Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25159 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 25159 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/09/2025
SENTENZA
Oggetto
RAGIONE_SOCIALE
–
socia lavoratrice
–
licenziamento
–
esclusione dal rapporto
sociale –
impugnativa di
entrambi i
recessi –
accoglimento conseguenze
R.G.N. 14018/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 02/07/2025
PU
sul ricorso 14018-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2237/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/09/2019 R.G.N. 4168/2014; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
Fatti di causa
L a Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 2237/2019, in riforma di sentenza del Tribunale della stessa sede, ha dichiarato la sussistenza fra le parti (NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE) di un rapporto di lavoro subordinato, con inquadramento nel VI livello del CCNL Turismo – pubblici esercizi, tuttora in essere in mancanza di atti idoneo a interromperlo, e condannato la società appellata alla reintegrazione della lavoratrice e a pagarle un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto (da calcolarsi sulla retribuzione mensile di € 1.306,46) dal mese di luglio 2011 alla reintegra, oltre accessori.
Per quanto qui rileva (si tratta del terzo giudizio tra le parti), la Corte territoriale ha osservato che:
la lavoratrice era stata assunta nel 2001 e licenziata nel 2004; – nel 2007 era stata altresì esclusa dalla compagine sociale della cooperativa;
nel primo giudizio, il licenziamento era stato annullato, ma senza ordine di reintegra per l’intervenuta esclusione dalla compagine sociale, e con limitazione del risarcimento a cinque mensilità; successivamente (nello sviluppo del primo giudizio sul licenziamento) il risarcimento era stato accordato in misura pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento (2004) alla delibera di esclusione (2007);
nel secondo giudizio era stata annullata la delibera di esclusione, con rispristino del rapporto associativo;
nel presente giudizio era stata chiesta la declaratoria di sussistenza del rapporto di lavoro subordinato e la condanna alla reintegrazione, con estensione del risarcimento sino al ripristino effettivo del rapporto;
il Tribunale aveva dichiarato inammissibile il ricorso per violazione del giudicato;
la Corte, dato atto della peculiarità del caso in esame in cui licenziamento ed esclusione da socio non trovavano fondamento in un’unica causale, escludeva il rilievo di giudicato (interno o esterno), dal momento che il giudizio avverso la delibera di esclusione era distinto da quello di impugnativa di licenziamento;
poiché, al contrario, erano passati in giudicato tanto la declaratoria di illegittimità del licenziamento, quanto la declaratoria di illegittimità ex tunc della delibera di esclusione, tale nuovo stato di cose attribuiva alla lavoratrice, quale diversa causa petendi , il diritto di richiedere la piena applicazione della tutela reintegratoria e la tutela risarcitoria dal primo atto di messa in mora successivo alla pronuncia demolitoria della delibera di esclusione (lettera del 24.6.2011).
Per la cassazione della predetta sentenza della Corte d’Appello di Roma ha proposto ricorso la società cooperativa RAGIONE_SOCIALE, sulla base di sei motivi; NOME COGNOME ha resistito con controricorso, illustrato da memoria; entrambe le parti hanno depositato memoria per l’odierna pubblica udienza; il PG ha concluso per il rigetto del ricorso; in esito alla discussione orale, la causa è stata trattenuta in decisione.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo parte ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere il giudice di secondo grado applicato l’art. 18 della legge n. 300/1970, in assenza di una domanda in tal senso da parte della sig.ra NOME COGNOME
Il motivo non è fondato.
Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato può ritenersi violato non già quando il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, ma ogni qual volta, interferendo nel potere dispositivo delle parti, il giudice stesso alteri alcuno degli elementi obiettivi di i dentificazione dell’azione ( petitum e causa petendi ), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti. Ne consegue che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (cfr. Cass. n. 22595/2009, n. 513/2019, n. 17897/2019, n. 37747/2023).
Nel caso di specie, nella misura in cui la lavoratrice ha chiesto il ripristino del rapporto, l’utilizzo nel dispositivo della sentenza impugnata del termine reintegrazione riflette una
questione meramente nominale, e non sostanziale; infatti, le conclusioni dell’appellante, già rassegnate in primo grado e riportate nella sentenza impugnata, erano dirette alla condanna di parte datoriale alla ‘ reintegrazione della ricorrente e/o in ogni caso ordinare il ripristino del rapporto ‘; sicché la richiesta di accertamento della ‘ persistenza del rapporto di lavoro in carenza di un idoneo atto a interromperlo ‘ rientra univocamente nel petitum accolto dalla Corte di merito.
5. Con il secondo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18 della legge n. 300/1970 e 1206, 1207, 1217, 1218, 1223, 1453 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., sostenendo che la Corte d’Appello non ha considerato, ai fini del risarcimento del danno, che non vi è stata valida offerta della prestazione lavorativa.
6. Il motivo non è fondato.
L’invio di valido atto di messa in mora (24.6.2011) è stato accertato in fatto (v. p. 5 della sentenza impugnata), e sotto tale profilo di merito non è rivedibile in sede di legittimità.
8. La questione dell’idoneità di tale lettera in relazione alle condizioni di salute della lavoratrice appare, invece, nuova. Di essa non vi è traccia nella decisione impugnata, né parte ricorrente ha indicato e localizzato in quale atto delle fasi precedenti l’abbia sollevata. Deve quindi darsi continuità alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum
del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 18018/2024)
Si rileva altresì, in proposito, che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. n. 7187/2022, n. 640/2019), sicché non risulta meritevole di accoglimento la doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di un’alternativa interpretazione delle risultanze di causa (Cass. n. 11110/2021). Del resto, non risulta c he l’offerta di prestazioni sia stata riscontrata dalla società con riferimento alle questioni di idoneità per motivi di salute prima del, o durante il, giudizio.
