Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16934 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 16934 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
OGGETTO: PUBBLICO IMPIEGO
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
SENTENZA
sul ricorso 22840/2024 proposto da: COGNOME
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE CASERTARAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2742/2024 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata in data 22.07.2024 R.G.N. 523/2024; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P .M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Napoli ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Napoli Nord che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento al medesimo intimato dalla ASL di Caserta in data 30.6.2021, con le relative domande di tutela reintegratoria e risarcitoria ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300/1970.
La Corte territoriale, disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ha rilevato che lo Stabile, inizialmente utilizzato come co.co.pro e successivamente stabilizzato con contratto a tempo indeterminato senza mutare la sostanza delle sue mansioni, aveva ricoperto un ruolo amministrativo nel Distretto di Salute Mentale, concorrendo a gestire le dimissioni protette dei pazienti e a decidere dove collocarli e al contempo aveva diretto in modo occulto alcune strutture convenzionate con il suddetto Distretto; era stato dunque attinto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari con ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli Nord dell’11 febbraio 2021, confermata in sede di riesame dall’ordinanza del 8.3.2021, per gravissime condotte tenute nell’esercizio delle sue funzioni, che contemplavano numerosi episodi, sempre in concorso con terzi, circostanziati e probatoriamente sorretti tra cui corruzione, turbata libertà degli incanti, abuso d’ufficio, falso e truffa ai danni della pubblica amministrazione e rifiuto di atti di ufficio.
Ha ritenuto generico il richiamo ad una precedente pronuncia riguardante altro soggetto in diversa posizione ed ha rilevato che le accuse formulate nei confronti dello Stabile erano incentrate sulla gestione occulta delle cooperative
‘Rosso Rubino’ e ‘Verde Smeraldo’ di Gricignano d’Aversa e che tale aveva determinato l’acquisizione clientelare e interessata dei pazienti con problemi psichiatrici, con il controllo dei capitoli di spesa da cui venivano attinte le somme a copertura del servizio di affidamento dei pazienti in modo da destinarne illecitamente una parte al suo tornaconto personale ed in tale contesto era stata omessa l’attivazione delle commissioni U.V.I. (Unità di Valutazione Integrata) competenti per la valutazione dei percorsi assistenziali più appropriati (PTRI) di ogni paziente ed era risultata turbata la regolare gestione dell’affidamento del ‘Servizio di ricovero, cura e riabilitazione di pazienti psichiatrici’, in quanto si era proceduto con affidamento diretto e senza indire alcuna gara; era stata dunque posta in essere un’appropriazione indebita ed era stato falsamente attestato all’Amministrazione l’insussistenza di interesse finanziario o conflitti di interessi rispetto alla funzione esercitata nell’ambito del DSM della ASL di Caserta.
Il giudice di appello ha evidenziato il corposo e grave quadro indiziario scaturito da un’attività di indagine complessa e scrupolosa, sorretta dalle intercettazioni disposte dall’autorità giudiziaria ed ha osservato che ai fini del proprio convincimento il giudice del lavoro, anche in assenza del vaglio critico del dibattimento, può valutare gli atti delle indagini preliminari di un procedimento penale e le intercettazioni di cui sia venuto legittimamente a conoscenza, potendo la parte sempre contestare nel giudizio civile i fatti acquisiti in un procedimento penale.
Ha escluso che l’Amministrazione fosse tenuta a procedere ad autonoma istruttoria, ai fini della contestazione disciplinare, potendo la medesima valutare liberamente ed autonomamente gli atti del processo penale ricavandone sufficienti elementi per la contestazione di un illecito disciplinare; ha inoltre richiamato il principio secondo cui l’operatività del principio di non colpevolezza va limitata all’ambito del processo penale, mentre non esplica alcun rilievo nell’ambito del procedimento civile teso ad accertare la giusta causa del licenziamento.
Considerata la condotta della parte datoriale, che all’esito di un’autonoma valutazione del quadro probatorio emerso dagli atti del procedimento penale di cui aveva avuto legittima cognizione, aveva posto i relativi fatti a base della
contestazione e del successivo licenziamento, ha ritenuto che fosse onere del lavoratore secondo i comuni canoni probatori dedurre e provare circostanze impeditive o modificative che consentissero di confutare quei fatti, a cui lo Stabile aveva invece evitato di fare riferimento.
Avendo ritenuto sussistente una giusta causa di recesso, ha escluso la ritorsività del licenziamento e la tardività del recesso datoriale, atteso che il termine di 120 giorni decorre dalla data di attivazione del procedimento disciplinare (15.3.2021) contestualmente sospeso e riattivato in data 20.4.2021, mentre la determinazione espulsiva era intervenuta in data 30.6.2021.
