Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31220 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31220 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23778-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL LAZIO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2984/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/08/2023 R.G.N. 3280/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto
Impiego pubblico Licenziamento disciplinare Rifiuto didattica a distanza
R.G.N. 23778/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 24/09/2024
CC
la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti del Ministero dell’Istruzione (oggi Ministero dell’Istruzione e del Merito) e dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, volto ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato alla docente il 7 aprile 2021, per assenza ingiustificata dal servizio nei giorni 9, 10, 11, 12, 13, 16 e 17 novembre 2020; 2. la Corte distrettuale, dato atto della contumacia degli appellati e respinti i motivi di appello con i quali erano state reiterate le eccezioni inerenti alla regolarità formale del procedimento disciplinare, ha ritenuto proporzionata la sanzione espulsi va, tenuto conto della gravità dell’addebito alla luce, da un lato, della previsione contenuta nell’art. 55 quater, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 165/2001, e, dall’altro, delle giustificazioni addotte dalla docente, inidonee a svalutare la gravità dell’i nadempimento;
in particolare il giudice d’appello ha condiviso le argomentazioni sviluppate dal Tribunale che aveva ritenuto:
non provata la dedotta fobia per le telecamere;
b) non sufficiente a giustificare il rifiuto della didattica a distanza l’asserita mancanza di competenze informatiche, atteso che, a fronte della emergenza epidemiologica, tutti i docenti italiani erano stati chiamati ad adeguarsi ad una nuova metodologia di insegnamento e, pertanto, nel rispetto del dovere di correttezza e buona fede, a rendersi disponibili «ad adattarsi alle mutate condizioni di lavoro implicanti l’utilizzazione di strumenti informatici di uso comune e comunque di facile apprendimento attraverso semplici webinar messi a disposizione dall’amministrazione»;
c) il grave inadempimento non era stato attenuato né dalla successiva richiesta di fruire di un periodo di aspettativa (richiesta presentata in difetto delle condizioni di legge) né dalla rinuncia alla retribuzione per il solo giorno del 9 novembre 2020, né, infine, dalla sollecitazione della nomina di un supplente, che potesse garantire la continuità del servizio o il suo potenziamento;
4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME sulla base di quattro motivi, ai quali il Ministero dell’Istruzione e del Merito e l’Ufficio Scolastico Regionale non hanno opposto difese, rimanendo intimati.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la ricorrente denuncia testualmente «violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 c.c., 2106 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 7; L. n. 300 del 1970, art.18; artt. 13 e 29 del CCNL comparto scuola, art. 55 quater, comma 1, d.lgs. n. 165/2001, art. 63 co. 2 bis dlvo 165/2001, art. 2087 cc per mancato esame della gravità dei fatti addebitati ai fini del licenziamento in relazione al principio della proporzionalità, congruità, gravità, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo»;
la ricorrente trascrive nel ricorso la disciplina legale e contrattuale rilevante ai fini di causa e riporta le deduzioni degli scritti difensivi di entrambi i gradi del giudizio di merito e sostiene, in sintesi, che il giudizio di proporzionalità doveva essere espresso dalla Corte territoriale valorizzando gli elementi oggettivi e soggettivi della condotta e valutando, in particolare, la intenzionalità della stessa in relazione alle circostanze nelle quali il fatto è stato commesso;
richiama il divieto di automatismo nella irrogazione delle sanzioni disciplinari nonché giurisprudenza di questa Corte dalla quale, a suo avviso, i giudici del merito si sarebbero discostati, avendo valutato unicamente l’illecito nella sua oggettività (mancata prova documentale delle fobie; insussistenza di effettiva necessità formativa; astratti obblighi di buona fede), senza svolgere alcuna indagine sull’elemento psicologico che aveva sorretto la condotta e senza considerare che l’insegnante aveva prestato servizio per circa 20 anni alle dipendenze del Ministero, sia pure con contratti a termine, senza mai incorrere in responsabilità disciplinare;
aggiunge che, tenuto conto della situazione psicologica della ricorrente nonché di tutte le problematicità legate all’emergenza epidemiologica, andava attivato il potere previsto dall’art. 63 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001 di rideterminazione della sanzione;
