Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22192 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22192 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12194-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA COGNOME CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 589/2020 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 29/10/2020 R.G.N. 347/2020;
Oggetto
R.G.N. 12194NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/06/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che
con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione avverso l’ordinanza ex art. 1, comma 49 l. n. 92/2012 con la quale era stato annullato il licenziamento in data 5 ottobre 2017 intimato per giustificato motivo soggettivo a NOME COGNOME da RAGIONE_SOCIALE e la società datrice condannata alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro ed al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre che al pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal licenziamento fino all’effettiva reintegrazione;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi; la parte intimata ha depositato controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato che
con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 8 l. n. 300/1970, censurando la sentenza impugnata per avere, al fine della verifica del requisito dimensionale connesso all’applicabilità della tutela reale, escluso, sulla base di una errata interpretazione della disciplina di riferimento, la configurabilità di distinte unità produttive dell’articolazione organizzativa della società ;
con il secondo motivo parte ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 10 c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto rilevante, ai fini dell’applicazione della fattispecie di cui all’art. 10 lett. A) c.c.n.l. applicabile, la circostanza della insussistenza di una recidiva sanzionata con due provvedimenti di sospensione, e per avere proceduto, al fine della sussumibilità o verifica di proporzionalità delle condotte contestate, ad una considerazione atomistica e non unitaria dei fatti oggetto di addebito disciplinare;
il primo motivo di ricorso è inammissibile;
3.1. la Corte di appello ha ritenuto la carenza di allegazione in fatto, prima che di prova, in ordine alla esistenza di unità organizzative ed operative autonome (quali, nella prospettiva della società, avrebbero dovuto essere la articolazione presente in Livorno e quella presente nell’isola d’Elba) ed ha ampiamente argomentato in ordine alla complessiva organizzazione della società scaturente dalle emergenze della prova orale e documentale; si è in particolare soffermata sull’ organigramma prodotto dalla odierna ricorrente osservando che dallo stesso emergeva una sostanziale unitarietà dell’organizzazione che faceva capo comunque all’Amministratore unico; la circostanza che presso l’Elba vi fossero degli uffici in quanto esistevano dei cantieri non era decisiva non essendo stata individuata e dimostrata l’autonomia organizzativa ed amministrativa delle due unità nel senso prospettato dalla parte reclamante;
3.2. parte ricorrente, pur formalmente denunziando (anche) violazione e falsa applicazione di norme di diritto, affida le
proprie doglianze sostanzialmente ad una diversa lettura in punto di significatività probatoria delle emergenze in atti, lettura intrinsecamente inidonea ad incrinare l’accertamento di fatto del giudice di appello, che, peraltro, in quanto espressione di ‘doppia conforme’ ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. non è censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. non avendo parte ricorrente, come suo onere, dimostrato che le ragioni di fatto alla base della sentenza di primo grado e quelle alla base della sentenza di secondo grado erano fra loro diverse (Cass. n. 5947/2023; Cass. n. 26774/ 2019, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014);
3.3. in relazione alla denunziata violazione di norme di diritto deve inoltre ulteriormente evidenziarsi che la sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione in contrasto con la giurisprudenza della S.C., richiamata nella illustrazione del motivo, in punto di non necessità della esistenza di un soggetto preposto all’unità produttiva dotato di poteri rappresentativi (Cass. n. 21714/2012); invero l’accertamento della insussistenza del requisito dell’autonomia organizzativa e amministrativa non è stato dal giudice di merito collegato all’assenza di un preposto ma affidato ad una serie di indici che rinviano ad una gestione sostanzialmente unitaria sia dei cantieri in continente che in quello dell’isola d’Elba ove era addetto il COGNOME;
il secondo motivo di ricorso presenta un profilo di inammissibilità in quanto parte ricorrente non ha indicato la sede di produzione del contratto collettivo nell’ambito del giudizio di merito, come necessario alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea
valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’ art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 2018, n. 195/2016, n. 2015, n. 26174/ 2014, n. 22607/2014, Sez. Un, n. 2010);
4.1. esso è inoltre improcedibile per non avere parte ricorrente, in violazione del disposto dell’art. 369,comma 1 n. 4 c.p.c. provveduto al deposito del contratto collettivo alla base delle censure articolate;
4.2. in ogni caso il motivo è infondato nel merito;
4.3. la Corte ha, in sostanza, ritenuto che le condotte ascritte, pur sussistenti, erano punibili a mente del c.c.n.l. con sanzioni conservative; in particolare, per l’episodio del cellulare ha ritenuto che lo stesso, in quanto non effettuato con l’intenz ione di disubbidire alle disposizioni del datore di lavoro incidenti sul regolare svolgimento della prestazione, non era qualificabile come insubordinazione e che, in ogni caso, si sarebbe trattato di insubordinazione di natura lieve, riconducibile, ai sen si dell’art. 9 c.c.n.l., a condotte punite con sanzione conservativa; a tale fattispecie ha altresì ricondotto anche la cancellazione da parte del dipendente, dal cartello presente in cantiere, del proprio nome, indicato quale quello di responsabile del cantiere; ha infatti evidenziato che il lavoratore
con tale comportamento non aveva inteso sottrarsi alle relative responsabilità atteso che egli effettivamente non rivestiva la posizione di responsabile essendo un mero ‘ assistente’; infine, il giudice del reclamo ha rilevato che nulla era stato specificamente allegato dalla società circa la sussistenza di un vero e proprio obbligo a carico del COGNOME di vigilanza dell’area che era nella disponibilità anche di altre ditte;
4.4. quanto all’ipotesi ex art. 10 lett. a) c.c.n.l., in tema di licenziamento con preavviso ha ritenuto che alla stregua della previsione collettiva si richiedeva in relazione alle ipotesi punite ex art. 9 la recidiva per due sanzioni conservative di sospensione, che non era stata contestata, pur configurandosi come costitutiva della fattispecie sanzionata dalla norma collettiva;
4.5. ciò posto, il ragionamento decisorio della sentenza impugnata non risulta validamente inficiato dalle doglianze formulate che si risolvono in una mera contrapposizione valutativa rispetto alle conclusioni attinte dal giudice di merito e che non si confrontano specificamente con la motivazione della sentenza impugnata in tema di nozione di insubordinazione, nozione conforme alla giurisprudenza della Corte ( ex plurimis, Cass. 13411/2020);
all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente alle spese di lite ed al pagamento raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 5 giugno