniziative volte a contestare l’illegittimità (se non anche l’illiceità penale) degli atti del Commissario liquidatore per screditarne il ruolo e l’operato nei confronti degli altri dipendenti fino a provocare la rinuncia o la revoca dell’incarico.
A fronte di tali statuizioni, la censura si limita a prospettare l’insussistenza di una giusta causa di recesso e sollecita un giudizio di merito deducendo che lo COGNOME non aveva posto in essere condotte aggressive, offensive, moleste, minacciose o ingiuriose, non aveva attribuito al Commissario qualità disonorevoli, non aveva pregiudicato l’esecuzione ed il corretto svolgimento delle disposizioni del Commissario e non ne aveva contestato in maniera arrogante l’operato.
14. E’ inammissibile anche il sesto motivo del ricorso principale.
Non è infatti configurabile la mancanza o l’apparenza della motivazione, avendo la Corte territoriale compensato le spese nella misura della metà in ragione dell’esito del giudizio, e dunque della soccombenza reciproca (prevista dall’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. quale presupposto per compensazione in tutto o in parte delle spese di lite).
La sentenza impugnata è peraltro conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la compensazione delle spese processuali, di cui all’art. 92
cod. proc. civ., costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito (v., per tutte, Cass. SS. UU. n. 20598 del 2008).
Il giudice deve esplicitare le ragioni per le quali esercita il potere discrezionale di compensare le spese e la giustificazione deve superare la soglia della genericità (cfr. Cass. 20498 del 2023; Cass. n. 221 del 2016; Cass. n. 11217 del 2016; Cass. n. 14411 del 2016; Cass. n. 22310 del 2017) e non essere illogica o erronea (cfr. Cass. n. 1675 del 2020; Cass. n. 273 del 2023).
In conclusione, il ricorso principale va rigettato e il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
L’esito del giudizio di legittimità giustifica la compensazione delle relative spese di lite.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per entrambe le parti, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, del 1 ottobre 2024.
Il Consigliere estensore Il Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME