Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21287 Anno 2024
SENTENZA
sul ricorso n. 16782/2023 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, da cui è rappresentata e difesa;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata-
Civile Sent. Sez. L Num. 21287 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA, n. 277/2023, pubblicata il 1° febbraio 2023.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del P.M. in persona del l’AVV_NOTAIO , che ha concluso per il rigetto;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha convenuto davanti al Tribunale di Roma l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo fosse dichiarato nullo il licenziamento del 31 agosto 2018, con sua conseguente reintegra nel posto di lavoro e pagamento di un’indennità risarcitoria .
Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3844/2021, ha rigettato il ricorso.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 277/2023, ha rigettato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 342 c.p.c., 2697 c.c. e 115 c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe rigettato l’appello sulla base dell’esame delle testimonianze rese in primo grado e della CTU grafologica espletata nonostante non le fosse stato trasmesso il fascicolo d’ufficio del giudizio svoltosi davanti al Tribunale di Roma.
La doglianza è inammissibile.
Infatti, dalla lettura dello storico del giudizio di appello consultabile dal DESK del Magistrato si evince che il fascicolo di primo grado era stato allegato.
Inoltre, si osserva che la ricorrente non ha contestato l’esattezza del contenuto delle testimonianze e della CTU come riportati nella sentenza di appello, con la conseguenza che essa non ha alcun interesse alla proposizione del motivo.
Con il secondo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 bis, comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001 in quanto la P.A. avrebbe dato inizio al procedimento in esame il 24 luglio 2018, nonostante l’organo competente avesse avuto notizia dell’infrazione contestata il 20 marz o 2018, così violando il termine di trenta giorni previsto da quest’ultima disposizione.
In particolare, il documento di convocazione ritenuto falsificato sarebbe stato da essa ricorrente presentato all’UPD proprio il 20 marzo 2018, in occasione dell’audizione svoltasi nell’ambito del distinto e precedente procedimento concernente la sua mancata presentazione presso il medico competente per effettuare gli accertamenti sanitari obbligatori previsti.
La doglianza è inammissibile, in quanto non si confronta con l’accertamento di merito della corte territoriale, qui non più sindacabile come tale, per la quale la commissione disciplinare aveva avuto contezza della difformità fra la nota di convocazione prodotta dalla lavoratrice e quella presente nella documentazione acquisita, recante la sottoscrizione della COGNOME per ricevuta, il 7 giugno 2018, quando si era riunita per valutare i fatti inerenti la prima contestazione disciplinare che aveva riguard ato la citata omessa presentazione dell’interessata presso il medico indicato per compiere gli accertamenti in questione.
In particolare, la Corte d’appello di Roma ha negato rilievo alla data del 20 marzo 2018 poiché, in tale occasione, la convocazione era stata sì prodotta dalla dipendente, ma ‘la parte datoriale non aveva contezza dell’alterazione’.
Con il terzo e il quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione, la ricorrente lamenta la violazione del principio di proporzionalità, della contrattazione e degli accordi collettivi.
Le doglianze sono inammissibili.
Infatti, in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’e ssere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascura to avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia (Cass., Sez. L, n. 107 del 3 gennaio 2024).
Nella specie, la corte territoriale ha motivato con completezza il suo giudizio sulla proporzionalità del licenziamento, alla luce del ruolo dirigenziale della ricorrente e della delicatezza delle mansioni svolte, con riferimento alle quali assumevano rilievo anche la corretta refertazione e l’esatta compilazione della documentazione.
Tali circostanze rendevano particolarmente grave la condotta della dipendente, che aveva fatto uso, nell’ambito del precedente procedimento disciplinare che l’aveva vista coinvolta, di un documento aziendale contraffatto al fine di avvalorare le proprie difese.
4) Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Nessuna statuizione deve esservi in ordine alle spese di lite, non avendo parte intimata svolto attività difensiva.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 5