Ha poi disatteso l’eccezione riguardante l’immutabilità della contestazione, essendo stato lo Stabile licenziato per i fatti contestati, con richiamo ai fatti del procedimento penale, mentre le ulteriori osservazioni dell’UPD sulla condotta aggressiva tenuta dal medesimo in sede di audizione (9.7.2021) non avevano modificato né integrato i fatti contestati.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi di censura, illustrati da memoria.
L’Azienda Sanitaria Locale di Caserta ha resistito con controricorso.
La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo, proposto ai sensi dell’articolo 360 n. 3 e 4 cod. proc. civ., denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia ed ultrapetizione.
Addebita alla Corte territoriale di avere omesso di pronunciarsi sulle argomentazioni relative a domande ed eccezioni riguardanti la tardività e le tempistiche del licenziamento, la genericità e l’immutabilità della contestazione, la sussistenza del fatto sui rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare, la sussistenza della giusta causa e la ritorsività del licenziamento.
Evidenzia che il precedente richiamato nell’atto di appello, non esaminato dalla Corte territoriale, aveva riguardato altro dipendente coinvolto nella stessa
vicenda ed avrebbe dovuto essere utilizzato quale fonte di prova raccolta in un diverso giudizio anche tra diverse parti e trarne elementi di valutazione.
Inoltre la denuncia del vizio di ultrapetizione non è in alcun modo argomentata.
2. La censura è inammissibile.
Non è configurabile l’omessa pronuncia, avendo la sentenza impugnata escluso la tardività e la ritorsività del licenziamento, evidenziato il contenuto della contestazione, escludendo la violazione del principio di immutabilità della contestazione e ravvisando una giusta causa di licenziamento.
E’ noto che il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, sicché lo stesso non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021).
Infatti, il giudice del merito non è tenuto ad esaminare espressamente e singolarmente ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, atteso che ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, con la conseguenza che si devono ritenere disattesi per implicito tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (vedi, per tutte: Cass. n. 22029 del 2022).
La censura lamenta la mancata disamina del precedente richiamato nell’atto di appello e ne lamenta la mancata utilizzazione come fonte di prova ora – a prescindere a parte la non vincolatività dei precedenti nel nostro ordinamento va rilevato che il ricorrente a fronte della ritenuta genericità di tale richiamo da parte della Corte d’appello, non precisa se e come tale deduzione era stata formulata nei gradi di merito nel rispetto degli oneri previsti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. e, di fatto, sollecita un giudizio di merito, precluso in questa sede.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ.,
dell’art. 2697 cod. civ., della legge n. 604/1966, degli artt. 55-bis e 55 d.lgs. n. 165/2001, per avere la Corte territoriale invertito l’onere della prova della fondatezza dell’addebito.
Sostiene che la prova della fondatezza dell’addebito è a carico del datore di lavoro e che nel caso di specie non è stata fornita.
Con la terza censura il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2697 cod. civ. e del d.lgs. n. 165/2001, nonché inammissibile ampliamento delle ragioni.
Lamenta la genericità della contestazione, sostenendo che le motivazioni della sentenza impugnata si discostano del tutto dal contenuto della nota di apertura del procedimento disciplinare.
Si duole del mancato rispetto dei principi dell’immediatezza e dell’immodificabilità della contestazione.
Con la quarta censura il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2969 cod. civ. e degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. in ordine all’errata ed illegittima valutazione delle prove, con conseguente errata valutazione delle stesse.
Addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto la responsabilità dello Stabile per fatti che non erano oggetto di contestazione.
Deduce il richiamo imparziale ed incompleto della contestazione disciplinare da parte della sentenza impugnata e sostiene che la Corte d’appello abbia preso in considerazione fatti non indicati nella nota di contestazione.
Con la quinta censura il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 653 e 654 cod. proc. pen. per l’irrilevanza degli atti penali richiamati nella sentenza impugnata e per il mancato riconoscimento di responsabilità in sede penale.
Lamenta l’illogicità della decisione, evidenziando che solo la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata all’esito del dibattimento ha efficacia di giudicato e che il giudice civile non è vincolato alla valutazione degli elementi istruttori compiuta in sede penale.
La seconda e la quinta censura, che vanno trattate congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondate.
Deve infatti rammentarsi che ‘In tema di procedimento disciplinare del pubblico dipendente, né l’art. 55-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 che ne disciplina le forme ed i termini, né l’art. 55-ter dello stesso decreto, che ne regola i rapporti con il procedimento penale, impongono alla Pubblica Amministrazione di procedere ad autonoma istruttoria ai fini della contestazione disciplinare, ne consegue che, venuta meno la regola assoluta della pregiudizialità del processo penale rispetto al procedimento disciplinare, e disciplinato per legge il possibile conflitto fra gli esiti dei procedimenti (art. 55 ter, ultimo comma, citato e artt. 653 e 654 c.p.p.), nulla impedisce alla P.A. di dimostrare la fondatezza della contestazione disciplinare avvalendosi degli atti del procedimento penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente’ (Cass., sez. lav., 17 novembre 2022, n. 33979).
