Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12899 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 12899 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9525-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
RAGIONE_SOCIALE ;
ricorrente principale – controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 308/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/01/2021 R.G.N. 2733/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 19/03/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato in data 9.10.2018 a NOME COGNOME da RAGIONE_SOCIALE e condannato la società alla reintegra del lavoratore e al pagamento di una indennità risarcitoria, pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e spese;
la Corte ha ritenuto infondati sia il reclamo del lavoratore che quello della società;
in sintesi e per quanto qui ancora rileva, quanto alla dedotta natura ritorsiva del licenziamento, ha argomentato: ‘nell’ipotesi in esame, parte datoriale ha motivato il licenziamento sulla base delle esigenze dell’organizzazione aziendale priva di posizioni lavorative riguardanti profili informatici, avendo esternalizzato l’attività di help desk, con conseguente decisione di licenziare il ricorrente, riammesso in virtù di ordine giudiziale, per assenza di mansioni da affidargli; pertanto, non può affermarsi che il provvedimento giurisdizionale sfavorevole fosse l’unico motivo determinante, a prescindere dalla valutazione ex post sulla legittimità del giustificato motivo oggettivo. Ad escludere la natura ritorsiva non può non essere considerata, peraltro, la circostanza che la società, non avendo formalmente in organico profili tecnico-informatici, ha proceduto -come affermato dallo stesso ricorrente – ad una verifica sulle competenze del lavoratore per valutare la possibilità di impiegarlo in altre mansioni , a seguito dell’ordine giudiziale di reintegra’;
la Corte ha altresì escluso la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso datoriale, argomentando: ‘nel caso di specie, non ricorrono ipotesi di crisi dell’impresa, cessazione dell’attività o il venir meno delle mansioni affidate al lavoratore (la sentenza ha stabilito che il COGNOME svolgeva l’attività di informatico in favore e alle dipendenze della società), né l’imprenditore ha riorganizzato l’azienda, nell’ambito della sua discrezionalità imprenditoriale successivamente alla riammissione del COGNOME che renda inevitabile l’estromissione del ricorrente. La società vorrebbe, viceversa, individuare il giustificato motivo di licenziamento proprio nell’ordine del Giudice che dispone, appunto, di riammettere in servizio il ricorrente. Tale prospettazione non corrisponde alla ratio della norma e, argomentando diversamente, si avrebbe l’effetto di concedere all’azienda -invocando ‘ragioni inerenti all’attività produttiva’ -la possibilità di eludere l’ordine giudiziale che ha accertato e ripristinato la continuità del rapporto di lavoro subordinato con la società (riconosciuto come esistente sin dal 28.2.2000) e che sarebbe, in tal modo, inutiliter datum ‘;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso in via principale la società con un unico articolato motivo, cui ha resistito l’intimato con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a quattro motivi; ad esso ha resistito la società con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
1. col motivo di ricorso principale la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 604 del
1966, criticando la sentenza impugnata per avere escluso che la scelta organizzativa aziendale di esternalizzazione potesse integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento ‘in quanto antecedente e, quindi, non sopravvenuta alla costituzione giudiziale del rapporto di lavoro del controricorrente’;
si premette che il Tribunale di Roma, con sentenza n. 4401 del 28 maggio 2018, accertata una interposizione di manodopera, aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra RAGIONE_SOCIALE e il COGNOME con decorrenza dal 28 febbraio 2000, ordinando alla società di assegnarlo alle stesse mansioni svolte fino alla data del 15 giugno 2015 o altre equivalenti; si deduce che ‘solo all’esito della costituzione autoritativa del rapporto che è insorta l’esigenza per RAGIONE_SOCIALE d i valutare la compatibilità della figura del Sig. COGNOME con la propria organizzazione aziendale’; il che consentirebbe ‘di valorizzare, ai fini dell’integrazione dei presupposti di operatività dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966, anche scelte organizzative imprenditoriali antecedenti alla costituzione del rapporto di lavoro (quali l’esternalizzazione di un determinato servizio) in quanto causalmente non riconducibili alla successiva assunzione del COGNOME, avvenuta per ordine del Giudice e non su base volontaria’;
i motivi di ricorso incidentale possono essere richiamati come da sintesi formulata dalla stessa difesa del lavoratore; 2.1. col primo si denuncia, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1345 e 1418 cod. civ.’; si illustra diffusamente che ‘il licenziamento per giustificato motivo oggettivo -irrogato a carico del Sig. COGNOME -è nullo poiché ritorsivo, discriminatorio, elusivo dell’ordine giudiziale nonché sorretto da motivo illecito, unico e determinate’;