con la seconda critica, formulata ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., si ripropongono i medesimi argomenti sviluppati nel primo motivo e, richiamando anche le stesse disposizioni legali e contrattuali, la ricorrente addebita alla Corte distrettuale «omesso esame della gravità dei fatti addebitati ai fini del licenziamento in relazione al profilo oggettivo (circostanze del caso) e soggettivo ed intenzionale»;
il terzo motivo denuncia ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per asserito omesso esame del motivo di appello con il quale la sentenza del Tribunale era stata censurata quanto alla erroneità del giudizio di proporzionalità, che andava espresso apprezzando entrambi gli elementi, oggettivo e soggettivo, della condotta;
infine con la quarta critica la ricorrente torna a denunciare la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. perché la Corte territoriale
non avrebbe indicato le ragioni per le quali le giustificazioni addotte non sarebbero state idonee a scriminare la condotta; aggiunge, poi, che il giudice del merito ha ritenuto legittimo il recesso ragionando su una violazione difforme rispetto a quella contestata, ossia l’assenza ingiustificata, che non poteva essere ravvisata nella fattispecie in quanto «la ricorrente era a casa, perché posta in quarantena, era reperibile e nel corso delle giornate aveva avuto reiterati contatti con l’amministrazione »;
i motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono inammissibili;
5.1. in premessa va evidenziato, richiamando quanto già riportato nello storico di lite, che la Corte territoriale, pur a fronte della tipizzazione della sanzione del licenziamento contenuta nell’art. 55 quater, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 165/2001 per l’ipotesi di assenza ingiustificata protrattasi per oltre tre giorni, ha valutato le circostanze del caso concreto ed effettuato il giudizio di proporzionalità, condividendo le conclusioni alle quali era già pervenuto il Tribunale e ritenendo che il comportamento tenuto integrasse un grave inadempimento degli obblighi contrattuali, idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario;
così ragionando il giudice d’appello non si è discostato dalle pronunce di questa Corte, valorizzate anche dalla Corte Costituzionale, che hanno riferito « l’avverbio «comunque», impiegato dall’art. 55-quater, alla dialettica interna tra le fonti del rapporto di lavoro, in esso rinvenendo un ostacolo imperativo a qualunque limitazione di fonte pattizia circa la titolarità astratta del potere datoriale di licenziamento nelle fattispecie tipizzate dal legislatore, ma non anche un impedimento al sindacato giurisdizionale
sull’esercizio concreto e proporzionato del potere medesimo (ex multis, sentenze 11 settembre 2018, n. 22075, 16 aprile 2018, n. 9314, 14 dicembre 2016, n. 25750, 1° dicembre 2016, n. 24574, 19 settembre 2016, n. 18326, 25 agosto 2016, n. 17335, 24 agosto 2016, n. 17304, e 26 gennaio 2016, n. 1351). Escluso che la tipizzazione legale delle fattispecie di licenziamento disciplinare implichi un automatismo refrattario alla verifica giurisdizionale di congruità, la sezione lavoro della Corte di cassazione ad essa ricollega un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del dipendente, autore materiale del fatto tipico, l’onere di provare la sussistenza di elementi fattuali di carattere attenuante o esimente, idonei a superare la presunzione legale di gravità dell’illecito (sentenze 11 luglio 2019, n. 18699, 11 settembre 2018, n. 22075, 19 settembre 2016, n. 18326, e 24 agosto 2016, n. 17304)» (Corte Cost. 23 giugno 2020 n. 123);
il ricorso, nella parte in cui invoca il divieto di automatismi espulsivi, svolge considerazioni non riferibili all’effettiva ratio decidendi della pronuncia e, in quanto tali, inammissibili in applicazione del principio, costantemente enunciato da questa Corte, secondo cui nel giudizio di cassazione, a critica vincolata, i motivi devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 n.4 cod. proc. civ., e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, ril evabile anche d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. n. 9450/2024, Cass. 15517/2020, Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007);
5.2. il primo motivo, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione delle norme di legge e delle disposizioni contrattuali richiamate nella rubrica, nella sostanza sollecita un diverso apprezzamento della gravità dei fatti contestati, riservato al giudice del merito e non consentito nel giudizio di legittimità; è ius receptum il principio secondo cui «la “giusta causa” di licenziamento ex art. 2119 c.c. integra una clausola generale che l’interprete deve concretizzare tramite fattori esterni relativi alla coscienza generale e principi tacitamente richiamati dalla norma e, quindi, mediante specificazioni di natura giuridica, la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici.» ( così fra le tante Cass. n. 7029/2023);
il ricorso, nell’insistere sul mancato apprezzamento dell’elemento soggettivo sotteso alla condotta, tenuta in un contesto caratterizzato dalle paure e dalle incertezze indotte dall’emergenza pandemica, nella sostanza critica il giudizio di fatto espresso dalla Corte territoriale, non quello di valore, e, tra l’altro, nel far ciò non coglie pienamente il decisum della sentenza impugnata che, al punto 7.2. della motivazione, ha fatto specifico riferimento alle circostanze soggettive ed ha escluso che le stesse potessero scriminare la condotta tenuta, perché le problematiche addotte dalla docente a giustificazione dell’assenza ingiustificata «mai sono state documentate né nell’ambito del procedimento amministrativo né nel corso del presente giudizio»;
5.3. la seconda censura, che ravvisa nell’omesso apprezzamento dell’elemento soggettivo il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., è inammissibile, oltre che per quanto si è detto nel punto che precede, perché il giudice d’appello ha integralmente condiviso la ricostruzione fattuale operata dal Tribunale e le conclusioni alle quali lo stesso era pervenuto, sicché è applicabile il divieto di cui all’art. 360, comma 4, cod. proc. civ., come riformulato dal d.lgs. n. 149/2022, che, nel ribadire la disc iplina già dettata dall’art. 348 ter, commi 4 e 5, cod. proc. civ., ha escluso che possa essere denunciato il vizio di cui al comma 1, n. 5, del citato art. 360 cod. proc. civ. «quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti»;
5.4. parimenti inammissibile è la denuncia di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. che, ancora una volta, non coglie il decisum della sentenza impugnata che ha esaminato il motivo di appello con il quale era stata dedotta la violazione del principio di proporzionalità e l’ha rigettato, facendo specifico riferimento anche ai profili soggettivi dell’illecito disciplinare;
va aggiunto che il vizio di omessa pronuncia, configurabile solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021);
il giudice del merito, infatti, non è tenuto ad esaminare espressamente e singolarmente ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, atteso che ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. è necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in
diritto posti a fondamento della sua decisione, con la conseguenza che si devono ritenere disattesi per implicito tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito;
5.5. infine non sfugge alla sanzione di inammissibilità il quarto motivo, che addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente qualificato assenza ingiustificata il rifiuto della didattica a distanza, sebbene nei giorni di asserita assenza la docente fosse reperibile ed avesse avuto reiterati contatti con l’amministrazione;
la censura nei termini formulati prospetta una questione giuridica, implicante accertamenti di fatto (la reperibilità al domicilio, il regime di quarantena imposto alla docente, l’impegno lavorativo comunque assicurato attraverso scambi di messaggi con l’a mministrazione di appartenenza), alla quale non fa cenno la sentenza impugnata, sicché trova applicazione il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui «ove una determinata questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella pronuncia impugnata, il ricorrente che ciononostante la proponga nella sede di legittimità ha l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, vale a dire riportando dove, come e quando, così permettendo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa; ciò in quanto « i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decídendum del giudizio di merito, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili
di ufficio» » ( Cass. S.U. n. 9657/2023 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. S.U. n. 9790/2024 nonché la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione);
gli oneri sopra richiamati non sono stati assolti dalla ricorrente, il che impedisce l’esame della questione prospettata;
6. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e, conseguentemente, occorre dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente;
non occorre, invece, statuire sul regolamento delle spese del giudizio di cassazione perché il Ministero dell’Istruzione e del Merito e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio non hanno svolto attività difensiva in questa sede, rimanendo intimati.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione