Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28365 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 28365 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N.21689NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 08/10/2025
PU
SENTENZA
sul ricorso 21689-2024 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 109/2024 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 02/09/2024 R.G.N. 25/2024; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO COGNOME per delega
dell’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Campobasso, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento di reclamo ex lege n. 92 del 2012, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto integralmente il ricorso proposto da COGNOME NOME per l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato da RAGIONE_SOCIALE in data 4 agosto 2021.
La Corte territoriale, in estrema sintesi e per quanto ancora rilevi in questa sede di legittimità, ha innanzitutto considerato, ‘in merito alla proprietà del notebook , di cui il COGNOME aveva la disponibilità per lo svolgimento dell’attività lavorativa e da cui sono stati estratti i dati utilizzati da RAGIONE_SOCIALE per l’elevazione della contestazione disciplinare’, che ‘dagli atti prodotti dalle parti non emerge che il contratto di acquisto da parte del lavoratore si sia concluso secondo la sequenza procedime ntale ‘proposta RAGIONE_SOCIALE/accettazione del COGNOME‘ e debba ritenersi, pertanto concluso, secondo la prospettazione dell’odierno reclamante, alla data del 12.05.2021’, trovando piuttosto conferma che ‘prima del 10.6.2021 il pc era ancora di proprietà di SEN’.
La Corte ha anche ritenuto utilizzabili gli elementi di prova acquisiti dalla società sul computer in uso al COGNOME per rendere la prestazione lavorativa argomentando che, nonostante il controllo sul computer fosse stato eseguito acquisendo dati precedenti al primo alert dei sistemi informatici aziendali che aveva ingenerato il sospetto di operazioni anomale, tuttavia l’attività compiuta dalla datrice di lavoro doveva ritenersi conforme alle prescrizioni dell’art.
4 St. lav., in quanto vi era la prova che era stata fornita anche al COGNOME un’adeguata informativa mediante diffusione della policy aziendale sull’utilizzo delle dotazioni informatiche; con essa ‘la datrice di lavoro informava, , i dipendenti della possibilità di effettuare, in caso di rilevate anomalie, verifiche e controlli nel rispetto delle previsioni di legge, riservandosi, in caso di accertamento di comportamenti non conformi alle disposizioni aziendali, la possibilità di applicare le previsioni contrattuali in materia disciplinare’.
In ordine alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento, la Corte ha argomentato: ‘Nel caso di specie è risultato accertato che il COGNOME ha compiuto reiterate condotte di abuso negli accessi al sistema SOLEWEB, ricercando, visualizzando e trasmettendo all’esterno dati sensibili, esponendo l’Azienda a danni di immagine, oltre che a potenziali pregiudizi patrimoniali, tali condotte integrando una evidente violazione della policy aziendale sull’utilizzazione dei sistemi e degli asset aziendali. Il numero impressionante di accessi abusivi al sistema SOLEWEB effettuati dal COGNOME (n. 54.251, per n. 10.521.451 record), il notevole arco temporale (da ottobre 2020 a maggio del 2021) cui si riferisce la contestazione, l’invio di ben 125 mail a 10 indirizzi esterni alla organizzazione della datrice di lavoro, con allegate 133 fatture di clienti della SEN, integrante una violazione dei dati personali della clientela, connotano di particolare gravità le condotte oggetto di contestazione disciplinare. Per lungo tempo, inoltre, durante l’orario di lavoro, il COGNOME si è dedicato ad attività estranee ai compiti assegnatigli, mostrando disinteresse per il suo lavoro, così palesemente violando i doveri di fedeltà e diligenza e incrinando il rapporto di fiducia con la datrice di lavoro’.
‘Sotto il profilo soggettivo prosegue la sentenza impugnata -è emersa la consapevole, intenzionale e persistente violazione delle regole aziendali da parte del COGNOME. La datrice di lavoro ha dimostrato, anche attraverso le deposizioni dei testi, come fosse del tutto ingiustificato l’invio dei dati riguardanti la sua clientela (appartenente al cd. ‘mercato tutelato’) a referenti o gestori dei negozi di RAGIONE_SOCIALE, società da ritenersi soggetto distinto da essa e avente clientela diversa, operando in regime di unbundling (disaggregazione) sul mercato libero. Il COGNOME, dunque, non solo non era disinteressato, ma, come detto, ha esposto la società al pericolo di sanzioni da parte del Garante della privacy, comunicando ad estranei dati sensibili della clientela di SEN’.
La Corte ha concluso: ‘Non possono, , nutrirsi dubbi sulla gravità delle condotte ascritte al COGNOME e sulla idoneità delle stesse a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra lavoratore e datrice di lavoro, risultando effettivamente compromesse nel caso di specie le aspettative datoriali sul futuro corretto adempimento della obbligazione lavorativa’.
Per la cassazione di tale sentenza, il lavoratore ha proposto ricorso con otto motivi ; ha resistito l’intimata società con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere come di seguito sintetizzati.
1.1. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c. ‘circa il momento di conclusione del contratto di acquisto del notebook da parte del COGNOME‘, sostenendo che lo stesso doveva farsi risalire
al 12 maggio 2021, per cui ogni successiva attività dell’azienda sul computer già di proprietà del COGNOME doveva considerarsi illecita.
1.2. Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 L. 300/1970, del D.lgs. n.196/2003 e dell’art. 13 G.D.P.R. (Regolamento U.E. 2016/679), deducendo l’illegittimità dei controlli effettuati sul notebook e contestando che il COGNOME abbia mai avuto adeguata informativa sulla possibilità della datrice di lavoro di effettuare controlli sugli asset aziendali.