2.2. con il secondo si denuncia, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.: ‘Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonché degli artt. 1343, 1344 e 1418 cod. civ. -omessa pronuncia’; si deduce che ‘il licenziamento per giustificato motivo oggettivo -irrogato a carico del Sig. COGNOME -in quanto contrario all’ordine (giudiziale) di riammissione in servizio del Lavoratore e, comunque, idoneo ad eludere l’esecuzione del medesimo ordine (giudiziale) è, radicalmente, nullo per illiceità della causa o per fro de alla legge’;
2.3. il terzo mezzo denuncia, ancora ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.: ‘Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nonché del canone della buona fede oggettiva -nullità virtuale -violazione dell’art. 1418, comma 1, cod. civ. violazione delle disposizioni d ella contrattazione collettiva’; si sostiene che: ‘la violazione del canone della c.d. buona fede oggettiva -più e più volte perpetrata dalla società RAGIONE_SOCIALE -e l’esercizio abusivo delle tipiche prerogative datoriali (conferite dall’ordinamenti per realizzare ben altre libertà) determinano la nullità ‘virtuale’ del licenziamento irrogato a carico del COGNOME. COGNOME‘;
2.4. il quarto motivo di ricorso incidentale denuncia, sempre ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c.; ‘Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’accertamento incidentale richiesto’; si eccepisce che ‘la Corte di Appello ha omesso di accertare, in via incidentale, la fungibilità delle mansioni svolte dal Sig. COGNOME (dal 2000 al 2015) con quelle svolte dai Sigg.ri COGNOME NOME e COGNOME NOME, dipendenti della RAGIONE_SOCIALE inquadrati, rispettivamente, nel VI e V livello retributivo, RAGIONE_SOCIALE‘;
il ricorso principale della società non può trovare accoglimento;
correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che non potesse riscontrarsi un giustificato motivo oggettivo di
recesso datoriale laddove lo stesso fosse riferito non ad una sopravvenuta riorganizzazione aziendale quanto piuttosto ad un evento (la esternalizzazione) addirittura risalente al 2013, di gran lunga precedente rispetto alla riammissione in servizio del COGNOME realizzata nel 2018 su ordine del giudice;
invero, il giustificato motivo oggettivo del licenziamento è configurabile soltanto in presenza di un mutamento delle esigenze imprenditoriali esistenti all’atto della assunzione del lavoratore per un criterio di valutazione logico giacché soltanto l’attualità dei fatti costituenti il giustificato motivo e la loro sopravvenienza alla assunzione rende ragionevole la esistenza del necessario rapporto causale tra quei fatti ed il recesso (in termini, Cass. n. 23352 del 2016);
il precedente citato, invece, non può essere richiamato per ogni altro aspetto, atteso che, nella fattispecie all’attenzione del Collegio l’instaurazione del rapporto di lavoro non è avvenuta in adempimento di una obbligazione consensualmente assunta dal datore di lavoro, quanto piuttosto come conseguenza della declaratoria di una illecita interposizione fittizia di manodopera e del conseguente ordine giudiziale, sicché il successivo licenziamento non può certo trovare giustificazione in una condotta datoriale inadempiente;
parimenti non può trovare accoglimento il ricorso incidentale del lavoratore;
4.1. il primo e il secondo motivo, congiuntamente esaminabili per connessione, sono inammissibili;
per consolidata giurisprudenza ‘il valutare nella concretezza della vicenda storica se il licenziamento sia stato o meno intimato per motivo di ritorsione costituisce una quaestio facti , come tale devoluta all’apprezzamento dei giudici del merito, con un accertamento di fatto non suscettibile di
riesame innanzi a questa Corte di legittimità’ (per tutte v. Cass. n. 26399 del 2022; Cass. n. 6838 del 2023; ancora più di recente Cass. n. 2671 del 2024);
il secondo motivo è altresì inammissibile perché denuncia ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., un preteso errore di attività del giudice che avrebbe dovuto essere censurato nelle forme proprie dell’ error in procedendo per omessa pronuncia (tra le altre Cass., VI sez., n. 11801 del 2013), limitandosi ad argomentare sulla violazione di legge senza fare univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013);
4.2. per la stessa ragione è inammissibile il quarto motivo, in cui pure si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. a mente del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., senza neanche specificare come l’eventuale accertamento dello svolgimento di mansioni fungibili con altri lavoratori avrebbe potuto garantire la maggiore tutela prevista dai commi 1 e 2 dell’art. 18 novellato;
4.3. il terzo mezzo è infondato, atteso che non individua la norma che comminerebbe la nullità per violazione della buona fede in senso oggettivo, stante l’insuperato insegnamento secondo il quale l’eventuale inosservanza dei doveri di correttezza e buona fede, mentre può giustificare una pretesa risarcitoria, non può giustificare, di per sé, l’annullamento dell’atto o la declaratoria della sua nullità, non esistendo un principio generale secondo il quale la violazione dei suddetti principi comporti di per sé la nullità o l’annullabilità dell’atto (tra molte v. Cass. n. 25314 del 2009);
conclusivamente devono essere respinti sia il ricorso principale che il ricorso incidentale, con compensazione delle spese in ragione della reciproca soccombenza;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente princip ale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 19 marzo