Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10950 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10950 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11545-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 906/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/03/2024 R.G.N. 1319/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 11545/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 25/02/2025
CC
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di prime cure, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a NOME COGNOME in data 6.11.2020 e ha condannato RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 18, comma 4, St. lav. novellato dalla legge richiamata, a reintegrarlo nel posto di lavoro, nonché a risarcirgli il danno pagando un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto, non superiore a dodici mensilità, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria e versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
la Corte, in estrema sintesi, premesso che l’oggetto della contestazione al dipendente nelle operazioni di rifornimento con l’utilizzo di carte carburanti e codice PIN personale consisteva nell’avere effettuato rifornimenti di carburante con la card abbinata a mezzi diversi da quelli operanti nel turno di lavoro, e di aver pertanto utilizzato la card aziendale per finalità estranee al servizio e comunque in violazione delle procedure aziendali in materia di gestione rifornimento carburante, ha ritenuto, sulla base del tenore della contestazione disciplinare e degli elementi istruttori acquisiti, anche in altri giudizi, che i fatti addebitati attenevano esclusivamente al disallineamento fra la card utilizzata e il mezzo assegnato, ma non al fatto che i rifornimenti in questione fossero avvenuti per finalità estranee al servizio e contrarie agli interessi aziendali; ha, quindi, argomentato che si trattava di condotte che, anche ove dimostrate, non sarebbero state punibili, secondo il CCNL, con la sanzione espulsiva, né, in concreto, apparivano suscettibili di ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la
prosecuzione del rapporto si risolvesse in un pregiudizio per l’azienda;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso AMA con 4 motivi; ha resistito con controricorso l’intimato ; entrambe le parti hanno comunicato memorie e, altresì, che il lavoratore è deceduto il 25.10.2024; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c.; sostiene che controparte non avrebbe riproposto l’eccezione di genericità della contestazione disciplinare nell’atto introduttivo della fase di reclamo del giudizio;
con il secondo motivo, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; sostiene che la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare la condotta disciplinare, limitandosi a rilevare l’assenza di contestazione da parte dell’azienda circa l’appropriazione di carburante per fini personali;
3. con il terzo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione degli artt. 2119 c.c. e 68, primo comma, lett. f), del CCNL dei servizi ambientali, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che le condotte contestate al dipendente non rientrino tra quelle punibili con sanzione espulsiva;
4. con il quarto motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, legge n. 300/1970, per avere la Corte di merito ritenuto che i fatti contestati rientrassero tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, previsione non
contenuta nel CCNL applicato al rapporto, e comunque rientrando la condotta contestata nella fattispecie di furto;
5. il ricorso è complessivamente infondato, per le ragioni espresse da questa Corte in pronunce in controversie analoghe (Cass. n. 8557, n. 8565, n. 9437 del 2024), le cui motivazioni si richiamano anche si sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.;
6. in particolare, quanto al primo motivo circa la prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c., osserva il Collegio che ricorre violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nell’ipotesi in cui il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” e “causa petendi”) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), cioè quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (v. Cass. n. 455/2011 e successive conformi), mentre non rientra nell’ambito applicativo della norma l’esame esplicito di tutte le argomentazioni difensive (nel caso di specie, parte controricorrente ha localizzato – cfr. p. 16 controricorso – la sede delle proprie doglianze anche in fase di reclamo);
7. d’altra parte, questa Corte ha precisato (Cass. SS.UU. n. 27199/2017, Cass. n. 13535/2018), in relazione agli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83/2012, conv. con modif. dalla legge n. 134/2012, come, per superare il vaglio di ammissibilità dell’appello, non occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, risultando
sufficiente che l’impugnazione contenga una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze;
ciò posto in diritto, la Corte territoriale, pronunciandosi nel merito, ha chiaramente ritenuto che la parte appellante avesse individuato sufficientemente, oltre ai punti e ai capi della decisione investiti dall’impugnazione, anche le ragioni in base alle quali veniva chiesta la riforma, in guisa tale che il quantum appellatum restasse specificato in modo esauriente, ponendo il giudice d’appello in condizione di comprendere con chiarezza quale fosse il contenuto delle censure proposte, potendo le stesse anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado; sicché la decisione della Corte territoriale che ha evitato di comminare la più grave delle sanzioni processuali, definendo invece nel merito il gravame, risulta corretta;
9. il secondo motivo è infondato;
posto che l’accertamento della sussistenza in fatto della condotta addebitata, così come la valutazione degli elementi probatori volti ad accertare i fatti, rappresentano questioni di merito, che esorbitano dal controllo di legittimità, il motivo di censura pretende di sollecitare la revisione del giudizio di merito, operazione non consentita in questa sede;
11. il terzo e quarto motivo non sono fondati;
deve qui ribadirsi che, in generale, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.;
questa Corte non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza; tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; dunque, l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (cfr. Cass. n.13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020, n. 7029/2023, n. 23287/2023, n. 26043/2023, n. 30663/2023, n. 107/2024, n. 5596/2024, n. 12787/2024, n. 21123/2024, n. 24523/2024);
13. sebbene la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva non possa considerarsi vincolante ai fini della valutazione del giudice in merito alla gravità della condotta e alla proporzionalità della sanzione, nondimeno, nel valutare in concreto i fatti sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, la scala valoriale formulata dalle parti sociali deve costituire uno dei parametri di riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c.; nel caso di specie è stata espressamente esclusa la prova di furto di carburante, e, al contrario, sono state riscontrate in fatto (con plausibile ricostruzione) irregolarità non idonee a pregiudicare in via definitiva il rapporto di fiducia (cfr. Cass. n. 15140/2023);
14. pertanto, il ricorso deve essere respinto, con le spese regolate dalla soccombenza e attribuite al procuratore del controricorrente che si è dichiarato anticipatario;
15. ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315/2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 25 febbraio