1.3. Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in ordine alla contestata sottrazione di file aziendali, eccependo che ‘la Corte di Appello ha supposto un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa per come pacificamente risultante dall’istruttoria’.
1.4. Il quarto mezzo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, Legge 300/1970, sostenendo l’insussistenza fatto contestato per difetto di illiceità disciplinare dell’addebito.
1.5. Il quinto motivo denuncia ancora la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, Legge 300/1970, eccependo la ‘assoluta sproporzione tra fatto contestato -sia unitariamente che singolarmente considerati -e provvedimento disciplinare’.
1.6. Il sesto motivo denuncia sempre la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, Legge 300/1970, unitamente alla violazione dell’art. 25 C.C.N.L. per i lavoratori addetti al settore elettrico, perché il presunto ‘fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni del contratto collettivo’ applicabile.
1.7. Il settimo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ammesso le prove testimoniali richieste.
1.8. L’ultimo motivo, rubricato ‘spese di giudizio’, eccepisce che la condanna sarebbe censurabile perché si fonda su ‘l’ingiusto ed illegittimo rigetto della domanda’.
Il ricorso non può trovare accoglimento.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
Ad onta dell’apparente denuncia di violazione dell’art. 1326 c.c., nella sostanza si propone solo una diversa ricostruzione della vicenda storica inerente alla conclusione del contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del notebook in uso al COGNOME.
Come noto, infatti, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata ‘male’ applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.
2.2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo perché,
anche in questo caso, pur denunciando la violazione di una serie di norme di diritto, con esso essenzialmente si contesta un fatto, negando che COGNOME abbia ‘mai avuto in visione né tantomeno mai sottoscritto alcun documento che lo informasse del potere/facoltà, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di effettuare controlli sugli asset aziendali’, in contrasto, invece, con quanto espressamente acclarato dalla Corte territoriale (pag. 14) con un accertamento non sindacabile in sede di legittimità.
Né tantomeno vengono individuate ulteriori specifiche violazioni in ordine al contenuto dell’informativa, di cui non viene neanche riportato il contenuto.
2.3. Il terzo motivo è inammissibile perché invoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. al di fuori dei limiti consentiti dalle decisioni delle Sezioni unite con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014.
Con tali pronunce su detta disposizione sono stati espressi i seguenti principi di diritto (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici): a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.
Invece il motivo in esame si limita a sostenere che la condotta addebitata di sottrazione e divulgazione di dati non vi sarebbe stata, in quanto si sarebbe trattato di una mera ‘interrogazione di sistemi informatici’, in difformità da quanto invece accertato dai giudici del merito, per di più prospettando la denuncia alla stregua di un vizio revocatorio, inammissibile in questa sede, deducendo che ‘la Corte di Appello ha supposto un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa’.
2.4. Il quarto motivo è da respingere.
Oltre a richiamare impropriamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 St. lav., che attiene al regime di tutela applicabile, ma solo nel caso in cui sia stata accertata
l’illegittimità del licenziamento, mentre nella specie il recesso datoriale è stato ritenuto legittimo, nella censura ci si limita a negare apoditticamente la rilevanza disciplinare del fatto contestato, che invece è stata accertata in entrambi i gradi di merito.
2.5. Il quinto mezzo è inammissibile.
Genericamente viene contestato il giudizio di proporzionalità tra condotta addebitata e sanzione espulsiva motivatamente espresso dalla Corte territoriale, con una valutazione che implica apprezzamenti devoluti al giudice del merito per costante e risalente insegnamento al quale è sufficiente richiamarsi (Cass. n. 23565, n. 22554 e n. 15327 del 2025; Cass n. 107 e 8642 del 2024; Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003).
2.6. Il sesto motivo, con cui si deduce la violazione dell’art. 25 del CCNL per i lavoratori addetti al settore elettrico, è inammissibile.
Infatti, non viene riportato nell’illustrazione del motivo il contenuto integrale della clausola contrattuale collettiva di cui si denuncia l’erronea interpretazione ( ex multis : Cass. n. 25728 del 2013; Cass. n. 13587 del 2010) né si specifica se il contratto collettivo nazionale sia stato prodotto integralmente (cfr. Cass. SS.UU. n. 20075 del 2010) e l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile (Cass. SS.UU. n. 25038 del 2013; Cass., SS. UU. n. 7161 del 2010; conformi: Cass. nn. 17602 del 2011 e n. 124 del 2013).
Inoltre, si indica una previsione della contrattazione collettiva che punisce con sanzione conservativa una condotta che non è quella accertata dalla Corte territoriale ed in contrasto con la valutazione espressa dalla medesima in ordine all’esistenza di ‘un grave nocumento’ per l’azienda
(pag. 20 sentenza impugnata) che può riguardare anche il patrimonio reputazionale (cfr. Cass. n. 23985 del 2024; Cass. n. 8710 del 2025).
2.7. Il settimo motivo è inammissibile perché ancora si deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. al di fuori dei limiti consentiti dalla disposizione, in particolare censurando il mancato esame di richieste istruttorie che, per le richiamate pronunce delle Sezioni unite civili, non integra il vizio di omesso esame di fatto decisivo, che deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, che ha dato origine alla controversia e non certo un fatto processuale.
2.8. Infine, l’ultima doglianza è inammissibile configurandosi come ‘non motivo’, dal momento che l’auspicata rinnovazione del regolamento delle spese, in senso favorevole al ricorrente, postulerebbe l’accoglimento delle altre censure proposte con il ricorso, invece disattese (Cass. n. 25782 del 2025; Cass. n. 26534 del 2025).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con spese, liquidate come da dispositivo, che seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il soccombente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.500,00, oltre euro
200 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2025.
Il cons. est. DottAVV_NOTAIO NOME COGNOME
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME