Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1229 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1229 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21274/2023 r.g., proposto
da
COGNOME elett. dom.ta presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Trento n. 23/2023 pubblicata in data 25/08/2023, n.r.g. 14/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stata dipendente di RAGIONE_SOCIALE dal 09/04/2001, in qualità di informatore scientifico del farmaco, fino al 06/09/2019, quando era stata licenziata per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare di non aver effettuato visite presso alcuni medici nelle giornate del 24, 25 e 26 luglio 2019, alle quali era invece obbligata.
OGGETTO:
licenziamento disciplinare -termine previsto dal CCNL per la conclusione del procedimento – natura limiti – possibile dilazione – necessario consenso delle parti
Impugnava il licenziamento, chiedendone l’annullamento e la sua reintegrazione nel posto di lavoro, con espressa riserva di agire in separato giudizio per la condanna della società al pagamento dell’indennità prevista dal CCNL di settore per le trasferte effettuate fuori dal Comune di residenza, già richieste con missiva della primavera del 2019.
2.Costituitosi il contraddittorio, all’esito della fase c.d. sommaria introdotta dalla legge n. 92/2012 il Tribunale rigettava l’impugnazione del licenziamento. Questa statuizione era confermata a seguito di opposizione della COGNOME.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla lavoratrice.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
è infondata l’eccezione di tardività del licenziamento, poiché l’art. 38 CCNL chimica industria prevede che il provvedimento non può essere comminato dopo 16 giorni dalla contestazione, anche nel caso in cui il lavoratore non presenti alcuna giustificazione;
secondo la reclamante poiché la contestazione è del 02/08/2019, il licenziamento non poteva essere intimato oltre il 18/08/2019 e sarebbe irrilevante l’utilizzo di termini a difesa più lunghi concessi dal datore di lavoro;
questa deduzione è infondata, poiché il termine minimo a difesa di otto giorni è volto a garantire un’idonea difesa, termine che il datore di lavoro deve rispettare nel senso che non può adottare alcun provvedimento prima della sua scadenza;
orbene, considerata la chiusura feriale dell’azienda, il termine a difesa è iniziato a decorrere soltanto il 26/08/2019, come comunicato dalla società e accettato per facta concludentia dalla lavoratrice, che si è avvalsa del termine di otto giorni inviando le proprie difese il 30/08/2019;
si tratta dunque di una dilazione di maggior favore, accettata ed utilizzata dalla lavoratrice, senza alcuna compressione dei suoi diritti;
dopo le giustificazioni la società ha tempestivamente recapitato la lettera di licenziamento in data 06/09/2019, ossia entro il termine di sedici giorni decorrenti dal 26/08/2019;
non sussiste l’asserita ritorsività del licenziamento, atteso che a tal fine il motivo illecito dovrebbe essere esclusivo e determinante, con relativo onere probatorio a carico del lavoratore;
nel caso in esame la lavoratrice non ha offerto elementi dai quali evincere l’intento ritorsivo, poiché le allegazioni della Scopece indicano l’esistenza di pretese creditorie nei confronti della società, senza alcuna valenza dimostrativa sul piano causale e cronologico del nesso fra quelle pretese e il licenziamento intimato per giusta causa;
nessuna rilevanza ha la lettera del 03/04/2019 inviata dall’avvocato della lavoratrice alla società, perché è relativa a precedenti contestazioni disciplinari riguardanti fatti diversi e risalenti, cronologicamente anteriori alle presunte istanze economiche;
le istanze istruttorie della lavoratrice non possono essere accolte, in quanto i capitoli di prova (24, 25, 26, 29) sono relativi a fatti ininfluenti e il capitolo 28 è inammissibile per genericità e formulazione suggestiva;
quanto al ricorso ad agenzia investigativa e all’utilizzabilità degli esiti delle investigazioni, esse sono lecite qualora non riguardino la vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, ma siano destinate a prevenire illeciti del dipendente;
nel caso in esame la società dubitava delle modalità di utilizzo della piattaforma informatica da parte della lavoratrice e della corretta redazione della nota spese relative ai rimborsi chilometrici e al carburante, in quanto a fronte delle omesse registrazioni dell’inventario dei prodotti e delle giacenze (oggetto di contenzioso disciplinare del febbraio 2019, che on consentivano di verificare la corretta attività di informazione e la circolazione dei prodotti farmaceutici commercializzati, vi era un’esposizione di numero di chilometri percorsi e spese per carburante di gran lunga superiore a quello di altri informatori operanti in aree ben più estese della zona assegnata alla Scopece;
