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Licenziamento documento contraffatto: la Cassazione decide

Una dipendente pubblica viene licenziata per aver usato un documento contraffatto in un precedente procedimento disciplinare. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il licenziamento per il documento contraffatto è stato ritenuto proporzionato data la gravità del fatto e il ruolo dirigenziale della dipendente.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Licenziamento per documento contraffatto: quando è legittimo?

L’utilizzo di un documento alterato per difendersi in un procedimento disciplinare costituisce una giusta causa di recesso dal rapporto di lavoro. La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 21287/2024 chiarisce i contorni della legittimità di un licenziamento per documento contraffatto, confermando la decisione dei giudici di merito e dichiarando inammissibile il ricorso di una lavoratrice.

I Fatti del Caso

Una dipendente di un’agenzia sanitaria regionale, con un ruolo dirigenziale, veniva licenziata in seguito a un procedimento disciplinare. La contestazione non riguardava una sua negligenza operativa, ma un fatto ancora più grave: durante un precedente procedimento disciplinare (relativo alla sua mancata presentazione a visite mediche obbligatorie), la lavoratrice aveva prodotto una convocazione aziendale che risultava essere stata alterata.

L’azienda, una volta accertata la falsificazione del documento, avviava una nuova procedura disciplinare che si concludeva con il licenziamento per giusta causa. La lavoratrice impugnava il licenziamento, sostenendo diverse violazioni procedurali e la sproporzione della sanzione. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano le sue richieste, portando il caso dinanzi alla Corte di Cassazione.

L’Analisi della Corte sul licenziamento per documento contraffatto

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso, dichiarandoli tutti inammissibili. Vediamo i punti salienti del ragionamento dei giudici.

La Questione Procedurale sul Fascicolo Mancante

La ricorrente lamentava che la Corte d’Appello avesse deciso sulla base di testimonianze e di una perizia grafica (CTU) senza avere a disposizione il fascicolo del primo grado. La Cassazione ha rigettato questa doglianza, rilevando non solo che il fascicolo era stato regolarmente allegato, ma anche che la lavoratrice non aveva mai contestato l’esattezza di quanto riportato in sentenza riguardo a tali prove. Mancava, quindi, un reale interesse a sollevare la questione.

Il Termine per la Contestazione Disciplinare

Un punto cruciale del ricorso riguardava la presunta tardività dell’azione disciplinare. La lavoratrice sosteneva che l’azienda fosse a conoscenza del fatto già dal 20 marzo 2018, data in cui lei aveva presentato il documento, ma avesse avviato il procedimento solo il 24 luglio 2018, ben oltre i 30 giorni previsti dalla legge.

La Corte ha chiarito un principio fondamentale: il termine per la contestazione non decorre dal momento in cui il documento viene materialmente presentato, ma da quando il datore di lavoro acquisisce piena “contezza dell’alterazione”. In questo caso, la commissione disciplinare si era resa conto della difformità tra il documento prodotto e quello originale solo il 7 giugno 2018. Pertanto, l’avvio del procedimento a luglio risultava tempestivo.

Le Motivazioni

La motivazione centrale della sentenza risiede nella gravità della condotta della dipendente. I giudici di legittimità hanno sottolineato come la valutazione sulla proporzionalità della sanzione sia di competenza dei giudici di merito e possa essere sindacata in Cassazione solo in caso di vizi gravi della motivazione, qui assenti. La Corte d’Appello aveva ampiamente e logicamente motivato la sua decisione, valorizzando elementi decisivi: il ruolo dirigenziale della ricorrente, la delicatezza delle mansioni svolte e, soprattutto, la gravità intrinseca dell’aver utilizzato un documento aziendale contraffatto al fine di difendersi in un altro procedimento. Questo comportamento è stato considerato tale da ledere in modo irrimediabile il vincolo fiduciario che deve intercorrere tra datore di lavoro e dipendente. La condotta è stata ritenuta particolarmente grave perché non solo ha violato i doveri di lealtà e correttezza, ma ha anche minato l’integrità dei processi interni aziendali.

Le Conclusioni

La sentenza n. 21287/2024 offre due importanti conclusioni pratiche. In primo luogo, ribadisce che il termine per l’avvio di un’azione disciplinare decorre dalla piena e completa conoscenza del fatto illecito da parte del datore di lavoro, non da un semplice sospetto o dalla mera ricezione di un documento. In secondo luogo, conferma che il licenziamento per documento contraffatto è una sanzione proporzionata quando il lavoratore utilizza tale mezzo fraudolento per eludere le proprie responsabilità, specialmente se ricopre un ruolo di responsabilità. Un atto di tale natura distrugge la fiducia, elemento essenziale di qualsiasi rapporto di lavoro.

Quando inizia a decorrere il termine per avviare un procedimento disciplinare se un dipendente presenta un documento falso?
Il termine di 30 giorni previsto dalla legge non inizia dal momento della semplice presentazione del documento, ma da quando il datore di lavoro acquisisce la piena consapevolezza che il documento è stato alterato o falsificato.

L’uso di un documento aziendale contraffatto può giustificare il licenziamento?
Sì. Secondo la sentenza, l’utilizzo di un documento aziendale contraffatto, specialmente per difendersi in un altro procedimento disciplinare, è una condotta di particolare gravità che lede in modo irrimediabile il vincolo di fiducia e può legittimamente giustificare il licenziamento per giusta causa.

La Corte di Cassazione può riesaminare se una sanzione disciplinare è proporzionata?
No, la valutazione della proporzionalità della sanzione è compito del giudice di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata è del tutto assente, palesemente illogica, contraddittoria o basata su argomenti incomprensibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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