10. Con il terzo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324, 295 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’Appello di Roma rigettato l’eccezione di giudicato sollevata dalla società ricorrente e accolta dal Giudice di primo grado in relazione alla mancata impugnazione in sede di legittimità della sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 8022/2008 che aveva negato il diritto alla reintegra con conseguente formazione di giudicato.
11. Il motivo non è fondato.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata
anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass. n. 5508/2018, conf. a Cass. n. 26627/2006; cfr. anche Cass. n. 6758/2024).
13. In ogni caso, il ragionamento della Corte di merito è esattamente fondato sulla peculiarità della fattispecie, determinato dall’esclusione da socia della cooperativa della lavoratrice licenziata dopo 3 anni dal licenziamento, quindi dall’impugnativa dei re cessi dal rapporto di lavoro e dal rapporto sociale con tempistiche diverse, non solo processuali. Ciò ha determinato l’accoglimento della domanda di ripristino del rapporto di lavoro in questa sede dopo l’annullamento giudiziale dell’esclusione da socia, in una situazione di fatto e di diritto diversa da quella dell’annullamento dell’originario licenziamento, stante la tempistica degli annullamenti dei rispettivi atti di recesso, autonomi e ampiamente distinti temporalmente, non dipendente da condotte o scelte della lavoratrice.
14. Ciò significa che, nel caso in esame, non opera il principio di preclusione del dedotto e del deducibile in conseguenza del giudicato, perché la situazione di fatto e di diritto esaminata nel presente giudizio (diritto al ripristino del rapporto e al risar cimento dei danni parametrato alle retribuzioni dall’offerta di prestazione lavorativa successiva al passaggio in giudicato
tanto dell’annullamento del licenziamento, quanto della delibera di esclusione da socia) è successiva agli altri giudizi, e non era in essi deducibile perché non ancora perfezionatisi.
15. Con il quarto motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere omesso la Corte di Appello di Roma di pronunciarsi sulla eccezione di aliunde percipiendum o comunque per motivazione apparente.
16. Il motivo è infondato.
17. Per integrare il vizio di omessa pronuncia o di omesso esame di punto decisivo non è sufficiente il semplice difetto di statuizione o motivazione del giudice su una richiesta delle parti, se il rigetto della richiesta sia implicito nella costruzione logicogiuridica della sentenza, essendo soddisfatto l’obbligo motivazionale anche attraverso una motivazione implicita, allorché le ragioni giustificatrici di una pronuncia siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito impugnata.
18. Nel caso di specie, il rigetto dell’eccezione di aliunde percipiendum si desume dal rigetto della connessa eccezione di aliunde perceptum , giudicata generica e carente di adeguate richieste istruttorie, sì da potersi considerare implicito per parallelismo, se non frutto di mera dimenticanza materiale. Invero, anche in relazione alla deduzione di aliunde percipiendum quale formulata nelle memorie di primo e secondo grado richiamate nel ricorso per cassazione si rileva genericità di allegazione (in particolare con riferimento al periodo in controversia) prima ancora che di prova, in violazione dello
specifico onere ricadente sulla parte eccipiente, odierna ricorrente (tra le altre, Cass. 9616/2015, Cass. 23226/2010).
19. Con il quinto motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2730 e 2733 c.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere il Collegio di secondo grado negato valore di confessione alle dichiarazioni rese dalla sig.ra COGNOME nell’atto di ricorso di primo grado ovvero ribaltato integralmente l’onere probatorio fra le parti, con riguardo alle condizioni di salute della lavoratrice.
20. Il motivo è infondato.
21. La violazione dell’art. 2697 c.c. è deducibile per cassazione soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26739/2024, n. 26769/2018).
22. Ai principi in materia di ripartizione dell’onere probatorio sì è conformata la pronuncia gravata, non assegnando valore probatorio dirimente (come da potere di valutazione delle prove spettante al giudice di merito) a un’affermazione generica contenuta in risalente atto di parte, senza richiesta di accertamenti istruttori. Tale valutazione istituzionalmente
riservata al giudice di merito non risulta validamente incrinata dalle censure articolate.
23. Invero, l’eventuale inidoneità della lavoratrice al servizio deve essere accertata in sede di visita medica, o comunque in base a documenti medici, o a seguito di mancata presentazione in servizio.
24. Con il sesto motivo, parte ricorrente deduce violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per avere il Giudice di secondo grado reso una motivazione apparente sulle ragioni per cui la trasformazione del datore di lavoro in holding finanziaria non sia sufficiente a precludere l’utilizzo della lavoratrice come addetta alle pulizie.
25. Il motivo non è fondato.
26. Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile il controllo sul suo ragionamento (cfr. Cass. n. 9105/2017, n. 20921/2019), ipotesi non ricorrente nel caso in esame. Il sindacato di legittimità sulla motivazione è, infatti, circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053 e 8054/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019). Nel caso di specie il ragionamento della Corte è senz’altro percepibile nei suoi presupposti fattuali e giuridici di talchè resta esclusa la sussistenza del vizio denunziato.
27. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto nel suo complesso.
28. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
29. Al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi professionali, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 luglio 2025.