sussistevano dunque ‘ fondati sospetti ‘ che la lavoratrice stesse tenendo comportamenti illeciti e contrari a principi di correttezza e di buona fede, donde la necessità del ricorso ad agenzia investigativa, atteso che è pacifico che nessun diverso controllo da remoto o con geolocalizzazione dell’auto aziendale era stato pattuito né effettuato dalla società;
in ogni caso l’investigatore è stato escusso come testimone ed ha confermato tutte le risultanze dell’investigazione;
dalle deposizioni testimoniali si evince che le dichiarazioni scritte di rettifica da parte dei medici, prodotte dalla lavoratrice, sono state da lei preparate e confezionate e sottoposte per la firma a ciascun medico, con un testo che successivamente è stato completato o artefatto;
la difformità fra la rappresentazione contenuta in tali dichiarazioni e la realtà è emersa dal raffronto fra questi documenti e le dichiarazioni di rettifica rese dagli stessi medici successivamente interpellati dalla società;
la mancata effettuazione di molte visite informative pur annotate nei report dei giorni oggetto di contestazione disciplinare ha trovato riscontro con l’indagine investigativa e con la deposizione testimoniale dell’investigatore, che ha decritto i tragitti, le soste, le pause e l’orario di rientro della Scopece;
quindi la lavoratrice in quei giorni effettuò annotazioni inveritiere di visite sulla piattaforma informatica e successivamente confezionò materiale difensivo attestante falsamente la prestazione di attività lavorativa inesistente;
va condiviso quindi il giudizio del Tribunale sulla sussistenza della giusta causa, atteso che i fatti accertati sono connotati da gravità e particolare disvalore specialmente per l’elemento intenzionale, atteso che la lavoratrice -con molta anzianità di servizio ed esperienza nel settore -ha inteso lucrare rimborsi non dovuti e poi ha approntato difese mediante dichiarazioni false o perché carpite a medici in buona fede, o perché alterate successivamente dalla lavoratrice, o perché da
lei predisposte in bianco e successivamente completate dopo la sottoscrizione del medico.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo, pro posto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 4 L. n. 300/1970, 2697 c.c., 115 c.p.c., 5 L. n. 604/1966, 8 della Convenzione E.D.U. per avere la Corte territoriale ritenuto legittimo il ricorso da parte della datrice di lavoro ad agenzia investigativa.
Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte sui controlli cc.dd. difensivi, esattamente individuata ed applicata dai giudici del reclamo, che hanno motivato proprio sulla base della prova dell’esistenza di ‘fondati sospetti’, offerta dalla società datrice di lavoro (Cass. n. 18168/2023), e circa la liceità del ricorso ad agenzie investigative, in quanto destinato a verificare eventuali illeciti commessi dal dipendente, diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, specie nel caso in cui, per le mansioni svolte, egli sia destinato ad operare al di fuori del diretto controllo datoriale (Cass. ord. n. 25287/2022).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ossia che la datrice di lavoro aveva predisposto diverse figure aziendali per vigilare sul corretto adempimento della prestazione lavorativa svolta dagli informatori farmaceutici.
Il motivo è inammissibile perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.). Peraltro, ai fini dell’eventuale ammissibilità del motivo, la ricorrente non ha indicato, come invece era suo onere, le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, né allegato e dimostrato che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2018; Cass. n. n. 26774/2016; Cass. n.
19001/2016).
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 7 L. n. 300/1970, 2119 c.c. e 38 CCNL del 19/07/2018 per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto tempestivo il licenziamento.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 12 disp.prel.c.c., 1363, 1366 e 1367 c.c. e 38 CCNL 19/07/2018 per avere la Corte territoriale ritenuta legittima la dilazione del termine del procedimento disciplinare apportata discrezionalmente dal datore di lavoro.
I due motivi -da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono infondati.
A garanzia del diritto di difesa del dipendente l’art. 38 CCNL di settore va interpretato nel senso per cui il termine complessivo di sedici giorni dalla contestazione disciplinare, entro il quale il datore di lavoro ha l’onere di concludere il procedimento e adottare il licenziamento, va calcolato tenendo pur sempre conto del primo termine di otto giorni dalla contestazione disciplinare, necessariamente dilatorio, previsto per le controdeduzioni difensive del lavoratore. Quindi l’ipotesi prefigurata dal CCNL è ‘ 8+8 ‘ .
Proprio per garantire il diritto di difesa, in tanto opera il termine complessivo (di sedici giorni) in quanto sia stato rispettato il primo (di otto). Dunque se il datore di lavoro accorda al dipendente un termine superiore agli otto giorni dalla contestazione, o perché in tal senso richiesto dal dipendente, o per altre ragioni oggettive di tipo organizzativo -come ad esempio la chiusura durante il periodo feriale estivo, come accaduto nella specie -il termine complessivo va esattamente inteso non come 8+8, secondo l’ipotesi normale prefigurata dalla clausola collettiva, bensì come ‘x’+8, laddove il termine ‘x’ è quello maggiore di 8 accordato dal datore di lavoro, accettato e legittimamente utilizzato dal dipendente in quanto in melius .
Nel caso di specie come accertato dalla Corte territoriale è avvenuto che il termine ‘x’ è stato individuato tenendo conto della chiusura feriale estiva fino al 26/08/2019 e quindi come pari ad 8, ma decorrente dalla predetta data del 26/08/2019. In tal senso le giustificazioni rese in data 30/08/2019
sono certamente tempestive (perché avvenute entro il termine dilatorio a difesa di 8 giorni, calcolati appunto dal 26/08/2019 e non dalla contestazione disciplinare del 02/08/2019), ma altrettanto tempestivo deve allora ritenersi il licenziamento intimato il 06/09/2019, ossia entro i successivi 8 giorni.
D’altronde la ratio della regolamentazione collettiva è quella di evitare un tempo eccessivamente lungo di decisione datoriale, tanto da configurare il silenzio datoriale protrattosi per oltre otto giorni dalle giustificazioni del lavoratore in termini di silenzio-assenso, ossia accettazione tacita delle giustificazioni del lavoratore. Si tratta dunque di una disciplina posta a tutela della certezza dei rapporti giuridici fra le parti del rapporto individuale di lavoro, tale da attribuire un preciso significato all’inerzia datoriale protrattasi per un determinato tempo decorrente dalle giustificazioni rese dal dipendente . La stessa certezza è assicurata dall’interpretazione della clausola collettiva sopra esposta.
4.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 7 L. n. 300/1970, 2 L. n. 604/1966 e 38 CCNL 19/07/2018 per avere la Corte territoriale ritenuto integrata la giusta causa di licenziamento sulla base di fatti non specificamente contestasti dalla datrice di lavoro, ossia ulteriori rispetto alla falsa rendicontazione.
Il motivo è infondato.
Il convincimento della Corte territoriale sullo specifico elemento intenzionale è stato formato e basato sugli escamotages ai quali la lavoratrice ha fatto ricorso in sede di giustificazioni difensive. In tal senso quei fatti -la predisposizione di dichiarazioni ‘in bianco’ da far firmare a medici in buona fede, il successivo completamento o la successiva alterazione di quelle dichiarazioni -sono stati utilizzati dai giudici del reclamo non come ulteriori fatti disciplinarmente rilevanti, bensì come fatti probatori dello specifico elemento intenzionale, ricostruito chiaramente in termini di dolo. Sulla base di questa considerazione la Corte territoriale dunque è pervenuta ad un giudizio di grave disvalore dei fatti contestati, implicitamente escludendo che l’erronea rendicontazione sulla piattaforma informatica potesse essere ricondotta a superficialità della lavoratrice, ossia
a sua mera colpa.
5.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. n. 5), c.p.c. la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ossia la contraddittorietà fra le dichiarazioni rese dai medici alla lavoratrice e quelle rese dagli stessi medici alla datrice di lavoro.
Il motivo è inammissibile perché precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.). Peraltro, ai fini dell’eventuale ammissibilità del motivo, la ricorrente non ha indicato, come invece era suo onere, le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, né allegato e dimostrato che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2018; Cass. n. n. 26774/2016; Cass. n. 19001/2016).
6.Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in