Si è infatti chiarito che in casi di tal genere, sulla base proprio del principio di autonomia del giudizio disciplinare rispetto al procedimento penale, nulla impedisce che gli stessi fatti oggetto di archiviazione in sede penale possano essere oggetto di valutazione disciplinare e giustificare, come nel caso di specie e senza inversione alcuna del principio di riparto dell’onere probatorio, l’irrogazione della sanzione espulsiva.
La P .A. è libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che i medesimi forniscano, senza bisogno di ulteriori acquisizioni ed indagini, sufficienti elementi per la contestazione di illeciti disciplinari al proprio dipendente (v. Cass. n. 33979/2022, Cass. n. 6221/2021, Cass. n. 8410/2018 e Cass. n. 5284/2017).
Inoltre, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della legittimità del licenziamento disciplinare irrogato per un fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede penale, né la mancata attivazione del processo penale per il medesimo fatto addebitato, dovendosi effettuare una valutazione autonoma in ordine all’idoneità del fatto a integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo del recesso (Cass. n. 21549/2019; Cass. n. 37/2011).
Si è anche di recente ribadito che il giudicato penale di assoluzione non determina automaticamente l’archiviazione del procedimento disciplinare, perché – come si desume, nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, dalla previsione dell’art. 55-ter, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001 – la P.A. datrice di lavoro può sicuramente procedere disciplinarmente per fatti, magari rivelatisi inidonei alla condanna penale, che siano contenuti nell’originaria contestazione disciplinare e all’irrogazione di una sanzione provvisoria e, poi, dopo la definizione del procedimento penale con sentenza irrevocabile di assoluzione (nella specie, con la “formula perché il fatto non sussiste”), ad istanza di parte, alla riapertura del procedimento disciplinare “per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale” (Cass. n. 19514/2024).
La Corte territoriale si è attenuta a tali principi, avendo evidenziato che la parte datoriale, avuta legittima cognizione degli atti del procedimento penale in base ad un’autonoma valutazione della corposità probatoria, ha correttamente posto i relativi fatti a base della contestazione e del successivo licenziamento ed ha ritenuto che il giudice del lavoro possa valutare gli atti delle indagini preliminari di un procedimento penale e le intercettazioni telefoniche di cui sia venuto legittimamente a conoscenza.
Il giudice di appello ha poi valutato tali risultanze, sottolineando la grande complessità del quadro penale e la scrupolosità della relativa istruttoria descrivendo nei particolari il comportamento contestato che aveva determinato un’acquisizione clientelare e interessata in danno di pazienti tanto delicati come quelli psichiatrici per tornaconto personale; già solo questo comportamento non contestato nella sostanza dall’interessato -è sufficiente a giustificare il licenziamento.
Lo COGNOME nell’esercizio del suo diritto di difesa avrebbe eventualmente potuto contestare la tesi datoriale anche sotto il profilo del suddetto evidente contrasto delle condotte tenute con il rapporto di fiducia posto a base del rapporto di lavoro, nel pubblico impiego corroborato dal principio dello svolgimento delle funzioni con disciplina e onore, previsto dall’art. 54 Cost.
La terza e la quarta censura, che vanno trattate congiuntamente per la loro connessione logica, sono inammissibili, in quanto non assolvono agli oneri previsti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.
La sentenza impugnata descrive in modo dettagliato il fatto oggetto di contestazione ed evidenzia le ragioni in base alle quali il procedimento disciplinare deve intendersi concluso entro il termine di legge di 120 giorni decorrenti dalla data di attivazione del procedimento disciplinare (15 marzo 2021), contestualmente sospeso e successivamente riattivato (il 20 aprile 2021, data di pubblicazione delle motivazioni del riesame), per poi giungere alla determinazione espulsiva finale il 30 giugno 2021 per fatti corrispondenti a quelli contestati.
Nel prospettare la genericità della contestazione, la violazione dei principi di immediatezza e di immodificabilità della contestazione e nell’addebitare alla Corte territoriale di essersi pronunciata su fatti non contestati, i motivi non contengono specifiche censure a tali statuizioni, non riproducono né sintetizzano la contestazione ed il licenziamento.
Deve inoltre rammentarsi che in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione’ (Cass., sez. prima, 1° marzo 2022, n. 6774).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per la parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della